Erfurter Reden
“Questi sono i discorsi che il vicario di Turingia, priore di Erfurt, fratello Eckhart, dell’ordine dei predicatori, rivolse ai suoi novizi che gli ponevano numerose questioni durante le loro discussioni serali”.
Così inizia il libro Die rede der underscheidunge (alla lettera, Discorsi del discernimento, in italiano e francese conosciuto come Istruzioni spirituali), che è la prima grande opera del Maestro. La stesura che ci è pervenuta è, a mio parere, sicuramente iniziata a Erfurt, verso il 1294, ma elaborata per molti anni, a tal punto che questi discorsi “fatti a tavola”, mangiando, finirono per perdere l’immediatezza dell’insegnamento e vennero sempre più definendosi come un vero e proprio Tractatus. Ciò significa che Meister Eckhart, intuìto precocemente il nucleo centrale del suo pensiero, lo andò necessariamente perfezionando, facendo di questi Reden un continuo e aggiornato strumento di divulgazione. Certo è che leggendo i Reden si ha l’impressione di leggere, più che ascoltare, una convincente e quasi definitiva esposizione del rapporto dell’uomo con l’Assoluto.
Eckhart inizia chiarendo cosa deve intendersi per vera obbedienza:
“La vera e perfetta obbedienza è una virtù che supera tutte le altre, né alcuna opera, per grande che sia, può avvenire o essere realizzata senza questa virtù”. Infatti, è attraverso essa che cogliamo “il meglio di ogni cosa”, perché essa “non fuorvia mai e non ostacola nulla, qualsiasi cosa si faccia”. Ed ecco scattare il paradosso. Da questa “strana” delucidazione, al posto di sottomissione Eckhart fa scaturire la più assoluta libertà e la più completa realizzazione per l’individuo. Il suo argomentare è un continuo incalzare. “Quando l’uomo rinuncia a se stesso nell’obbedienza ed esce da se stesso, Dio è obbligato ad entrare in lui perché, se questo uomo non vuole nulla per se stesso, Dio deve volere per lui nell’identico modo che per se stesso. Quando io mi spoglio della mia volontà per mettermi nelle mani del mio superiore senza volere più nulla per me stesso, bisogna che Dio voglia per me: se mi trascura, egli trascura se stesso” … Rinunciando a me stesso necessariamente accade “che egli voglia per me ciò che vuole per se stesso, nel preciso identico modo, né più né meno di ciò che vuole per se stesso”. La più completa sottomissione a Dio è dunque la più favorevole, più benigna libertà che si dà l’uomo che vuole avere intelligentemente cura di sé.
Da questo scaturisce un modo specialissimo di preghiera:
“La migliore preghiera non é: , oppure: ; ma soltanto “.
In questa deliberazione trova realmente un fondamento uno spirito libero (quello che altrove è detto uomo nobile):
“La più intensa preghiera, la più potente per ottenere qualsiasi cosa….proviene da uno spirito libero Uno spirito libero può tutto”.
Ed ecco, su questa base, che Eckhart ci insegna a considerare, nella sua grande valenza, il tema più caro alla sua predicazione: il distacco.
Lo spirito libero “è quello non turbato da nulla, non legato a nulla, che non fa dipendere da alcunché il suo bene supremo, che in nulla mira a quanto è suo, ma è completamente sprofondato nella dolcissima volontà di Dio”.
“Chi cerca la pace nelle cose esteriori, si tratti di luoghi o modi di essere, di gente o opere, di paese lontano, povertà o umiliazione – qualsiasi cosa sia e per quanto grande sia, ciò è nulla e non dà pace”.
Lo spirito libero è proprio chi vive una condizione di pace e trova la pace, perché non desidera nulla, poiché la pace, che è la volontà di Dio, ha tutto. La pace si trova solo nel tutto e nel darsi tutto; non c’è affatto disprezzo, ma pienezza di sé. Se non si è in questa disposizione d’animo, non è possibile compiere nulla, è solo un errare, nel duplice senso in cui abbiamo elaborato questo concetto: vagare senza scopo e senza meta nonché confondere, con l’inganno o l’illusione, la propria mente. Si può vivere santamente e ciò non è per niente diverso dall’agire in peccato: “se tu inciampi in una pietra, ciò è opera più divina che fare la comunione”. Sembra un annaspare del pensiero, un rovesciarsi addosso inutili parole; invece, è tutto un dispiegarsi di rigore logico che porta in sé la più estrema concretezza. Per Eckart, stare in un convento, fare sacrifici, starsene nella solitudine di un eremo, è una condizione di mortificazione che non porta a nulla, è senza fondamento come vivere peccaminosamente. Bisogna prima realizzare la povertà di spirito e da questa poi far discendere la possibilità di scegliere questo o quello: in tal modo diventa irrilevante il prima e poi e la scelta di questo o quello. È l’essere che dà la possibilità di fare: essere uno spirito libero fa compiere necessariamente opere responsabili, per cui un’opera è degna solo se è espressione di uno spirito libero.” Non bisognerebbe tanto pensare a che cosa si deve fare, quanto piuttosto a ciò che si é: se si fosse buoni, e buono fosse il nostro modo di essere, le nostre opere risplenderebbero luminose. Se tu sei giusto anche le tue opere sono giuste”. Le opere esprimono le condizioni dell’essere. Come sei così fai. Le tue opere testimoniano per te. “Ma non si pensi di fondare la santità sulle opere, la santità va fondata sull’essere, giacché non sono le opere che ci santificano, siamo noi che dobbiamo santificare le opere. Per sante che siano le opere, esse non ci santificano assolutamente in quanto opere, ma nella misura in cui siamo santi e possediamo l’essere, in questa stessa misura santifichiamo le nostre opere – sia ciò mangiare, dormire, vegliare o che altro”.
Lo spirito libero diventa l’uomo nobile. “Quelli che non sono di natura nobile, qualsiasi cosa compiano, essa non vale nulla”.
Nel porre un nuovo soggetto storico è la condizione per realizzare una società giusta. E questo essere nobile scardina e ridicolizza la nobiltà di casta o la ricchezza e il privilegio come portatore di uno stato. Cambiare uno stato di cose non serve se non si possiede uno stato di essere, che trova necessario cambiare lo stato di cose esistenti. La realtà mondana non deve essere evitata, ma deve essere rivissuta con il senso del proprio significato. “L’uomo non può apprendere questo cercando la fuga, fuggendo dalle cose e rifugiandosi esteriormente (…) nella solitudine: bisogna piuttosto che egli apprenda la solitudine interiore, dovunque e con chiunque sia. Bisogna imparare a passare attraverso tutte le cose”.
L’uomo nobile, lo spirito libero è colui che impara a passare attraverso le cose, non si lascia dominare dalle cose, dallo stato delle cose esistenti. Lo spirito libero è alla base del movimento che cambia lo stato di cose esistenti.
L’uomo nobile, in spirituale trinità, vede le cose in Dio, perché vede le cose come Dio; l’uomo nobile è Dio, senza più mediazione. Le sue opere sono le opere di Dio, perché Dio è ragione. “In tutte le cose e in tutte le opere si deve fare uso della ragione, prendere coscienza di noi stessi e del nostro essere interiore, in tutte le cose si deve cogliere Dio nel modo più alto possibile…In tutto ciò che accade, per quanto estraneo possa sembrargli, cerca di vedere se questi c’è… Occorre una riflessione e un’attenzione continua”. “Il primo e supremo impegno e intendere ciò che più piace a Dio”, infatti “nessuno può compiere un’opera, per piccola che sia, senza ricavare da questo atteggiamento la sua forza e il suo potere”.
(continua)
05-03-2011
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