Studi su Meister Eckhart: Premessa

Premessa

 

 

1 – Quando suona la campana a morto, si sentono due primi rintocchi, quelli della campana piccola e, successivamente, il suono più disteso della campana grande. Quando le campane suonano a lutto è un momento in cui si vive più consapevolmente, ma ognuno attende altre occasioni, quando esse chiamano alla messa, alla festa, a una preghiera. E, ancora una volta, suonano insieme, sempre in due, quasi obbligate da un reciproco interesse e da una comune funzione. Ma, quando c’è una sola campana e, dunque, chi ode non sa se essa suoni perché si vive o si muore, allora ciascuno morirà e vivrà solo. Chi ascolta premuroso, non saprà se gioire o se gli è lasciato il nudo spazio del suo pesante e solitario silenzio.
Tanto l’uomo che Dio sono la campana che ha bisogno di due rintocchi. O non sono.

 

2 – Ho incontrato Meister Eckart nel punto in cui stavo studiando la teologia cristiana e dovevo trovare soluzione a un problema che accompagna da sempre l’uomo: il problema del dolore come variante individuale del più generale problema del male. Pensavo di spendere qualche ora per questo mistico tedesco. Sennonché più andavo a peregrinare nel suo pensiero, più Meister Eckart, con la sua visione accattivante dell’Assoluto, diventava una ricerca a se stante e poneva altri problemi, tra i quali il valore della mistica nel percorso esistenziale proposto in alternativa ad un modo di vivere più attivo e più intrecciato con la quotidianità.
Il pensiero di Meister Eckhart, a una prima lettura, sembrava muoversi tra diversi rintocchi e il totale silenzio. La contraddizione era ed è l’aspetto apparente della sua logica, diffuso in ogni parte della sua opera. Così ho deciso di mettere da parte gli appunti che avevo preso per una sintetica informazione e mi sono approntato a studiarlo in maniera sistematica.

 

3 – La mistica, al di là delle intenzioni del credente, si sviluppa in un duplice senso: per un verso dà una visione dell’Assoluto, totalmente altro dal Dio immaginato dall’uomo; per un altro, pone un diverso modo di rapportarsi alla vita.
In genere, i due momenti sono fortemente intrecciati, tanto che la ragione deve farsi carico di sfrondare molte parole vane e non lasciarsi irretire dalla fonte religiosa da cui, quasi miracolosamente, trae le visioni dell’Eterno. In compenso trova i mezzi più radicali per la critica di ogni soggezione e pretesa dell’intelletto di porre se stesso come centro della conoscenza.
Il Dio di qualsivoglia religione rivelata appare come un nefasto delirio. La logica che coniuga nello stesso tempo l’essere dentro con l’essere fuori impone, in maniera definitiva, la possibilità di pensare l’Assoluto come altro, nello stesso tempo in cui vieta di pensarlo come non posseduto.
Allora la ragione richiede una rivincita allorché pretende, pesantemente, da tale Pensiero una spiegazione sul modo di intendere la vita nel suo immediato accadere. Questa è, infatti, non poche volte sacrificata a un malinteso procedere dell’Assoluto, per cui non ha alcun torto l’intelletto quando denuncia l’inanità di annichilire l’unicità dell’esistere.
Per tale affezione, la ragione è costretta a valutare, con profonda apprensione, l’insorgere di un io pensante nel processo eterno.
Spirito e Vita diventano le due campane dell’Io, lasciate alla grazia del più lungimirante Campanaro: dare alla ragione due rintocchi è ciò che l’aggrada. Un solo rintocco annichila ogni senso, nella stessa misura in cui il loro reciproco affermarsi dà un’indicazione ineludibile all’esistere.
Questa funzione è l’unità di misura con la quale essa deve vagliare l’apporto della mistica, se è vero che il sentimento è libero di spaziare come un forte e bel cavallo in un immenso campo, fin quando esso non si spinge là dove il terreno è circoscritto dall’insormontabile recinto della ragione.
Affermiamo che la Ragione si affranca dalle illusioni del determinismo volgare e dall’insano materialismo dell’esperienza allorché dà consistenza e sussistenza all’io nel suo dramma quotidiano.
La fine del discorrere s’intravvede nell’affermazione che l’Assoluto è fuori dalle categorie del senso comune ed è contemporaneamente il Soggetto e l’Oggetto di ogni concettualizzazione.

 

SRP

 

05-03-2011

 

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