Storia della Società Operaia di Grimaldi: L’emigrazione e i fatti amministrativi

L’emigrazione e i fatti amministrativi

 

L’emigrazione è stata difformemente giudicata dagli storici, forse perché non sono stati considerati attentamente i diversi periodi e le differenti situazioni. Così alcuni hanno visto nell’emigrazione un fattore di rinnovamento sociale, altri, un fenomeno negativo, tale da ostacolare una crescita ideologica e una possibilità di superamento di determinate forme di produzione.

Le due ipotesi appaiono entrambe vere per l’emigrazione grimaldese, ponendosi, per tanti versi, una accanto all’altra.

Nei primi del secolo, e in parte negli anni precedenti, l’esodo emigratorio[1] limitato produsse pochi mutamenti nella società.

In generale, portò a un aumento dei salari agricoli, per cui vari contadini elevarono il prezzo della loro giornata lavorativa, con conseguenze nei contratti con i proprietari che risposero al cambiamento cercando di aumentare le proprie pretese sulla produzione e sulla locazione. Ma, se esistevano contratti a lunga durata o gestioni di affitto e di subaffitto, l’aumento dei salari agricoli non poté essere pareggiato con l’aumento dei canoni, con buoni guadagni per i contadini più poveri[2].

Questa forma di emigrazione fu quindi vista in paese, come una minaccia al tipo di dominio tradizionale. Oltre alle conseguenze di prezzo e di salario, oltre alla formazione di nuovi ricchi, fu diffusa la concezione che nell’emigrazione c’era la concreta e fattibile possibilità di farsi valere[3].

È questa la condizione che promosse la formazione della Società Operaia. I confratelli, o molti a loro vicini, avevano lasciato un paese isolato, dominato dalla sciammerga, senza luce, senza acqua, senza viabilità, senza servizi igienici, colpito periodicamente da gravi epidemie, un paese in cui la fame era spesso abitudine, le case misere e malsane, schiacciato dall’usura dei galantuomini che, approfittando di malattie e di disgrazie, cercavano di rubare ogni piccolo appezzamento di terreno.

I confratelli senza istruzione, o con l’istruzione che poteva garantire questo stato di cose, partivano e per i ricchi sciammergari il loro partire significava la minaccia del ritorno.

Infatti, mai come in questo periodo la forza della Società Operaia poté meglio manifestarsi.

Essi, anche durante il periodo della lotta, emigrarono con l’orgoglio di andare per cambiare condizione e per far forte la Società, per renderla più combattiva col proprio lavoro all’estero. È questa l’emigrazione di Fortunato Colistro e dei confratelli della vecchia guardia.

Ad alimentare questa mobilità sociale, diversamente da come succedeva nel meridione e in buona parte della Calabria, contribuì la ridistribuzione delle proprietà terriere. Mentre la Calabria era sostanzialmente soggiogata al latifondo, a Grimaldi esisteva una situazione totalmente opposta. I galantuomini grimaldesi erano sostanzialmente piccoli proprietari, affiancati da liberi agricoltori proprietari di piccoli appezzamenti di terra. Su questa situazione agraria si saldò il primo nucleo degli ordini intermedi della società.

Cessata quest’ondata, l’emigrazione ripercorse le fasi della Società Operaia.

L’esodo dei contadini poveri, i tamarri, inselvatichiti, analfabeti[4], resi impotenti e perciò vincolati ancor di più al paese, con abbondanza di figli, inizierà subito dopo l’avventura della guerra. Con la guerra paradossalmente erano pervenuti a un salto di coscienza, che non si era prima accesa anche per una certa vanagloria dei primi emigrati che ostentavano grandezza.

L’arruolamento forzato, la vita in trincea e in territori pur’essi stranieri sebbene italiani, le forzate amicizie sigillate dalla morte e dalla sofferenza, l’improvviso taglio delle radici, portò questi disgraziati a riconoscere che il mondo non finiva a Grimaldi e li preparò indirettamente all’espatrio.

Con essi si verificò un tipo di emigrazione diversa. Forse perché più sfruttati, incarogniti da tanti anni di sopportazione, crearono la figura di un nuovo “americano” e determinarono conseguenze diverse per il paese. Vissuti per anni nel chiuso dei campi e delle case, strani esseri che solo nei giorni di festa avevano conosciuto la piazza e la chiesa, partirono con animo pieno di rancore.

Nelle nuove terre si adattarono ai lavori più duri e più ingrati, accumulando “dollari” con la taccagneria di chi non aveva conosciuto se non poche lire. Se talvolta avessero fatto ritorno, si sarebbero atteggiati a semplici villeggianti. Sputavano sulla situazione paesana, offendevano i loro vecchi compagni e si davano arie da benestanti, pronti, però, a ripartire. Dopo una serie di viaggi, molti di loro resteranno definitivamente lontani.

“L’emigrante porta con sé un risentimento segreto contro la terra che lo rattrista: nei paesi lontani egli ha della patria la visione ristretta e limitata alla piazza del suo paesello, alla casuccia dei suoi poderi. Ritorna in patria come venisse in villeggiatura e non si occupa degli interessi locali i quali non gli rappresentano che interessi di un luogo provvisorio. Al posto dell’antica soggezione troviamo spesso una petulante vanagloria[5].

Per loro accadde che la classe lavoratrice al posto di sentirsi più forte e unita, si disperse e rifiutò ogni interesse ideale, poiché tutto quel mutamento si dimostrò incomprensibile, ammesso che fosse possibile, poiché tutto appariva bassamente particolare e ferino.

Tra americani e contadini, tra americani e ordini medi si creò una grossa frattura che porterà viceversa molti galantuomini a fare l’occhiolino al capitale importato e usare a proprio vantaggio acquisti oppure vendite di case e di terreni. Nello stesso tempo molti altri contadini rifiutarono di organizzarsi e di lottare racchiudendo ogni rivendicazione nella speranza di andarsene pure loro[6].

Adesso che crescevano i prezzi non proporzionalmente al salario apparvero tutte le difficoltà della contrattazione e la precarietà del lavoro discontinuo.

Le conseguenze maggiori ricaddero principalmente sui contadini poveri, che per una ragione e per l’altra non emigrarono. Se per effetto dell’emigrazione e della congiuntura, nuovi tipi di contratto li avevano favoriti, è certo che i nuovi rapporti non pervennero al tipo di mezzadria, da tempo presente altrove dove c’era una diversa capacità organizzativa e una lunga tradizione di rivendicazioni e di lotta.

La mezzadria, d’altra parte, come “moderno” sistema di produzione era basato su una famiglia unita, organica, in grado di mantenere un tenore di produzione, una regolarità di rapporti con i padroni ed era basata su forme di scambio diverso, richiedendo un nuovo tipo di mercato. Con la guerra, con le ondate di emigrazione, la famiglia era stata profondamente lacerata. A ogni minimo urto e difficoltà, i giovani lasciavano la famiglia e partivano. Chi restava era l’eterno sfruttato che si arrendeva alle proprie condizioni.

Sostanzialmente ora i poveri resteranno più poveri e isolati, mentre tutta la situazione salderà i galantuomini con i nuovi padroni.

Contemporaneamente a questi mutamenti, anche a livello di lotte amministrative si assistette a Grimaldi a un vero e proprio ribaltamento degli antichi costumi.

Nella prima Società Operaia la lotta nei confronti degli amministratori costituiva il modo più importante di fare politica. Gli emigrati di allora, come sappiamo, dall’America seguivano i progressi e lotte.

Oggi con questo nuovo “americano”, poco preoccupato delle sorti paesane, l’amministrazione viene più ad essere un fatto statale, non un’espressione sociale, come l’intendevano i primi confratelli. Il popolo non è spinto né a vigilare né a criticare, ma a cercare favori. Quest’ultimo compito fu lasciato proprio ai vertici della Società Operaia, a coloro che già si erano abituati a concordare gli atti amministrativi facendo della politica, se tale poteva essere chiamata, una forma padronale di relazioni.

Galantuomini e terenziani gestivano come volevano le cose; il popolo delegava e trascurava; la “politica” non riguardava più la gente; ognuno doveva lavorare secondo la situazione personale e per il resto lasciar correre.

Come c’è il servo e il padrone, ora si fondava l’idea di una funzione statale, prima ignorata, che c’è chi governa e chi è governato.

Forzatamente, dunque, si accelerò quel processo di degenerazione della Società Operaia e presto giungerà il fascismo.

Del resto, in altre zone, alcune volte prima, si era verificato un processo analogo, se è vero che nel 1909, Pasquale Villari così si espresse al Senato:

Plaudiamo a questi dollari, a questa ricchezza ma vediamo che cosa diventa l’uomo; vediamo che cosa sono questi individui ritornati in patria. Io ritengo, per gli studi che ho potuto fare, che questi tornano cittadini inferiori […] a quello che erano quando partirono, perché essi sono stati in mezzo ad una società in cui lo sfruttamento […] è quello che solo fa salire gli uomini più in alto, ed a poco a poco hanno cominciato ad educarsi anch’essi a questo sfruttamento. Il progresso che fanno è di cominciare a sfruttare dopo essere stati sfruttati. Si produce così un virus che torna […] in Italia con i dollari”.

Riguardando tutta la complessità del fenomeno emigratorio, Pietro Mancini scrisse:

Quando l’emigrazione promosse l’operaio o il contadino al grado di proprietario, ed il figlio di essi al grado di professionista, inorgogliti dalla fortuna non fecero altro che sostituire in qualche parte, la vecchia borghesia terriera con un’altra di nuova formazione, con le stesse caratteristiche e con le stesse funzionalità, certamente più accentuate: poiché i nuovi padroni […], ignoravano il calcolo diplomatico […] dei vecchi padroni, cui spesso la munificenza, serviva per nascondere l’antitesi di presentarsi in gran pompa nelle riserve di caccia dinanzi ai contadini senza terra e senza tetto. Si formò una nuova classe, quella cosiddetta degli “americani” che avrebbe potuto slargare la struttura della vecchia società… mentre invece diventò la nemica dichiarata ed irriducibile di quella classe artigiana e contadina dalla quale aveva avuto origine[7].

Dimessosi alla fine di ottobre Enrico Del Vecchio, era divenuto Sindaco, dietro grande insistenza della maggioranza, il cognato avv. Silvagni Francesco, il quale però, avendo deciso di seguire don Enrico e la sorella a Roma, aveva avvertito che il suo sarebbe stato un breve interregno. Questo interregno durò più di un anno, giusto mentre l’Italia passava dalla neutralità alla partecipazione diretta alla guerra mondiale.

Il 7 novembre del 15, diveniva Sindaco Luigi De Rosa, mentre tanta gioventù paesana partiva per il fronte, abbandonando campagne e mestieri.

In questo contesto di gravi calamità è evidente come dovessero essere accantonati i progetti amministrativi di appena un anno prima. Come parlare di luce, acqua, fogne, viabilità, igiene ecc., mentre tanta morte decimava la gente. Il dolore allontanò i problemi locali e i progetti restarono progetti. Non a caso fu riesumata un’antica associazione caritativa per l’appunto denominata Congregazione della carità, che nel periodo pacifico e mutualistico della Società Operaia non aveva avuto più ragion d’essere.

Gli amministratori limitarono la loro opera ad emanare e a far rispettare il calmiere sui prezzi, a ideologizzare presso i più poveri il significato di quella guerra infame.

Solo un episodio di realizzazione di un’opera privata, ma dalla valenza generale, venne a segnare questo periodo. Per opera del grimaldese Iachetta Gaetano fu costruita nel Savuto una piccola centrale elettrica e Grimaldi fu il primo a beneficiarne. Il 24 marzo del 1916 si videro le prime lampadine. Il 16 luglio dello stesso anno l’amministrazione salutando Iachetta Gaetano “figlio del popolo e cresciuto in mezzo al popolo”, lo propose per il riconoscimento al merito del lavoro.

Passò amministrativamente grigio anche il successivo anno. Grimaldi fu più povera di cose e più ricca di lutti. La guerra, intanto, in quell’anno segnava momenti memorabili: l’entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco dell’Intesa del 2 aprile; la strage dell’esercito italiano a Caporetto del 24 ottobre; l’espandersi in Russia della rivoluzione sovietica.

Il 1918, com’è noto, segnò la fine della guerra. Iniziarono a ritornare i reduci, invalidi, feriti, stravolti psichicamente.

Amministrativamente l’anno fu il più meschino di quelli che abbiamo avuto modo di conoscere. Gli sciammergari ormai padroni del campo, in una situazione di lutto e disorganizzazione popolare, si azzuffavano in lotte personali così come ai tempi di don Luigi Amantea e, mentre nessuno ora, nella tragicità e nella dipendenza del momento, si sentiva di rappresentare un’opposizione, le fazioni sorsero e si schierarono pro e contro le dimissioni da vicesegretario di don Silvio Anselmo e fare questioni di pura sudditanza governativa.

I due verbali in nota danno il saggio di questa povertà umana, in un paese di miseria, di lutti e di fame[8].

Fra il ‘19 e il ‘20, si ricostituì in parte la Società Operaia senza che nulla restasse dell’antico valore, tranne l’ingenua generosità di Fortunato Colistro che non voleva arrendersi a un così grave fatto.

Mentre si iscrissero nuovi confratelli, nel ‘19 perdurarono le lotte personali a livello amministrativo arrivando prima alle dimissioni del Sindaco De Rosa, “per ragioni di salute e di famiglia”, e poi di Tartaro Francesco, il quale ha, in un atto d’impulsività, il coraggio di esprimere un duro giudizio sulla situazione:

Ora che per opera di tristi, I’ adempimento del proprio dovere si è reso difficile e spesso pericoloso”.

Siamo dunque ritornati alla lotta personale, al qualunquismo, situazione ideale per lo spirito d’interclassismo e per uno smercio ampio ai galantuomini degli attestati di soci onorari e di benemeriti ad iniziativa di Terenzio De Cicco.

Come il potere sciammergaro aveva trovato in don Luigi Amantea la più coerente espressione, nella stessa maniera, ora, questo spirito interclassista trovò la sua incarnazione in don Luigi Silvagni, farmacista[9].

Costui assunse, di fatto, il dominio indiretto della Società Operaia, distrusse con i suoi sofismi la minoranza dei confratelli radicali e promosse una conciliazione di interessi e di riappacificazione degli animi. Trasformò in breve il Sodalizio in un puro organismo assistenziale e folcloristico e, nel suo intimo, in strumento di propaganda politica per la sua futura elezione a Sindaco.

Come don Luigi Amantea, anche lui padroneggia nelle riunioni una continua mistura di pettegolezzi, calunnie e “piani” di bassa amministrazione. Usò, a livello strategico, i rinati contrasti di quartiere, creò e distrusse fazioni e cricche. Su tutto faceva campeggiare un assistenzialismo, per cui faceva della Società Operaia un luogo di scontro fra tanti grimaldesi costretti a restarci per bisogno. Il Sodalizio era perciò diventato un insieme di gruppi nemici, uniti dalle promesse di don Luigi Silvagni, consapevole di quanto giova politicamente il “divide ut impera”.

La solidarietà diventa ora una pura concessione. Dal mutuo soccorso perciò sono costretti a dipendere i contadini poveri e le persone più emarginate e disgraziate. Basta leggere la seguente richiesta che Caterina Ciardullo alias Mazzeo si fece scrivere per elemosinare qualcosa, per capire questo spregevole atteggiamento caritativo[10].

Spettabile Società di Mutuo Soccorso – Grimaldi

La supplicante trovasi nello stato di assoluta miseria e incapacità a lavoro.

Si rivolge perciò fiduciosa alla carità dei Signori Componenti la Società locale di Mutuo Soccorso e non dubita che vorranno concedere una elemosina qualsiasi perché a causa dell’acutizzazione della malattia si muore di fame. Iddio pagherà il buon cuore […].

Grimaldi 10 maggio 1913.

Caterina Mazzeo alias Ciardullo

 

Accanto a queste pratiche, non mancava in don Luigi Silvagni, la consapevolezza di svolgere un vero e proprio indottrinamento politico, sapientemente inserito in un incremento di attività folcloristiche. Egli sapeva che ogni farsesca vitalità è l’esplicarsi di una reale posizione subalterna e costituisce il terreno idoneo al consenso ideologico.

Il concetto politico cardine di don Luigi Silvagni era il rinnovamento nella tradizione, intesa come rispetto dei ruoli sociali, politici ed economici (fatti coincidere), con l’assoluto rispetto della legislazione esistente e del superiore benessere della patria, parola quest’ultima tanto grave nella psiche distrutta degli ex soldati e delle loro famiglie.

Insomma, era la versione paesana di quel bagaglio d’improvvisazioni, stupidaggini e cinismo che camuffarono il contemporaneo sviluppo del potere fascista[11].

La disciplina che fu imposta alla Società Operaia la trasformò in un apparato mafioso di massa, intollerante verso chi restava fuori, controllato da una minoranza temuta per il suo aperto spirito clientelare.

Con questo potere in mano don Luigi Silvagni, presentatosi con una propria lista, nell’ottobre del 1920, vinse le elezioni a stragrande maggioranza, divenendo subito dopo Sindaco.

Uno dei suoi primi atti è stato impresso in questo verbale del novembre del 1921: il neoeletto per la cura dei malati poveri ha somministrato gratuitamente le medicine per un valore di lire1.450, presentando a prova le relative ricette, con la seguente eloquente dichiarazione:

Il Sindaco “come ha fatto per il decorso anno, continuerà a somministrare sempre gratuitamente i medicinali ai poveri fino a che […] dalla fiducia del paese, sarà tenuto a disimpegnare l’ufficio del Sindaco”.

Dice di essere certo che anche l’altro farmacista consigliere sig. Amedeo de Rosa “farà lo stesso”. Insieme a questa distribuzione gratuita di medicinali confezionati nella stessa farmacia, don Luigi non si cruccia di maltrattare chi per caso è andato a servirsi dall’altro farmacista Tartaro, visceralmente odiato.

È ben degno, dunque, Luigi Silvagni di diventare ben presto il segretario della sezione fascista.

 

 

 

 

[1] Dal 1876 al 1905 emigrarono dalla provincia dl Cosenza 220.000 persone.

[2] Data la pratica contrattuale singola e diretta, il più delle volte si giunse a diversi accomodamenti fra le parti, a vantaggio comunque dei lavoratori.

[3] Dalla popolazione calabrese emigrata nel corso del 1905 il 38,9% era rappresentato da agricoltori; il 32,4% da braccianti, il 38% da muratori, il 2,2% da domestici e nutrici, lo 0,05% professionisti.

[4] All’anagrafe, relativamente allo stato civile e professionale, sono spesso censiti quali “idiota”.

[5] Taruffi, Nobili, Lori, op. cit. Gli autori rimarcano anche il grave danno che quest’atteggiamento, unito all’esodo dei più attivi e intelligenti, portasse ai tentativi di organizzazioni operaie (pag. 848 e seg.).

[6] Questa forma di emigrazione trovò il suo culmine e succederà intorno agli anni Cinquanta quando il paese letteralmente si spopolerà.

[7] In un articolo sull’Avanti del 25 ottobre 1967

[8] Il primo racchiude la vicenda del vicesegretario:

Ritenuto che il signor Anselmo Eugenio in seguito alle dimissioni del fratello Silvio dal posto di vice-segretario, per far causa comune con un gruppo di consiglieri che, in pregiudizio degli interessi comuni (tentando invano di imporre la loro volontà alla maggioranza del consiglio) volevano, con le loro dimissioni provocare lo scioglimento della municipale amministrazione ecc. ecc.”, il Presidente don Luigi De Rosa, enuncia pubbliche deplorazioni.

Il secondo, ben più significativo a livello politico, dà il senso della viltà sciammergara che commemora con la più spregevole retorica, un evento a cui era restata estranea:

Il signor Presidente propone un riverente voto in omaggio a S.E. on. Orlando ed agli immortali uomini del governo che hanno ben saputo condurre e compiere gli eventi storici di questo solenne e glorioso periodo di ardua lotta e colla vittoria riportata dai fieri e valorosi figli d’Italia, ci assicureranno una nuova era di pace, di lavoro e di grandezza”.

[9] ”Dottor chimico”, lo definisce don Filippo Amantea.

[10] Si pensi che tutti erano a conoscenza della situazione di questa poveretta, che viveva di stenti in un “catoio”, dove d’inverno scorreva l’acqua, restando poi tutto bagnato d’umidità per il resto dell’anno.

[11] In quest’opera non si fece attendere il contributo di don Filippo Amantea, vecchio guerrafondaio e interventista della prima ora.

 

06-03-2011

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