Storia di Grimaldi: Grimaldo vecchio e le famiglie “storiche”

Grimaldo vecchio e le famiglie “storiche”

 

Le famiglie dell’origine

L’avvento dell’anno mille fu vissuto dalla cristianità con grande angoscia: si credeva che dovesse giungere la fine del mondo, l’apocalisse. Ma la fine del mondo non venne, se non altro
per il semplice fatto che il monaco Dionigi il Piccolo, vissuto intorno al VI sec. d.C. e a cui si deve la datazione ancora in corso, aveva sbagliato i calcoli del calendario, posticipando la
nascita di Gesù di circa sette anni.
Per il Meridione, tuttavia, il nuovo secolo fu effettivamente apportatore di cambiamenti epocali, che fecero del Sud un centro di risonanza per tutto l’occidente.
Con spirito millenaristico, a dire il vero, i Grimaldesi vissero soltanto la pestilenza del 1027, che li costrinse a scappare in grotte e in rifugi limitrofi, senza, peraltro, fare registrare alcuna mortalità oltre quella ordinaria. Come già raccontato, quando, passato il morbo, ritornarono nei Casali, come al solito, subirono razzie e aggressioni dalle bande bizantine e saracene. I patimenti sofferti, uniti al pretesto del rapimento di Caterina Saccomanno, li indussero a darsi la sicura dignità di un paese. Certamente è più significativo e storicamente rilevante il fatto che per un lungo periodo, di cui non è possibile con esattezza fornire i parametri, erano vissuti in puri e semplici agglomerati rurali, esposti ad ogni angheria. Nell’anno mille la situazione si era ulteriormente complicata ed i problemi sempre più difficili da gestire. La Calabria, come si è visto, era ancora di più tormentata dagli scontri e dalle scorrerie di longobardi, bizantini e saraceni e specialmente quest’ultimi due avevano portato lutti e danni dappertutto.
Tra il 1034 e il 1080 furono edificate le case. Così dice il notar Jacoe e ribadisce, argomentandolo, l’Amantea.
Grimaldo, ergendosi in cima alla Rupe, sembrava la sentinella occidentale che vigilava, alla propria destra, su cinque dei sei casali. Ai suoi piedi, si estendeva, ampia, la valle del Chiata e alle sue spalle il più vasto orizzonte del Savuto, con la miriade di paesini e di contrade, che adesso apparivano tanto vicini.
Il notar Jacoe afferma che il paese fu edificato per una decisione autonoma e certamente nessuno dei poteri esistenti dava abbastanza importanza ad un territorio che da nord a sud, da occidente ad oriente, non veniva considerato né strategico come un tempo, né percorribile, se le vie per Amantea, Aiello, Cosenza aggiravano, alle spalle, il nostro monte S. Lucerna e, sul lato opposto, veniva preferita, da sempre, l’antica via Popilia, che passava per il territorio di Malito, mentre cruciale restava il fluviale e storico transito del Savuto, su cui Grimaldi insisteva in via del tutto secondaria.
Certo è che una qualche autorizzazione i grimaldesi dovettero richiedere e, in qualità di lembo estremo dei possedimenti longobardi, vassalli della Chiesa, sicuramente ebbero concessione o dalla gastaldìa di Cosenza o, più probabilmente dall’autorità ecclesiastica. La Santa Sede, in questo periodo, era molto interessata ad evitare infiltrazioni cristiano-orientali, cercando anzi di liberare il meridione dall’influenza di monaci ed eremiti, legati alla chiesa greca e, dunque, era l’unica a badare a che il nostro paese conservasse il vassallaggio con la filiale fede, per cui si era dato ad ogni casale un nome di un Santo.
Così, in circa cinquanta anni, le contigue ma separate famiglie dei laboriosi grimaldesi cominciarono a migrare verso il paese. Vennero dal più antico e glorioso casale di S. Caterina le famiglie dei Sacchetti, Saccomanno e Silvagni; dal casale di S. Pietro, i Calderoni, i Jacoi, i Potestio; dal casale di San Nicola, i Filippi, i Maliti, i Mauri, i Rogliani; da quello di Santo Stefano, gli Anselmi, i Cari, i Rolli, i Rossi. Infine, dal Casale Sant’Anastasio, i Maio ed i Caria, tenuto conto che, per quanto riguarda il Casale della S.S. Trinità gli anziani non ricordavano, nel XVI sec., più alcun nome. Il notar Jacoe, che riporta nel modo e nell’ordine qui trascritto queste storiche famiglie, aggiunge, a margine di ogni elencazione “ed altri che per brevità si tralasciano”. Non si comprende chi e che cosa desse fretta a tal notaro, ma per trovare altri nomi bisogna aspettare documenti di molti secoli posteriori, poiché già di queste note famiglie non si dà altro conto e solo a partire dal 600/700 ne analizzeremo la differenziazione, quando da contadini e pastori, vollero distinguersi per appartenenza censitaria. Ma già nel periodo di formazione dovette esistere una qualche differenza di casta dovuta più che altro a lignaggio culturale, se è vero che i grimaldesi che ignoravano totalmente il leggere e lo scrivere, erano definiti negli atti (e lo furono fino a tempi recenti) quali “idioti”. I più benestanti curarono di far apprendere un po’ di latino, presso qualche notaio di Rogliano o Cosenza, tanto da poter inserire qualche loro rampollo nella nuova istituzione statale che stava creandosi con l’avvento normanno.
Curiosa è un’affermazione che si trova nel manoscritto dell’Amantea, persino importante, se si pensa che era un sacerdote: “Sino all’anno mille cinquecento sessantacinque in Grimaldo non vi furono Religiosi di sorte alcuna” (MA, pag. 161) volendo asserire che altre a qualche prete Grimaldi non diede alcun peso, come succederà dopo, a chiedersi oltre quello che gli veniva tramandato.
È da notare che i cognomi sono messi al plurale, quasi a significare che erano gruppi di famiglie a portarlo, ipotesi che è avvalorata dai registri borbonici (tuttora conservati nel nostro Municipio) in cui, accanto ad ogni cognome, viene non di rado segnato il soprannome, ed ancora oggi si è soliti, dalle nostre parti, distinguersi per l’appellativo o il ceppo di appartenenza, quasi che il cognome sia il tronco e i vari ceppi ne distinguano i rami.
Non è altresì secondario soffermarci sull’etimologia di tali cognomi, giacché da quest’analisi si ricava agevolmente che nel territorio di Grimaldo si ricoverarono, in tempi diversi, greci, latini, bizantini, germanici, ebrei e perfino africani, ognuno dei quali portò miti e leggende del proprio popolo, che furono agevolmente raccolte sotto l’ampia coperta cristiana.
Il paese di Grimaldo nacque, dunque, multietnico e tollerante, figlio di un assestamento, di un avvicendarsi di uomini antecedente alla sua stessa denominazione. È giusto, comunque, dargli una data di nascita e nulla vieta di accettare, come affermano i manoscritti di riferimento, la data del 1034, anche in prossimità della celebrazione dei nostri mille anni.

Lo Stato del sud: gli Altavilla

Nel 1085, nei pressi di Cefalonia, moriva Roberto il Guiscardo (l’Astuto) e la sua fine coincise probabilmente con la sistemazione definitiva di Grimaldo vecchio. Nascemmo, dunque, sotto la dinastia degli Altavilla, dopo che per secoli ci aveva ospitati un territorio longobardo dal nome glorioso.
Ma La nascita di Grimaldo vecchio coincise con un evento di eccezionale portata storica: la fondazione del Regno del Sud, il portentoso Regno del Sud, un assetto socio-economico ben definito che, attraverso vari travagli dinastici, durò settecento anni, fino alla spedizione di Giuseppe Garibaldi, che lo consegnò all’infausta dinastia dei Savoia, in un periodo di totale crisi della classe dirigente meridionale.
Grimaldo vecchio, tranne le rilevanti questioni con i De Archis di Martirano e con i Siscar di Aiello, visse una vita tranquilla, anche perché risolse in maniera pacifica tali controversie feudali.
Le sue vicende, perciò, d’ora innanzi, saranno da leggere nella storia del Meridione ed è giusto sollevare il naso oltre il campanile e vedere solo nell’epopea del Sud, la nostra storia, per ritrovare oggi più che mai la passione civile e sociale, uniti all’orgoglio che ci consentirà di stare a testa alta in una federazione italica.
I Normanni giunsero nel Meridione di ritorno da un pellegrinaggio al Santo Sepolcro.
Alcuni cronisti, tra cui Amato di Montecassino, li segnalano a Salerno nel 999, mercenari al soldo del principe Guaimaro in lotta contro i musulmani, altri, come Guglielmo di Puglia, li individuano nel 1016, sempre alleati dei Longobardi contro i bizantini. Tutti concordano che essi con Rainulfo Drengot ottennero la contea di Aversa e Rainulfo il titolo di duca di Napoli, in lotta perenne contro i saraceni.
Ma queste lotte, come le altre di Guglielmo d’Altavilla, Braccio di ferro, e del fratello Dragone, erano ancora espressione di semplice arruolamento mercenario.
Lo scenario cambiò profondamente con l’arrivo degli altri figli di Tancredi d’Altavilla, ossia del più volte ricordato Roberto il Guiscardo e del fratello Ruggero.
I Normanni furono un popolo eccezionale. In loro fu chiaro immediatamente il progetto dell’unità meridionale. Dimentichi delle loro origini vichinghe; lontani dalla Normandia, che da loro aveva preso nome e che nell’867 avevano strappato ai Franchi; non partecipi alla spedizione che stabilì il loro dominio sul suolo inglese con Guglielmo il Conquistatore, i normanni figli di Tancredi, furono solamente dei meridionali e come tali progettarono lo Stato del Sud, con lucidità, con l’astuzia, che fu la loro prerogativa più celebrata, con una strategia militare e diplomatica insuperata, fondatori di uno stato prospero e non più marginale in Italia e nella stessa Europa.
Quando giunsero nel Meridione, esso era una terra devastata ed angariata. Da Napoli a Palermo le genti erano soggiogate, in primo luogo, dai bizantini e dai Musulmani, poi stremate dalle lotte sterili e frequenti dei signorotti langobardi, mentre il potere del Papa e del sacro Romano Impero, si ritenevano super partes, convinti entrambi di rappresentare un potere universale voluto da Dio.
Roberto e Ruggero d’Altavilla individuarono immediatamente, sia nei poteri locali sia nei poteri internazionali, i nemici da distruggere, contrapponendo ad essi il loro personale potere. Era un compito insensato e perciò nessuno lo prese in considerazione. Ma questo progetto fu dagli Altavilla portato a termine con determinazione e per giunta in un tempo relativamente breve.
Già prima di manipolare abilmente il dominio e il consenso, così come è compito delle supremazie stabili, essi “fiutarono” sempre e con precisione dove attaccare, quale fosse l’anello debole del contesto bellico. Quello che appariva un folle disegno fu invece un progetto meticolosamente studiato in ogni sua parte.
Realisticamente capirono che la Chiesa era il potere più forte. Se col papa, in uno primo tempo, i rapporti erano stati burrascosi, dopo che nel 1053 il Guiscardo sbaragliò l’esercito bizantino-pontificio, fu lo stesso pontefice che si rese conto dell’importanza di un patto con gli Altavilla. Intanto gli Altavilla, conquistate varie località della Puglia e della Calabria, si erano adoperati affinché gli sconfitti divenissero i loro più fedeli sostenitori, liberi da due poteri, bizantino e saraceno, ormai stranieri. E tutto questo il pontefice capì ed approvò.
Ma gli Altavilla si fecero iniziatori di una politica assolutamente nuova: man mano che annientavano militarmente bizantini e saraceni, ne lasciavano intatti gli apparati amministrativi e ne assoldavano il personale.
Così era stato facile conquistare il Gargano, come in occidente Capua, entrambe sotto l’egida langobarda e ai vinti dimostrarono piena benevolenza, persino rispetto, invogliandoli ad integrarsi nella nuova realtà istituzionale, anche attraverso una politica di matrimoni e di elargizioni. Contemporaneamente costruirono chiese e cattedrali oltre che roccaforti e palazzi, ottenendo ancor di più il beneplacito della Chiesa. Conquistate successivamente Napoli, Salerno ed Amalfi la partita con i langobardi fu definitivamente chiusa.
Contro i bizantini ed i Musulmani la lotta fu più dura, ma meno difficile del previsto, giacché in aiuto dei Normanni vennero le stesse popolazioni del Sud. Sempre più forti e più popolari, gli Altavilla attaccarono, nel 1071, Bari, ultima roccaforte bizantina e in questa città il Guiscardo pose la capitale; l’anno dopo annientarono l’emirato di Palermo.
Dall’insediamento nella Valle del Crati, con le resistenze che aveva suscitato, alla conquista di Palermo erano passati all’incirca trent’anni e coloro che erano stati abbattuti erano divenuti servizievoli sudditi, distinguendosi per zelo proprio gli ultimi avversari, i bizantini e i musulmani, che più di altri continuarono a detenere, per conto degli Altavilla, il controllo del sistema tributario e produttivo.
Probabilmente la Chiesa romana si interrogò con ansia sul futuro, una volta che era stato distrutto il millenario protettorato dell’Impero d’Oriente, ma non dimenticò che incombeva sulla Santa Sede un pericolo maggiore: il Sacro Romano Impero degli Ottoni, che si credevano rappresentanti dell’autorità divina e che, in questo particolare frangente, non avevano fatto mistero nel considerare i Normanni veri e propri usurpatori, detenendo gli Ottoni, quali discendenti dei Cesari, anche il titolo di re d’Italia, di cui, ovviamente, ritenevano il meridione parte integrante.
Dal quadruplice antagonismo di Papato, Sacro Romano Impero, Impero d’Oriente e Musulmani, seppe prendere forza con la spregiudicatezza tipica della strategia normanna il nascente Regno del Sud.
Particolare cura il Guiscardo diede alla Chiesa che apriva un contenzioso senza mezzi termini con gli Ottoni ed egli fu ricompensato col la nomina papale di duca di Puglia e di Calabria, ricambiato dalla dichiarazione di vassallo fedele di san Pietro.
Quando Gregorio VII promulgò il famoso Dictatatus papae, gli effetti furono devastanti. Alla scomunica di Enrico IV seguì la rivolta dei feudatari tedeschi e l’umiliazione che l’imperatore accettò nelle fredde notti di Canossa. Poi le sorti mutarono. Ottenuta la revoca della scomunica Enrico IV si liberò dei feudatari ribelli e ritornato in Italia travolse senza alcun ritegno Gregorio VII. Quando il papa sembrava in balìa dell’imperatore e di un antipapa fu proprio il Guiscardo che si oppose all’esercito imperiale, ottenendo come al solito una splendida vittoria, non senza prima aver devastato e bruciata Roma, ma contemporaneamente facendosi unico protettore del pontefice, che, in ogni caso morì, di fatto, lontano da Roma.

(continua)

 

26-02-2011

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