Storia di Grimaldi: Le “origini” di Grimaldi

Le “origini” di Grimaldi

Storia di Grimaldi

Cap. I – Le origini della gente grimaldese

Introduzione

Con l’appellativo di Grimaldo fu designato intorno al VII sec. d.C. un territorio e successivamente (sec. IX) un insieme di sei Casali. In seguito, intorno al 1034, con la stessa denominazione fu chiamato il paese che fu distrutto dal terremoto del 1638 e poi l’attuale abitato.

In tutti questi trascorsi fino al XVIII sec, i grimaldesi furono contadini, pastori e valenti artigiani. Gente laboriosa per necessità, famiglie che amavano la libertà e la quiete in cui vivevano senza molte pretese, sottomessi alla cadenza e al variare delle stagioni, al percorso del sole.

Tra essi operarono qualche esperto mastro giurato, qualche regio notaio e dopo il XVI sec.[1] tanti ecclesiastici: rarissime persone in grado di leggere e scrivere. Di fatto, per secoli fino a tempi recentissimi, la quasi totalità dei grimaldesi fu analfabeta (definita in molti atti pubblici idiota secondo una diffusa dizione[2]),  dunque gente di pochissima cultura se si esclude quella religiosa, a cui fu molto sensibile, anche se acriticamente accettata.

Da questi ceti si formò alcuni decenni dopo la ricostruzione del 1638 uno stabile gruppo di “proprietari”, i cosiddetti galantuomini, che assunsero il “don” per vanagloria, protetti dall’isolamento del paese e facilitati dalle “concessioni” a pagamento delle varie monarchie.

Molti di questi “don” furono degli speculatori, usurai, spesso aperti usurpatori di beni privati e pubblici e, non raramente, acquisirono il titolo attraverso un “percorso nuziale”, imparentandosi con più antiche consorterie.

Dopo la rivoluzione del 1848, che ebbe un sussulto anche nel nostro paese[3], questi “galantuomini” furono marchiati con l’epiteto offensivo di “sciammergari”[4] e furono apertamente combattuti, ma di fatto conservarono inalterato il loro potere fino alla prima metà del XX sec. quando, secondo varie modalità, sparirono, sostituiti da altri potentati.

Resta l’evidenza che Grimaldi non poteva esprimere un “ceto nobiliare”, giacché non fu mai inserita in uno sviluppo feudale (contea, ducato ecc.), come successe ad esempio per la vicina Aiello. Stette quindi sotto il vincolo diretto delle monarchie che subentrarono nel meridione oppure assoggettata per alcuni periodi ai paesi vicini, Martirano, Aiello, Altilia e naturalmente Cosenza.

Comunque, questo contesto limitato espresse intelligenze illustri di valenza nazionale, che, a dispetto della classe di provenienza, ebbero una coscienza fortemente progressista (si vedano per tutte, le famiglie Mileti e Amantea).

Nei primi del novecento si registrò un anelito sociale di qualche spessore con don Enrico Del Vecchio, “principe del foro”, che si mise a capo della Società Operaia di Mutuo Soccorso ed estromise per alcuni anni i galantuomini più conservatori dall’amministrazione locale[5].

Solo dopo la Prima guerra mondiale e maggiormente la seconda, la comunità grimaldese raggiunse una certa agiatezza e prosperità, favorita da un generale risveglio, tra cui una scolarizzazione abbastanza ampia.

Col tempo, le umili famiglie contadine, bracciantili o artigiane, poterono vantare figli “professionisti”, capaci di dare un contributo di civiltà ad un paese falcidiato nel frattempo dall’emigrazione che, dal 1951 al 1971, raggiunse una numero più che doppio rispetto all’attuale popolazione residente[6].

Grimaldi, in ogni caso, non ha mai raggiunto un moderno sistema rappresentativo né una reale spessore culturale, in quanto, essendo sempre più priva di una significativa attività produttiva e commerciale, ha abbandonato per varie cause anche la mediocre economia basata sull’agricoltura, sull’allevamento e sull’artigianato.

Agli inizi del XXI sec. le famiglie storiche dominanti erano concretamente scomparse in assenza di eredi o si erano dovute adeguare ai tempi o si erano sistemate in altre città e nel paese tutta una nuova generazione, proveniente da famiglie “nuove”, spesso forestiere, cercava di sopravvivere in una condizione di generale abbandono. In altri termini, i processi di depauperamento, seguiti alla precedente prosperità, fecero di Grimaldi,  che lungo il ‘900 aveva avuto un ginnasio, una pretura, un carcere, una banca, una casa di riposo, un cinematografo, un asilo, un orfanotrofio, un corpo di agenti forestali, organicamente inseriti tra numerosi negozietti e attività liberali, un paese deserto che alla fine dello stesso secolo rimaneva con alcuni bar, le poste, i carabinieri e qualche attività commerciale prossima all’estinzione.

In conclusione, la storia di Grimaldi non esiste o è da considerare come la storia di qualche personalità rilevante o storia di un popolo modesto e comune, un racconto di gente che non ha avuto cura della propria memoria storica, forse perché appiattita e avvilita dalla semplice e non esaltante quotidianità.

 

Le fonti

Il più antico documento che narra avvenimenti di un certo rilievo su Grimaldi è costituito dal Manoscritto del regio notaio Giovanni Jacoe, redatto nel 1671[7], che pare raccogliere poche testimonianze antecedenti, basandosi piuttosto sulle  memorie degli anziani del tempo. Di esso, per diretta ammissione, si servì il sacerdote Gennaro Vincenzo Amantea che scrisse, intorno al 1777, qualcosa di più certo[8] e che rimane l’unica[9] fonte per individuare le pochissime vicende paesane degne di nota.

 

La denominazione

Come detto, i termini “Grimaldo e grimaldese” [10] prima di essere appellativo degli abitanti del “paese”, furono assunti dagli abitanti di tutto un comprensorio[11].Con tutta probabilità la denominazione va riferita al re langobardo Grimoaldo I (m. 671), già duca di Benevento. Tuttavia non c’è consentita assolutamente l’affermazione che qualche casale e men che meno il paese, siano stati fondati da Langobardi. Ci è lecito ipotizzare che ai tempi di Grimoaldo, o subito dopo, un’avanguardia longobarda abbia occupato la zona, designandola appunto col nome del duca-re e che una parte di essi o di nuovi longobardi rimanessero nel territorio per qualche tempo, per poi trasferirsi nella gastaldia di Cosenza. Di essi quasi sicuramente alcuni fecero ritorno nella zona, per far fronte ad eventi bellici o calamitosi. Di tutto ciò potrebbe far fede non solo la formazione dei Casali, ma l’esistenza di alcuni cognomi e nomi, con toponimi e leggende antichissime, appartenenti alla tradizione longobarda, alcuni dei quali durano fino ad oggi (la chiocciola e i pulcini d’oro che stanno miticamente in una grotta del nostro monte S. Lucerna, le streghe di Benevento che abitano gli alberi di noci ecc.).

Sulla storia della gens langobarda sappiamo abbastanza. La loro conquista dell’Italia[12] ha una specificità che la diversifica dalle altre invasioni barbariche. In essa non esisteva alcun ossequio per la “romanità” come sistema politico ed economico, tanto che i langobardi presunsero di creare una Langobardia dalle Alpi agli Appennini, se non fossero stati duramente ostacolati dall’Impero Romano d’Oriente e dal Papato[13].

Il sogno di realizzare un’Italia unita si estinse col re Autari e vani furono altri tentativi simili. Il processo d’insediamento longobardo si dispiegò dunque a macchia di leopardo, con una Langobardia maggiore a nord e una minore a sud, finché non sopravvenne la conquista di Carlo Magno, sollecitata da papa Leone III (795-816).

L’Italia restò divisa così in tre parti e, in particolare, la Calabria, contesa da greci, papato e longobardi, divenne praticamente “un’isola”, delimitata dal mare e dall’invalicabile catena del Pollino, in balia di eventi esterni.

Buona parte del ducato di Benevento, tuttavia, restò estranea al diretto controllo franco: formerà la gastaldia di Cosenza e conoscerà una forma di principato che, dopo non pochi travagli, soggiacerà all’invasione normanna dell’XI sec. a. C.

Ai nostri fini, nell’estenuante guerra tra bizantini e langobardi, è ipotizzabile che il fiume Savuto (Sabbatum), con cui confina il territorio di Grimaldi, divenisse per lungo tempo il limen tra le parti contendenti[14].

In quest’agro langobardo[15] si situarono, come attestano gli antichi manoscritti, le prime famiglie casaline.

 

 

I Secoli oscuri dall’ VIII sec. a. C. al IX sec d. C.

Comunque stiano le cose, nella storia di Grimaldi ci sono più grandi vuoti che testimonianze storiche. Il sacerdote Amantea, proprio in premessa al suo manoscritto, lamentò che fino al 1300 la storia di Grimaldo “è oscurissima per mancanza di memorie autentiche”[16] e, posto che esista una qualche documentazione fino ai nostri giorni, essa ha bisogno di molta sistemazione e revisione.

Per colmare il vuoto antecedente all’esistenza dei Casali, ho cercato di studiare la storia tirrenico-cosentina[17], ma non ho trovato nulla che possa riguardare direttamente la località poi denominata Grimaldi[18].

Eliminati i riferimenti ai mitici Ausoni[19], Enotri ecc. dal momento che non si capisce come avrebbero potuto interessare Grimaldi, per certo, sappiamo che per lungo tempo la futura Calabria fu detta Magna Grecia per la notissima colonizzazione (VIII sec. a.C.). Ma le città greche, avendo tutte una connotazione “costiera”, non fecero sentire alcuna influenza su un appartato territorio probabilmente disabitato quale doveva essere il nostro.

La Calabria fu in seguito chiamata Bruzio (sec. IV a.C.).[20] e in questo contesto possiamo fare qualche ipotesi, ma senza che trovi spazio un diretto riferimento alle vicende di Alessandro il Molosso (362-331/330 a.C.)[21].

Così come non al territorio di Grimaldi, ma ad un complesso più ampio vanno riferite le vicende che videro protagonista Pirro (319 a.C. -272 a.C.), il quale si dice che combattesse tra le altre battaglie quella disastrosa contro i mamertini[22] nella vicinissima Malito.

In seguito emergono, ma senza riscontro con la storia di Grimaldi, le più note e importanti vicende di Roma e in particolare di Annibale, che pure distrusse l’antica Terina e fu alleato di Cosenza, edificando strutture che portano ancora oggi il suo nome.

Altrettanto noti, ma per la nostra zona irrilevanti, sono i fatti della cosiddetta guerra italica (90-87 a.C.) e le vicende di Spartaco (73-71 a.C.)[23].

I nostri luoghi nulla, inoltre, testimoniarono della gloria di Roma né avvertirono alcunché delle vicende di Alarico (370 circa) morto a Cosenza nel 410), o di Odoacre (433-493) e della fine dell’Impero romano d’Occidente.

Interessante per il nostro scopo sarebbe stata una testimonianza più certa sulla città greca di Temesa[24]. Ma finora non si è trovato niente di significativo e a questo periodo antico potrebbe fare riferimento un cimitero medioevale, con un ripostiglio, contenente monete greche di epoca ellenistica, ritrovato nei primi decenni del XX sec. d.C.[25] in contrada Pianetto Donnico.

Scontata è la falsità della formazione dei Casali o perfino di Grimaldi dalla distruzione di Pandosia, stabilita dall’Amantea essendo la datazione palesemente assurda[26]. Più articolata è invece la precedente ipotesi del notaio Jacoe che scrisse che ci fu un popolamento del nostro territorio in seguito alla distruzione di Pandosia da parte di Odoacre e “ultimamente” nell’845 (quindi con un salto enorme e inverosimile) quando i Saraceni, “disfecero li nuovi edifici che li Pandosini incominciati avevano, per il che furono costretti a disperdersi nel suo spaziosissimo territorio, che sarebbe lungamente a confinarsi, estendendosi dai confini di Rende insino al territorio di Martirano”[27], descrizione, che nella confusione di Pandosia e Cosenza, ha, come vedremo un suo senso storico.

 

 

I Bruzi (356 a.C.)

A proposito dei Bruzi potremmo azzardare, come accennato, a un’ipotesi.

Se si osserva la conformazione geomorfologica e ambientale di Grimaldi essa si addice, e più ancora nell’antichità, più a luogo di rifugio che a sito stanziale. Non che il posto fosse povero di spazi produttivi, ma non si prestava affatto ad un’economia di scambio a causa della difficile interrelazione con i paesi vicini e in particolare con Cosenza.

Per secoli, l’unico transito importante fu il fiume Savuto, ma tale arteria fu costantemente controllata, da una parte dai più potenti vicini, a cominciare dalla subcolonia crotononiana di Terina, e dall’altra da Temesa, alleata di Sibari e, quando la situazione storica mutò, Grimaldi restò ancora più isolato rispetto agli altri paesi confinanti. Situazione che si protrasse fino al XIX sec.

Solo un popolo particolare poteva perciò stanziarsi per qualche tempo in un posto simile: i Bruzi[28].

Il loro emergere segna “la prima” organizzazione che si diede la civiltà propriamente calabrese, dopo millenni di disarticolazione sociale e politica.

Unanimemente gli storici concordano sulla “nascita” del popolo dei Bruzi nel 356 a.C.

Essi, diversamente dalla vecchia Pandosia, ebbero come capitale Cosenza[29] e preferirono, fin dalla loro costituzione in popolo, luoghi interni, naturalmente boschivi e montani in cui sviluppare attività pastorali e azioni militari, quest’ultime specificate in pure attività brigantesche[30], in conseguenza della loro mentalità di “selvatici”, “servi ribelli” e “razziatori armati”[31].

Non seguiremo i rapporti-scontri dei Bruzi con i Lucani, con Crotone e le terre ellenizzate. Ci limitiamo a dire che, in un periodo assai breve, i Bruzi si presentarono come realtà “nazionale”[32]. L’autonomia bruzia nel contesto calabro, per le sue caratteristiche federative, può avere interessato il nostro territorio. L’ostilità dei nostri luoghi, l’intricato variare di rupi e di montagne, l’isolamento protettivo, confacente ad ogni indole brigantesca, idoneo ad ospitare avanguardie/retroguardie offensive, si confanno ai Bruzi e ad un’economia chiusa e silvestre.

Specialmente l’assedio e la distruzione di Terina insieme alla conquista di ampi spazi costieri fanno ipotizzare l’uso strategico della nostra contrada. Ritengo perciò lecita l’ipotesi che un popolamento bruzio abbia potuto interessare la zona del futuro territorio di Grimaldo, venendo a costituire il primo nucleo consistente d’insediamento indigeno.

In conclusione, a partire dai Bruzi, le popolazioni intermittenti locali (quindi anche la futura Grimaldi) si coniugarono con fuoriusciti Greci, latini, longobardi, ebrei, slavi, germani, arabi (che ebbero due emirati importanti a Tropea ed Amantea), lasciando tutte il segno nella nostra contrada e in genere nelle terre calabre, che si denominarono specificamente “Calabria”[33]. Se è vera tale ipotesi il nostro territorio fu abitato da piccoli nuclei di fuoriusciti, di diversa etnia, in modi e tempi diversi. Che poi, tra un popolamento e l’altro, subisse processi di profonda solitudine lo dimostrano i molti eremiti di cui parlano le nostre leggende e di cui testimonia quel luogo notissimo accanto a S. Lucerna, ancor oggi chiamato Romitorio.

È chiaro che, dopo questa ipotesi, con un grande salto, dobbiamo approdare ad un’epoca molto più vicina, il IX sec. d.C., non sapendo assolutamente nulla del periodo della lotta dei longobardi contro i bizantini.

 

 

Cap. II – Grimaldo vecchio

 

I Casali e Grimaldo paese (IX sec. – XI sec. d. C.)

Come detto, più volte, in terra demaniale, dopo il IX sec., sorsero alcuni casali, di cui abbiamo qualche notizia allorquando furono sottomessi a Cosenza.

Cosenza fu, insieme ad Amantea, una città martire subendo molti attacchi e almeno cinque occupazioni musulmane a partire dall’889 fino al 1009, con devastazioni che durarono per decenni[34]. Nel 988 la città fu quasi distrutta per poi essere riedificata. Per più di un secolo andò spopolandosi divenendo da metropoli a poco più di un borgo.

L’apporto dei profughi cosentini può risolvere il problema dell’improvviso popolamento del territorio grimaldese e di quello limitrofo e parrebbe confortare l’ipotesi del Jacoe prima citata che i Casali, più che essere fondati, furono “ripopolati” da profughi cosentini, scampati alla distruzione della città ad opera dei saraceni. [35] Su questo “ripopolamento” più che fondazione concordano anche storici importanti dei Casali di Cosenza.[36]

Resta di fatto che il più antico Casale di Grimaldo, Santa Caterina, fu edificato verso l’872, come è affermato nei due manoscritti.

Il notar Jacoe, seguito dall’Amantea, ne elenca in totale sei: S. Caterina, S. Pietro, S. Nicolò, Santo Stefano, S. Trinità, S. Stasi (Anastasio). Siccome ad ogni Casale essi associano sovente alcuni nomi e vicende di famiglie[37], si presume che la loro testimonianza sia più che attendibile[38]. La fonte primaria, quella del Jacoe, dice testualmente:

“[I pandosini] per buon tempo errabundi senza fondarsi edifici (…) se ne stettero insino a tanto che radunatisi alcuni, incominciarono un picciol casalicchio nel luogo che adesso nominasi Santa Caterina …. Con l’edificazione della chiesa detta Santa Caterina. Reliquie di quelli edifici insino al presente tempo si vanno vedendo.

Ed altri accampatisi altrove si adoprarono a fare un più grande pago e lo nominarono Casal di San Pietro … nel qual Casale si edificò Chiesa intitolata a  San Pietro della quale sono al presente le mura[39].

Altri che più discostanti si trovavano (…) alla novella (notizia) delle predette fondazioni si in animarono a edificare pure un altro pago, che nominossi Santo Niccolò (e le cui rovine anch’esse sono ancora visibili).

Altri che avevan posti ili loro padiglioni (…) non molto lungi dalli nominati, con ogni sollecitezza si adoprarono a fabbricar l’altra loro abitazione che nomorno Santo Stefano ad onore del quale fondarono una chiesa (che adesso, essendo distrutta l’antica, è stata edificata) quella in onore della Santissima Concezione.

Da altri, non meno solleciti si edificò nel Timpone che adesso chiamasi della Santissima Trinità, le cui reliquie di edifici sono ancora visibili.

Altri in numero maggiore si ritrovarono nel pubblico luogo di Terra della Rocca dove fabbricarono il loro abitato che chiamarono volgarmente San Stasi e in tal nome si edificò la chiesa, la quale alquanto disfatta pure insino al presente si vede”.[40]

Oltre queste notizie sulla vita dei Casali dall’872 al 1034 non sappiamo nulla tranne che essi” venivan disfatti, depredati e saccheggiati da malandrini che andavano in molta moltitudine, commettendo “scelerità verso questo o quell’altro casale. E sebbene gli abitanti si difendessero e facessero stragi crudeli delli loro inquietatori, ad ogni modo pure sempre venivano predati”.

 

La fondazione di Grimaldo

Il notar Jacoe ci racconta un fatto di cronaca che avrebbe determinato la decisione di “abbandonare” i Casali e di fondare il paese che chiamarono Grimaldo. Scrive: “Circa l’anno del Signore 1034[…] cresciuti in buon numero li malandrini più che prima li tormentavano ed ultimamente oltre li frutti [furti] che loro facevano osorno [osarono] disfacciatamente pigliarsi una bella donna nominata Caterina e perché era bella chiamavano la Bella ed era della famiglia dei Saccomanni, abitante nel Casale di Santa Caterina e negli altri Casali commettevano altre enormità”.

In questa cronaca è, dunque, ricordato l’evento che indusse sei “principali” anziani appartenenti a ciascuno dei Casali “a riunirsi il primo aprile, giorno festivo, nella piazza di Varuagnano […]”, sita nel Casale di Santa Caterina, per individuare un luogo dove tutti i grimaldesi potessero risiedere[41].

I sei saggi indicarono una località al lato dei Casali, chiamato ancor oggi “Grimaldi vecchio”, la cui struttura geofisica è rimasta inalterata.

Scrive il notar Jacoe: “andarono nel territorio […] chiamato Grimaldo […], che era facilissimo a chiudersi, difficile ad abbattere e comodo a fabbricarsi, essendovi da tre parti chiusura naturale di pietre, che erano come sono le Costi di Vico, la Timpa della Rupe e la Timpa di Serralonga” e lo trovarono adeguato al loro intento. E poi una volta terminata l’edificazione così lo descrive: “era finito il nuovo albergo di Grimaldo, e ben fortificato con le naturali fortezze di Rupe e grosse mura dove non ve ne erano […] e ben chiuso con tre porte, una detta della Valle, l’altra del Portello e l’altra di Serralonga”. “Solo vi era la scomodità di acqua vicina, che si superava con cisterne e altro artificiale”.[42]

Per chi conosce i luoghi, Grimaldo si presentava effettivamente come una “fortezza”, alla cui difesa bastavano pochi abitanti ed espugnabile da un imponente esercito, che, isolandolo, avrebbe potuto farlo capitolare solo per fame. Ma essendo remotissima tale evenienza, i grimaldesi si sentivano sicuri, soddisfatti, peraltro, perché era stato possibile costruire le strutture esterne e le stesse case con materiale tufaceo ricavato dalla Timpa della Rupe, mentre le travi e ogni altro materiale erano state realizzate dal disboscamento del luogo.

 

 

L’eremita e la profezia

Nell’anno in cui s’iniziò a costruire il paese, il presunto 1034 o l’anno successivo, la Calabria attraversò uno dei periodi più penosi della propria storia, poiché accaddero gli ultimi scontri tra bizantini, longobardi, arabi. Si concluse con la resa di tutti agli invasori normanni.

Fu complessivamente un periodo di guerra e di calamità naturali: la peste, pochi anni prima, nel 1027, aveva fatto disperdere tutti i Grimaldesi “nelle montagne e principalmente in Santa Lucerna”.

Che cosa rappresentasse il paese nella storia politica dell’epoca, è facile capirlo dall’invasione normanna.

Quando i Normanni cominciarono a conquistare la Calabria guidati da Roberto il Guiscardo e, nel 1047,  la Valle del Crati, tanti paesi si ribellarono e solo tra il 1054 e il 1065 vennero conquistati[43].

Si sa per certo che Aiello (anno 1065) attuò una fortissima resistenza. L’assedio durò ben quattro mesi e vi perirono due importanti familiari del Guiscardo, Ruggero e Gilberto[44].

Di Grimaldi non si fa menzione in nessuna cronaca.

Ad ogni modo, Grimaldi vecchio durò circa 600 anni, quando sarà completamente distrutto dal terremoto del 1638 (“nessuna casa restò in piedi”).

Non è concepibile, tuttavia, che dei poveri contadini, gente umile, abbandonassero i Casali per trasferirsi nel paese, sorto quasi per miracolo. Invece dovrebbe essere certo, come si evince anche da una lettura attenta del manoscritto dell’Amantea, che parte dei Casali fosse abitata contemporaneamente alla graduale costruzione dell’abitato.

Facendo un calcolo in base ai morti e ai danni del terremoto del 1638[45] (quasi duecento cinquanta morti e circa 125 abitazioni distrutte), stimando anche che nel XIII° sec., Aiello ne avesse non più di 700, Pietramala all’incirca 200 ed Amantea 2500[46], i sei Casali, intorno al 1030, tra la fine delle ultime gastaldìe langobarde e l’inizio della rifeudalizzazione normanna, non dovettero superare complessivamente i 250 abitanti e il paese non più di 380.

Nello stesso tempo possiamo asserire, con buona attendibilità, che il completamento del paese durasse per almeno tre decenni o anche più, in considerazione dei contemporanei pesanti accadimenti storici che interessarono l’intera zona.

 

 

(continua)

 

 

Note

[1] Nel Manoscritto del sacerdote Gennaro Amantea è detto testualmente “sino al mille cinquecento sessantacinque in Grimaldo non vi furono Religiosi di sorte alcuna”, volendo rimarcare che oltre ai preti non ci furono monaci di alcuna appartenenza, così come avverrà in seguito (Carmelitani, Riformati, Minimi ecc.). (pag. 161 del libro di don Franco Vercillo, Vedi nota 6)

[2] Nei documenti la dizione di idiota fu mantenuta fino al XIX, a unità d’Italia inoltrata e di fatto abolita in tempi recentissimi. Nei documenti prodotti dall’Amantea abbonda la dizione “Testium sbcriptorum idiotarum signis crucis tantum” (il testimone essendo idiota firma con un segno di croce)

[3] Raffaele Paolo Saccomanno, Risorgimento e moti popolari nel ‘48 a Grimaldi, relazione tenuta al Centro Studi di S. Stefano di Rogliano (CS) nel 150° Anniversario dei Moti Risorgimentali in Calabria; Seminario 31 maggio-7 giugno 1998.

Ora in www.raffaelesaccomanno.net

[4] Vedi Raffaele Paolo Saccomanno, Storia sociale del comune di Grimaldi (1905-1925), Cs 1985.

[5] Vedi Raffaele Paolo Saccomanno, Storia sociale. op. cit.

[6] (3786 abitanti nel 1951 contro 1739 del 2012)

[7] Il documento del notaio Jacoe e quello del sac. Amantea è stata conservata e attualmente posseduta dalla famiglia di don Bruno Amantea Vedi: don Franco Vercillo, Grimaldi- Riti e tradizioni religiose- Brevi cenni storici del paese, seconda edizione, CS, 1999.

A don Franco spetta il merito “impagabile” di aver reso pubblici materiali che altrimenti sarebbero continuati ad essere segregati.

I manoscritti pubblicati, quello del notaio Jacoe e quello del sacerdote Amantea, purtroppo, senza un’introduzione critica, senza note che possano eliminare molte inesattezze e contraddizioni, sono abbastanza fuorvianti. Inoltre, al lettore comune potrebbero risultare poco comprensibili le parti latino-calabre del manoscritto dell’Amantea, così come sono state mal riportate molte parti del testo, risultando prive di senso e chiaramente errate.

I due documenti, a cui qui si fa riferimento, saranno indicati con queste sigle: MJ, documento del notar Jacoe; MA, studio del sacerdote Amantea, in dipendenza al libro e alla trascrizione curata da don Franco Vercillo, ove possibile corretta.

[8] “Descrizione della Bagliva di Grimaldo riformata ed ampliata per il sacerdote Gennaro Vincenzo Amantea di Grimaldo” in don Franco Vercillo, op. cit.

[9] Oltre a ciò non abbiamo realmente niente e bisogna aggiungere che non esistono “storie generali” in cui siamo rappresentati, mentre sono di scarsissimo valore storico le ricostruzioni che le varie amministrazioni del dopoguerra hanno richiesto a sprovveduti compilatori.

A onor del vero a queste “favole” non risultano estranei storici di un qualche valore

[10] Il nome antico Grimaldo fu sostituito dal corrente Grimaldi nel XVII sec. In dialetto Grimavudu o Grimaudu.

[11] MA attribuisce la denominazione di Grimaldo al solo territorio in cui venne edificato il paese (indicativamente Rupe, Perrupo, Serralonga).

[12] Raffaele Paolo Saccomanno, I Langobardi, studio inedito, in www.raffaelesaccomanno.net

[13] Il papato fu tra l’altro irriconoscente visto che grazie a re Liutprando, con la Donazione di Sutri del 728, iniziò a costituire il Patrimonium Sancti Petri.

[14] Non ci sono state comunque riportate notizie su scontri diretti e dunque è lecito presupporre un tacito accordo di non belligeranza, su questo fronte, tra langobardi e greci.

[15] È impropriamente narrato che già nell’antichità il luogo facesse parte di un territorio di profughi pandosini di vaste dimensioni (“che da Pandosia si stendeva insino Martirano”. MA pag. 30)

Di Pandosia, riconosciuta capitale degli Enotri, possiamo dire che è ormai certa la sua identificazione con Castelfranco, (come afferma lo stesso manoscritto dell’Amantea a pag. 30). Se alcuni, in epoca non definibile, si rifugiarono nei nostri luoghi, ciò rappresenta l’eterogeneità delle etnie che diedero i natali, in varie epoche, alle nostre più antiche famiglie e ai vari toponimi.

[16] Vercillo, op. cit., pag. 29

[17]  Storia della Calabria, dalle origini all’età presente, Gangemi edit., 1994, vol. I. D’ora in poi citata con la sigla SCG. Per quanto riguarda la storia dei Bruzi si veda: Mario Lombardo, Greci ed indigeni in Calabria, SCG, antica, Tomo II, pp. 57-134.

[18] La denominazione “Grimaldi o Grimaldo” prima del VII sec. d.C. è usata impropriamente ma utile per una semplice economia discorsiva.

[19] Lo storico Mario Felice Marasco (Mario Felice Marasco, Storia della Calabria, Cz, 1987. D’ora in poi citato con la sigla SC) si limita a dire che i Greci chiamarono l’odierna Calabria Ausonia, dal nome del figlio di Ulisse ed estesero tale denominazione al mar Tirreno; Esperia, per la posizione geografica ossia occidentale; Enotria, da Enotrio di Arcadia ed Italia dal presunto re Italo o perché terra dei vitelli (pag. 5).

[20] Si dice che tale nome dipenda o perché popolata all’interno da una popolazione di ceppo ligure o perché l’etimo di Bruzi fu avvicinato a quello dei Frigi o al toponimo messapico della lingua dei Iapigi di Brentision (testa di cervo), così come i greci definivano gli schiavi fuggiaschi. Altri, come Strabone (64/63 a.C. -20 d.C.), ritennero che fossero i lucani a definire in tal modo i loro schiavi fuggiaschi.

[21] Zio e cognato di Alessandro Magno e re d’Epiro fu alleato della federazione greca nella guerra contro i Bruzi. Venne colpito e ucciso orribilmente mentre fuggiva guadando il fiume Crati a Cosenza.

[22] È ipotizzato che Mamertini ha a che vedere con Martirano.

[23] Spartaco tenterà invano di far insorgere gli schiavi della Sila, dove si era ritirato prima della sconfitta finale e la conseguente crocifissione di 6000 ribelli lungo la via che da Capua conduce a Roma

[24] Temesa fu celebrata nell’Odissea in un noto passo (I, 181-184), collocata da recenti studi alla confluenza del fiume Savuto.

[25] Queste poche monete sono conservate nel Museo Civico di Reggio Calabria, mentre la necropoli è stata semplicemente sterrata.

[26] L’Amantea scrive testualmente: “Solamente dico che dalla distruzione fatta della antica e famosa città di Pandosia e luoghi convicini […] ebbe l’origine il nostro Casale di Grimaldo” (Vercillo, op. cit. pag. 30)

[27] Vercillo, op. cit., pag. 11.

[28] La storia dei Bruzi è una storia alimentata dall’eredità arcaica che fa individuare non una Calabria, ma tante Calabrie, nel continuo movimentarsi di vicende che opposero jonio e tirreno, montagna e costa, produzione agricolo-pastorale e produzione manifatturiero-artigianale, aree sovrappopolate e aree desolate, civiltà aperte e società tribali, e così via.

[29] (Strabone, Livio (59 a.C. -17 d.C.). etc.),

[30] Diodoro racconta che essi, riuniti in luoghi selvaggi, vivevano di caccia e di razzie, una volta abbandonata la condizione di schiavi fuggiaschi (doùloon drapetòon).

Non tanto dissimile è la già ricordata descrizione di Strabone. Altri narrano (in base a leggende e tradizioni esistenti nella zona di Trogo) di giovani lucani che stanchi della spartana organizzazione patria, si erano rifugiati presso pastori abitanti le selve montuose e flagellavano con saccheggi i territori confinanti […]. Contro di loro si appellarono gli impotenti socii del tiranno siciliano Dionigi, che mandò una banda di mercenari. I mercenari furono sconfitti e “i briganti” cominciarono a “fortificarsi in città”, accogliendo i pastori del luogo, assumendo il nome di Bruzi dal nome di una donna che li aveva aiutati a conquistare la fortezza siciliana.

Questa tesi fu accettata da Giustino e perfino Platone l’accenna in un passo delle Leggi, scritte dopo la drammatica esperienza siracusana, per dimostrare l’equivalenza di servi e briganti.

[31] Incidentalmente è opportuno notare che, in un frammento, Aristofane descrive la loro lingua “nera come la pece”, distinguo che ben s’addice al nostro dialetto più arcaico.

[32] Essi furono alleati di Pirro contro i Romani, e poi si presentarono come potenza espansionistica in grado di distruggere città italiote e greche (si pensi al saccheggio di Terina). Al tempo delle guerre con Agatocle, venivano definiti da Giustino, ma con riscontri in altri storici quali Nosside, Diodoro (ca 80 – 20 a.C.) e Livio, “fortissimi, opulentissimi et ad iniuras viciniorum prompti”.

[33] La nostra terra si chiamò Calabria dopo che per lungo tempo era stata chiamata così la terra fra Brindisi e Otranto, ovvero il bizantino tema della Calabria, significando “abbondanza di ogni bene”.

[34] Ben conosciuta è quella del 1027

[35] Si veda R. Liberti, Storia di Aiello in Calabria, Vibo Valentia, 1978.

[36] I mille anni dei Casali di Cosenza, a cura dei Quaderni Silani, Spezzano Piccolo,1984

[37] Al più antico casale di Santa Caterina appartennero i Sacchetti, i Saccomanno, i Silvagni; al casale di San Pietro i Calderoni, i Jacoe, i Potestio; al casale di San Nicola i Filippo, i Malito, i Mauro, i Rogliano; al casale di Santo Stefano gli Anselmo, i Caria, i Rollo, i Rossi; al casale di Sant’Anastasio i Maio, i Caria. Per quanto riguarda il casale della S.S. Trinità gli anziani coevi del notaio Jacoe non ricordavano alcuno.

Lo stesso notaio aggiunse a seguito dell’elencazione predetta “ed altri che per brevità si tralasciano” e non si capisce chi e che cosa gli desse fretta.

[38] Devo aggiungere che, a tutt’oggi, esiste una località chiamata in dialetto “arischiavi-san duminicu” che confermerebbe l’esistenza del Casale San Domenico, che potrebbe essere un altro toponimo di San Nicola o Niccolò che dir si voglia. In questo caso tutte le testimonianze finirebbero per concordare e così le denominazioni.

I nomi dei santi furono assai comuni in questa epoca e si possono riscontrare in altre località. Venerati in particolar modo furono S. Caterina, San Nicola e S. Stefano. Non è comunque lecito dare una risposta storicamente certa per definire il periodo in cui sorsero i Casali

Potrebbe valere l’ipotesi, per quanto sappiamo intorno al ducato di Benevento, che i Casali grimaldesi si formassero nel periodo della divisione dello stesso ducato, in tre potentati minori, ad uno dei quali, con tutta verosimiglianza, appartennero.

Ad una situazione già consolidata (Casali, Baglive ed Università) fanno riferimento le ricerche di numerosi storici (Barrio, Fiore, Andreotti, Martire, Dito ecc.), restando emblematica la Descrittione del Regno di Napoli del napoletano Scipione Mazzella, che assegna a Cosenza 85 Casali tra i quali Grimaldi (XI sec. d.C.).

[39] Jacoe racconta questa’altro fatto. “Da tutti li vecchi comunemente si dice che la campanella che adesso si trova nel coro parrocchiale”, era proprio quella dell’antica chiesa di San Pietro, trovata da contadini che aravano il terreno vicino e che col ritrovamento vennero accusati di aver ritrovato un tesoro. (Vercillo, op. cit., pag. 11).

[40] Vercillo, op. cit., pag. 12

[41] Inizialmente si verificarono tante discussioni, quasi tutte riconducibili alla legittima pretesa che, se fosse stato scelto uno dei Casali, “non era bene l’un godere il suo e l’altro perderlo”.  Alla fine, prevalendo il buon senso, i sei importanti personaggi furono delegati a “scorrere” il territorio per determinare un luogo sicuro dove erigere il paese.

[42] Vercillo, op. cit., pag. 12-13

[43] Dei paesi ribelli si ricorda Bisignano, Montalto Uffugo, San Marco Argentano, Malvito, Cosenza, Aiello, Martirano.

[44]Quando Aiello fu piegato con la confisca del castello, esso fu assegnato, insieme ad altri, al cobelligerante fratello del Guiscardo, Ruggero il Gran Conte.

[45] Secondo le relazioni prodotte al delegato reale Ettore Capecelatro (Hectoris Capycii Latro).

[46] Registri della Cancelleria Angioina, vol. V, p. 175 n. 296 (si veda Liberti, op. cit., pag. 28).

 

21-02-2011

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