Storia della Società Operaia di Grimaldi: La società grimaldese ai primi del Novecento

La società grimaldese ai primi del Novecento

 

Nei primi del 900, Grimaldi era un paese isolato nel senso più ampio del termine, non solo sul piano degli scambi, ma più concretamente per l’assenza di vie di comunicazione con i paesi limitrofi. Esisteva una specie di mulattiera sconnessa che collegava, per l’Aria Rossa, alla “murattiana” che attraverso Piano Lago e Donnici portava a Cosenza[1].

Per i paesi vicini, (Altilia, Maione, Aiello, Laurignano, Lago, Amantea e Mendicino ecc.), esistevano veri e propri sentieri di montagna.

Nessuno del resto faceva lunghi viaggi, sprofondato nella vita a cui la sorte l’aveva legato. Viaggiavano i “galantuomini” per il capoluogo, raramente più lontano, mentre si spingevano oltre i loro figli per recarsi alle università di Napoli e Messina.

Il paese, di poca estensione, era privo di luce, di fognatura, solcato da alcune vie disselciate, a gradini, con viottoli laterali bui e stretti, intorno a cui le case si stringevano le une alle altre, come ai tempi delle incursioni saracene. In alcune zone, strategicamente collocati, alcuni lampioni a petrolio, che venivano spenti, a discrezione dell’amministrazione e dell’operatore comunale.

Paese, diviso in tre o quattro zone, ma sostanzialmente opposto tra “quelli di sopra” (capadertu, in cima all’erto) e “quelli sottostanti” (‘mpedichiati, ai piedi del Chiata), dichiaratamente in contrasto virulento, addirittura riconducibile a Grimaldi vecchio[2].

L’approvvigionamento di acqua, non si sa quanto potabile, avveniva da pubbliche fontane che accanto ai canali per gli “uomini” avevano quello per i “cavalli”.

La maggior parte delle famiglie, povere e “falciate” [3] da malattie, viveva più che in case, in diversi spazi di stessi stabili, promiscuamente disseminata, raccolta ogni sera al focolare o, in tempi caldi, sui gradini delle scale, pronta, come si diceva, ad “andare a letto con le galline”, giacché costretta ad alzarsi allo spuntar dell’alba.

Nella zona del Timpone, in quegli anni, l’imprenditore edile don Raffaele Mauro, aveva dato la possibilità di acquistare una piccola dimora, costruendo casette ad una o due camere, ma a un prezzo che portava allo stremo decenni di sudori e risparmi. In ogni caso, poche, rispetto alla maggioranza dei grimaldesi che continuavano ad abitare in quelli che sono gli attuali “catoi”.

In alcuni di questi locali, oggi chiaramente disabitati, a volte erano operanti, a ore, i vari magazzini degli stagnini, dei falegnami, dei fabbri, dei sellai, delle filatrici e così via; oppure stavano le ingombranti macchine di legno per tessere, nonché i numerosi forni per il pane.

Pochissimi erano i negozi la cui merce andava dal “verderame” alle scarpe, e, nei periodi buoni, allo zucchero, al caffè, alla pasta sfusa, al baccalà, alle sarde salate e che vendevano principalmente la merceria utile alla laboriosità domestica. Gli “alimentari”, prodotti in proprio, erano fatti occasione di baratto anche con gli stessi commercianti.

Quella di Grimaldi era insomma una vita grama, raccolta attorno alla Chiesa Madre e alla piazzetta, dove i galantuomini andavano a passeggiare col bastone dal pomo d’argento e l’orologio da tasca ben in vista, riveriti, con la tranquillità degli oziosi.

Costoro, a rendere alterna quella miseria di case, a grappolo, avevano costruito i palazzotti, con la classica entrata, dove la gente stava in attesa, gli ampi saloni, le cornici alle porte, la carta alle pareti, per non dire degli stemmi in pietra locale collocati pomposamente sui grandi portoni dai pesanti battenti.

Le donne del popolo passavano buona parte della giornata, quando erano libere da incombenze rurali, a rattoppare, lavorare a maglia, impegnate alla conservazione di qualcosa per l’inverno, lavare e andare con grossi barili a rifornirsi d’acqua alle fontane pubbliche.

In paese, la chiesa[4] era il luogo del riposo e della superstizione, utile alla miseria, luogo pronto, nelle numerosissime e affollatissime novene, a offrire più che il senso dell’eterno, la necessità dello svago fantasioso, quel magico compiacimento che danno le prediche infuocate e le evocazioni infernali di qualche predicatore fatto venire all’occorrenza; chiese gremite sempre, con uomini e donne seduti separatamente; oasi della rassegnazione e del dolore confidati al confessore e sublimati nell’ostia e nei gradevoli canti liturgici; con il “coro” appannaggio dei galantuomini.

Una comunità dalla notte profonda, più profonda di quella notte reale che i temerari illuminavano con la luce fievole dei “tizzoni”, sottratti al focolare, per uscire da una miseria ed entrare in un’altra, notte senza vento, i cui valori erano vincolati al rispetto degli usi e dei costumi, all’affannoso e meschino attaccamento alla roba, alla confidenza con quel tipo di sopraffazione che porta i contadini a sottomettersi ai padroni e a superare le repressioni scaricandole su moglie e figli.

Chi vede una pianta di Grimaldi del 1905, troverà la straordinaria e raccapricciante raffigurazione di un Cristo appeso alla croce.

Paese, comunque, che oltre al palazzotto comunale, aveva quello dei Reali Carabinieri, della Reale Pretura e del non meno Reale Carcere di smistamento.

 

 

 

[1] Una diligenza impegnava più di 3 ore a percorrere 19 Km, con almeno tre poste. (A. Guarasci: Politica e società in Calabria dal Risorgimento alla Repubblica, vol. I, “Il collegio dl Rogliano”, Chiaravalle 1973).

[2] Grimaldi “vecchio” venne distrutto dal terremoto del 1638 e riedificato subito dopo, nella zona detta Chiata. Il contrasto risale alla richiesta della chiesa dei canoni, a cui vennero delegati due preti e due chiese.

[3] Mortalità a Grimaldi:

Anno 1866 morti 79; Anno 1867 morti 109; Anno 1868 morti 103. In totale 291 morti.

Per età  

Nel ‘66

 

Nel ‘67

 

Nel ‘68

 

Totale

Fino ad 1 anno 28 45 32 105
Da 1 a 5 anni 7 20 23 50
Da 6 a 15 anni 3 6 6 15
Da 16 a 25 anni 1 7 5 13
Da 26 a 40 anni 10 6 10 26
Da 41 a 60 anni 14 10 12 36
Da 61 a 70 anni 9 9 9 20
Oltre 71 anni 7 1 8 28

 

[4] A Grimaldi esistevano due chiese, quella matrice e quella dell’Immacolata Concezione, che si affiancarono al “disgraziatissimo” Convento dello Spirito Santo, fondato dal laico fra’ Desiderio Saccomanno nel 1576 il quale ne fece “donazione all’Università di Grimaldo nel 1586”, ossia prima della fondazione di Grimaldi “nuovo”. (vedi Manoscritto del sacerdote don Gennaro Vincenzo Amantea, (1777), posseduto dai dottori Amantea)

 

28-02-2011

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