Storia della Società Operaia di Grimaldi: L’adesione al fascismo

L’adesione al fascismo

 

Nel 1920 Fortunato Colistro era ritornato in America. Sicuramente nel suo animo erano sorti molti dubbi sulla continuità ideologica della Società Operaie, se è vero che aspettò due anni (lui così zelante), per scrivere alla Società. In ogni caso le sue lettere mostrano che non voleva arrendersi all’evidenza. Scrive infatti il 31 marzo 1922:

Egregio signor Presidente, Ufficiali e Fratelli,

sono quasi due anni che mi trovo in questa terra di Colombo e realmente avrei dovuto scrivere prima ma i miei affari privati mi hanno impedito dallo scrivere. Non che non nutro il medesimo orgoglio dello stesso giorno in cui sposai questo sodalizio moderno che ha rotto la rete dei cosiddetti intellettuali tutti appartenenti alla lacera sciammerga. Sono sicuro che combattete sempre quella vittoriosa battaglia. Voglio sperarmi che a quest’ora avete assicurato alla Società una sala degna di Noi figli del lavoro. Essa sarà il monumento più grande al nostro ideale. Credo che tutti hanno risposto all’appello. Anch’io voglio mettere la mia pietra a quel monumento che mai crollerà”.

È chiaro che nonostante i due anni trascorsi, l’ingenuità di Fortunato Colistro e la sua esagerata fiducia nella natura dei confratelli abbiano dettato queste righe. È certo che è uno dei pochi a restare fedele alle antiche illusioni.

I confratelli, i più emancipati, sono ormai in confidenza familiare con i galantuomini, che sembrano ormai lontani dall’arroganza antica e dalle pretese “distanze”. Molti di questi ultimi hanno capito che è ora di spartire il potere con una parte del ceto emergente e sono disposti a farlo, perché questo compromesso li lascia al potere con una base popolare disposta ad accettarli e a servirli anche se diversamente.

Molti confratelli, d’altra parte, sanno che, costruitasi la casa, avendo quello che hanno un po’ tutti per vivere, conviene riappacificarsi e lasciare che altri ripiglino le loro battaglie, se è vero che altri e non loro, sono adesso a quel determinato grado di sviluppo. Per loro la meta è raggiunta; progressi se ne sono fatti ed è inutile istigare quanti sono restati indietro. Ora sanno cosa è il potere e come deve essere esercitato.

Il primo obiettivo è la pace sociale. Predicano che tutti alla fine progrediranno, cosa di cui loro sembrano incarnare l’esempio. Nel frattempo, ognuno deve rispettare quanto ha dato la sorte, senza fratture sociali, cercando di progredire nel rispetto della tradizione.

In questa situazione Fortunato Colistro e i suoi amici americani devono esser mollati.

Nonostante le lamentele e a volte le minacce, non si risponde alle loro lettere né è tenuto in alcun conto quello che ingenuamente dice Fortunato Colistro nella lettera prima citata:

siate tutti apostoli ferventi. Fate pesare sempre la mano di ferro ai nostri avversari che sono avversari del mondo del lavoro”.

In effetti, alcuni confratelli si sono ribellati alla svolta della Società Operaia dando vita ad una nuova associazione  cui aderirono quasi tutti i confratelli  dall’America, denominata “Unione e progresso”, mettendo alla sua presidenza il vecchio confratello Raffaele Paolo Saccomanno[1]. Fu un bagliore da poco, sebbene dessero il loro supporto Pietro Mancini e Pasquale Fiorino[2]. Non ci fu la forza d’impedire che il nuovo organismo diventasse più che un’organizzazione combattiva, una nuova setta.

Siccome nel paese si combatteva la personale lotta tra don Luigi Silvagni e don Giovanni Iachetta, dopo lo scontro e l’accordo dei due, quando i soci dell’Unione e Progresso, si troveranno soli, perché non utilizzabili dalle fazioni in lotta, restando in pochi, arriveranno a far rumore con i banchi, per far credere alla concorrente Società Operaia, di essere in molti e di discutere animatamente grandi iniziative.[3]

Il fascismo ormai fa proseliti, non al di fuori di queste organizzazioni, ma al loro interno, profittando della loro ambiguità e contemporaneamente dell’ambivalenza mussoliniana giunta fino ai piccoli centri.

La Società Operaia è ben presto fascistizzata.

Ed è proprio in questo periodo, nel 1923, che avvenne l’episodio che movimentò il popolo grimaldese. Una sera don Luigi Silvagni passeggiava per la piazza, nonostante la neve e inveiva contro don Giovanni Iachetta, che stava nel vicino ufficio postale[4]. Fatti tutti personali l’avevano altamente inferocito. Quando don Giovanni uscì per tornarsene nella casa vicina nacque un alterco e don Giovanni allentò un ceffone a don Luigi da buttarlo per terra. Fu subito un risuono. I più ardenti fascisti corsero a casa del Iachetta, intanto sparito, mettendo tutto sottosopra e picchiando perfino la moglie. Corsero minacce, denunce e cose del genere. Tutto il mondo sciammergaro si mobilitò. Alla fine, prevalse il buon senso dell’appartenenza comune e una lettera di scuse chiuse la questione nello stesso modo in cui il consiglio del 22 gennaio del ‘23 deplorò pubblicamente “l’atto violento e proditorio”.

Nei mesi che seguirono, il fascismo, preparato da questi anni di dissolutezza sociale, divenne la forza dominante del paese. Il 6 marzo 1923, il Partito Nazionale Fascista – Sezione M. Bianchi di Grimaldi, così scriveva alla Società Operaia:

Ci risulta che poche persone, servendosi del nome della Società Operaia, fanno opera di propaganda contro l’attuale Fascio intimidendo e minacciando quei Soci di codesto Sodalizio che intendono inscriversi […] a questa Sezione.

Benché gli appartenenti a questo Direttorio, che fanno parte […] della Società Operaia, smentiscano nel modo il più assoluto che le voci insidiose che circolano siano espressione di Codesto Sodalizio, noi attendiamo da Voi Ill.mo Signor Presidente una sincera […] dichiarazione al riguardo, affinché con qualunque mezzo e con ogni azione noi possiamo smascherare e punire […] coloro che fanno opera deleteria verso il Governo Nazionale ed il benessere della Patria.

In attesa, con ogni ossequio

Il Direttorio

(Firmano: Gabriele De Simone, Primo Umberto, Rose Vincenzo, Silvagni Armando, Francesco Falsetti).

 

Il 9 marzo il Sindaco, presentandosi dimissionario, pronunciò questo discorso:

Sento il dovere di dire poche parole e prego il segretario comunale di voler raccogliere e consacrare in verbale fedelmente il mio dire.

Nell’ottobre del 1920 unanimemente senza distinzione di partiti e di classe, l’intera cittadinanza ci fu dei suoi suffragi larga e ci mandò in questa Casa Comunale quali suoi rappresentanti per la tutela della cosa pubblica e per la risoluzione di gravi ed importanti problemi che da parecchi lustri rimanevano allo stato d’informi, scheletrici, impolverati progetti, abbandonati ed obliati nei vetusti archivi municipali. Per opera mia e dei miei onorevoli compagni di lavoro, dopo assidua, alacre, instancabile attività, quella carta, quella semplice carta è stata trasformata in danaro sonante. 330 mila lire sono da un pezzo a disposizione nostra perché decretata dalla Cassa DD e PP più di alcuni mesi dietro; e voglio con questa riferirmi all’opera principale, vitale, di risanamento igienico per il nostro paese: la fognatura. Altri progetti sono in via di soluzione. Ai nuovi amministratori lasciamo come retaggio onestà indiscussa ed onesto lavoro, non mai risparmiato per il bene del nostro paese… Con ogni mezzo e con tutte le forze del nostro apostolato di fede e di coscienza abbiamo sorretto i diversi governi dell’ordine, ed oggi più che mai l’attuale benemerito Governo Nazionale Fascista. Fin dai primi anni, onorevoli consiglieri, signori del Pubblico, che stamane ci avete onorato del vostro largo […] concorso e di vostra presenza, appresi nel mio focolare domestico, nel santuario della mia famiglia, una idea, una sublime idea che col passar degli anni si è in me connaturata come la carne alle ossa, cioè l’ideale del giusto e dell’onesto, il partito dell’ordine, la illimitata […] devozione per S.M. il Re, per la Maestosa Regale Famiglia Sabauda. Sono fascista nell’animo […], sono un conservatore amante del diritto, ossequiente alle leggi; sono fascista nell’animo e come tale, a nome dei miei Assessori, a nome dei consiglieri qui presenti ed assenti, a nome della grande maggioranza di questa nobile e generosa Grimaldi e di quanti con me condividono i miei propositi, affido sulle ali dei venti il mio ossequiente, sentito, deferente saluto a S.E. Benito Mussolini, nostro Duce Supremo, Patrocinatore convinto del giusto, dell’Onesto e del Diritto, Salvatore del Regno d’Italia”.

 

È dunque la fine della coscienza civile grimaldese e della Società Operaia. Il nuovo Sindaco Niccoli Gabriele, l’11 novembre dello stesso anno, chiede di conferire la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini e a Michele Bianchi. Il consiglio approvò per acclamazione.[5]

Il paese, tranne pochissimi, partecipa a tutto questo fervore reazionario usando i più disgraziati, come volgari e violenti propagandisti e servendosi dell’olio di ricino anche per rivalità di mestiere[6].

A questo punto sembra che le notizie giungano a Fortunato Colistro, in America. Saputo della fascistizzazione della Società Operaia, è però ancora convinto che sia una mossa opportunista:

Confesso che per me il fascismo è come una pietra di piombo sullo stomaco, penso che la Società ha dovuto aderire per salvarsi la pelle”.

A lui che personalmente aveva incontrato tanti confratelli non molto tempo prima, seguaci o per lo meno disposti a pensarla in parte come lui, sembrava impossibile una così repentina svolta, e si nascose volutamente che essa non era stata né repentina né così inaspettata. Nella stessa lettera, infatti, riconosce l’insignificanza della sua cautela unitaria e finisce per denunciare le due anime della Società:

Saluto quei soci di fede che pensano a lavorare per il progresso dei componenti. Non quelli che sottopongono i nostri soci al dominio dei padroni fascisti o fanno lo scavo per i signori che è la stessa cosa. Evviva Mazzini, Garibaldi e la libertà. Abbasso il fascismo assassino”.

“Il progresso dei componenti” come dice lui, non è più un fine della Società. Col progresso di alcuni, si è chiusa ogni rivendicazione. Adesso i confratelli sottopongono altri confratelli al dominio, facendo finta di rappresentarli, di aiutarli, di essere dalla loro parte. La Società Operaia è diventata l’alibi del potere.

Fortunato Colistro ha forse capito. Il capitolo della Società Operaia è chiuso. A lui, ad altri come lui, toccherà organizzarsi diversamente, sperando (e non accadrà) di non ripetere gli stessi errori.

Altri confratelli scrivono sdegnati dall’America. In nome di un gruppo, Cozzetto scrive:

Vengo con la presente lettera a portare un saluto degli operai grimaldesi, se la Società è Operaia. Se è fascista noi ci vergogniamo, perché noi operai non possiamo appartenere coi parassiti”.

Al mutamento radicale della Società Operaia, i tiepidi cercano di giustificarsi affermando che per continuare il loro mestiere non possono inimicarsi il direttorio fascista. e in parte hanno ragione. Gli altri inneggiano al duce. Solo pochi hanno il coraggio di dire no, nell’intero paese, e spesso alcuni semplicemente perché non erano accettati nella sezione fascista[7].

Intanto la vera anima di Terenzio De Cicco e di Filippo Amantea veniva alla luce. L’avvocato scriveva a De Cicco, presidente della Società Operaia:

Che il sodalizio l’abbia novellamente eletto a quel posto di massima fiducia e di grande responsabilità che Ella già tante volte nel passato, ai tempi che ogni battaglia era una vittoria, tenne con grande zelo ed energia, osservando per il primo […] la disciplina sociale e facendola rispettare […]: onde quella concordia che rendeva […] il sodalizio formidabile agli avversari e rispettato da tutti”.

Mai con più chiarezza può esprimersi una così netta esaltazione di un disegno reazionario perseguito e raggiunto. Insieme hanno sempre pensato a dominare, a conquistare il potere. Le battaglie vittoriose sono per loro, l’aver affermato “con zelo ed energia” il rispetto della gerarchia, osservandola per primi e “facendola rispettare”.

Entrambi sanno gli ostacoli che hanno incontrato per portare avanti il progetto. Continua l’avvocato:

Né, purtroppo, le difficoltà sono superate, anzi ora incalzano, più gravi che mai. Occorre senno, accortezza, prudenza in chi dirige; abnegazione, concordia, disciplina in tutti”.

È la chiarezza esemplare, quella catechistica di chi ama il potere e, conquistandolo, intende difenderlo. In tutti questi propositi, la verbosa letterarietà dell’avvocato è totalmente assente, il che, se ancora una volta fosse necessario, dimostra l’aridità di ciò che è sostanziale nella persona e di quanto è accidentale.

La lettera porta la data del 28 giugno 1925, poco tempo dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti.

L’Unione e Progresso era stata smantellata e tutti ossequiavano Luigi Silvagni.[8]

In quegli stessi giorni Terenzio De Cicco, invierà una serie di telegrammi, tutti dello stesso tono, poiché sono sempre tutti dello stesso tono gli annunci di morte civile[9].

All’ “Eccellenza Mussolini”, scrive: “Nello assumere carica Presidente questa Società Mutuo Soccorso onoromi inviare E.V. nome intero sodalizio nostro profondo ossequio imperitura devozione illimitata fede”.

All’”Eccellenza Michele Bianchi” scrive: “Nello assumere carica Presidente Società Mutuo Soccorso inviole nome intero sodalizio rispettoso ossequio protestandole immutabile imperitura devozione[10].

Nel 1925 di fatto la Società Operaia è finita. Se, come per tutte le organizzazioni, l’ordine di scioglimento sarà di alcuni anni posteriore, è questo un puro atto formale.

A questa data si ascrive la sconfitta di Fortunato Colistro. Isolato nella lontana America, con pochi compagni sparsi per il mondo, si vide battuto dall’antica realtà, ma a suo onore, bisogna dire che questa la sua sconfitta non fu una disfatta, se è vero che avrà ancora da vivere, ritornare a Grimaldi e presiedere i nuclei comunisti e socialisti che per lui costituiranno il trionfo della “sua” Società Operaia.

Questa volta, non ci sarà alcuno dei confratelli traditori, cioè nessuno dell’altra Società Operaia, quella che aveva svenduto il mondo del lavoro e della democrazia.[11]

 

 

 

 

[1] Come sappiamo era stato uno di fondatori della Società Operaia. Morirà nello stesso anno di don Enrico del Vecchio, nel 1927, alla vigilia di Natale.

[2] Socialista, uomo di Mancini a Grimaldi. Si veda Pietro Mancini, I Partito Socialista, op. cit.

[3] Testimonianza di Michele Bambino, allora giovane aderente all’Unione e Progresso.

[4] L’ufficio era ubicato nella sala del vecchio municipio in Piazza.

[5] A titolo di esempio ecco le parole riguardanti Benito Mussolini:

“Il signor Presidente fa rilevare che S.E. Mussolini, come Duce del Fascismo e come capo del Governo è autore del meraviglioso mutamento che l’impeto e l’ardimento delle Camicie Nere ha saputo operare e del profondo rivolgimento politico maturato nella coscienza dell’azione che ha dato all’Italia un Governo Nazionale cultore e medico delle nuove fortune della Patria. Propone quindi… che si conferisca a S.E. Benito Mussolini, la cittadinanza onoraria”.

[6] Esempio, il contrasto tra i barbieri Niccoli Michele e Pettinato Ernesto, che fu mandato e punito nella vicina Rogliano dalla Milizia.

[7] Così mi raccontò il vecchio amico Michele Bombino.

[8] Il 1924 fu ucciso dalla squadra fascista “La Disperata” Paolo Cappello, sul ponte San Francesco di Cosenza.

[9] Come è facilmente costatabile, man mano che la Società Operaia degenera, dai documenti è eliminata la denominazione “Operaia” e diventerà più opportunamente “Società di Mutuo Soccorso”, a sottolineare la distanza con ciò che era stato l’antico sodalizio.

[10] Al Prefetto di Cosenza:

Nello insediarmi Presidente questa Società Mutuo Soccorso onoromi inviare vossignoria beneamato capo provincia nome intero sodalizio reverente ossequio protestandole nostra devozione governo fascista”.

[11] Questi sono i nomi degli amministratori del 1925 dichiaratamente fascisti:

 

Albo Achille fu Francesco,

Albo Giuseppe fu Antonio,

Amantea Gioacchino fu Francesco,

Anselmo Antonio fu Gaetano,

Anselmo Eugenio fu G.B.,

Anselmo Giovanni fu Raffaele,

Caruso Luigi fu Saverio,

Cavaliere Ernesto fu Giuseppe,

Del Vecchio Vincenzo,

De Simone Gabriele,

De Rosa Amedeo,

Falsetto Saverio fu Nicola,

Funaro Pasquale,

Iachetta Gaetano fu Pasquale,

Iachetta Giovanni fu Raffaele,

Iacino Antonio Vincenzo,

Maio Francesco Saverio,

Mantello Francesco fu Giuseppe,

Silvagni Umberto,

Vetere Giuseppe di Fortunato.

 

06-03-2011

 

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