Storia della Società Operaia di Grimaldi: I primi confratelli e Fortunato Colistro

I primi confratelli e Fortunato Colistro

 

Descritte le vicende amministrative che si svilupparono intorno alla Società Operaia vittoriosa, è ora opportuno valutare più attentamente le vicende interne al sodalizio e dare una più precisa connotazione umana e sociale dei partecipanti[1].

Alla Società Operaia s’iscrissero in genere individui con diversi mestieri[2], per meglio dire, persone che contemporaneamente esercitavano diverse attività[3].

Gli ordini medi, come più volte sottolineato, erano una classe “in movimento”, una specie di piccola borghesia intraprendente, il cui slancio progressivo era proporzionale alle improvvise cadute di stato.

Fatte le debite differenziazioni, le considerazioni di Engels, a questo proposito restano ampiamente valide: “tra la borghesia propriamente detta, e la classe proletaria e operaia, la piccola borghesia aspira alla posizione della prima, ma il minimo rovescio di fortuna precipita i suoi membri nelle file della seconda. Essa è sballottata continuamente tra la speranza di salire nelle file della classe più ricca e la paura di essere ridotta alla condizione dei proletari e perfino dei poveri”.

In ogni caso, i primi confratelli si unirono da vincoli che almeno inizialmente esorbitavano da ogni domanda sul futuro. Erano vincoli di amicizia, con un codice di cooperazione e di disciplina senza confronti nella storia grimaldese[4]. La loro compattezza fu enorme, tale da determinare la fine di un secolare dominio, verso il quale agirono con spirito di diretta contrapposizione, a volte, di duro antagonismo personale.

Il massimalismo era l’animo della discussione. La volontà di manifestarlo era innanzi tutto un atteggiamento individuale notevolmente battagliero. Tanto per fare un esempio, Ferraro Vincenzo, tenendo a presentarsi, e lo era, tra i più irriducibili, si faceva sempre carico delle incombenze del servizio d’ordine, perché ciò fosse notato da tutti e specialmente dagli sciammergari; né altri tranne lui poté portare lo stendardo sociale nelle varie cerimonie pubbliche, con la coccarda in bella vista sul petto[5].

I confratelli, che erano tenuti a partecipare alle riunioni settimanali, pagare senza eccezioni le quote mensili, impegnarsi nell’organizzazione e nel proselitismo, evitare, nei periodi di particolare tensione, ogni pubblica discussione non autorizzata, gli si stringevano intorno.

La Società Operaia fu insomma, in questa sua prima fase, un vero e proprio partito cittadino, controllato in maniera assolutamente democratica, ma non per questo indisciplinato e spontaneista[6], con una serie di cariche direttive e di controllo, affidate ai più degni e revocabili in ogni qualsiasi momento[7].

Le azioni erano tutte concordate dopo lunghe discussioni; le polemiche interne, frequenti per l’animosità della lotta, erano tenute fuori da ogni pubblicità esterna e concluse con il ricorso inappellabile all’arbitraggio degli organi preposti, nello spirito che dovere primo di ogni confratello era mantenere unito il sodalizio. Questo spirito troverà la sua più elevata incarnazione in Fortunato Colistro, contadino e bracciante, spesso emigrante e unanimemente rispettato come “capo” naturale della Società Operaria.

La devozione al sodalizio era tale che poteva giungere a forme di religiosità, che sono evidenti in questa lamentela:

Porto a conoscenza della Signoria Vostra che giorno 17 marzo il socio Notti Achille in una pubblica cantina pronunciava all’indirizzo della Società Operaia queste parole: va bene, questa volta ho sparato a pallini, ma mi riservo di sparare a palle un’altra volta. Si trovavano presenti il signor Carlo Nigro, i soci Saccomanno Raffaele e Iacucci Alfonso. Prego quindi il consiglio di voler indagare a che cosa voleva riferirsi il detto Achille Notti”.

L’unità del sodalizio non era formale e a quei tempi si specificava in un’energica solidarietà.

I confratelli malati erano assistiti e confortati: era loro corrisposta una cifra giornaliera di sussidio e vigilati a turno.[8] L’esemplarità è data da ciò che accadde a Pino Antonio. Ammalatosi gravemente, dato per spacciato dai medici, restò, nell’imminente fine, immobilizzato a letto. La Società Operaia gli attribuì subito il sussidio e stabilì i turni di assistenza giorno e notte. Pino Antonio restò moribondo a letto quasi un anno e notte e giorno i confratelli lo vegliarono e assistettero. Tutto ciò costò enormi sacrifici ma la Società Operaia non venne meno ai suoi principi.

L’episodio e il suo esito furono anche la sfida della solidarietà operaia contro il vizio, la faida, l’individualismo del mondo dei galantuomini.

Quando Pino morì, questa diversità si accentuò. Fin allora i poveri erano chiusi fra quattro assi di legno, solo i galantuomini avevano le “loro” bare.

Per il confratello Pino Antonio, vissuto e morto povero, le cose andarono diversamente. La Società Operaia decise di acquistare per lui una bara “con le cornici”, di portarlo a spalle fino al cimitero con lo stendardo in testa, facendo del corteo funebre una grande manifestazione di massa contro l’arroganza degli sciammergari.

Ancora, la Società Operaia, potenziò ogni attività culturale, popolare e folcloristica. Decretò ogni terza domenica di marzo, festa della Società Operaia, ovverossia festa paesana. Quel giorno gli uomini con manto e cappello, donne e bambini in festa, si recavano al vicino “Perrupu” per una festosa scampagnata e tra discorsi, canti e vino finivano per inneggiare a Mazzini e in particolare a Garibaldi[9].

Qualche volta i braccianti, che erano l’avanguardia del sodalizio, arrivavano ad annunciare un finimondo inaudito. Erano tra i più irriducibili, dato che la loro forza economica era, anche rispetto agli altri confratelli, giornaliera, come il loro lavoro. Insorgevano subito quando si profilava il minimo sospetto di pacificazione o compromesso con i galantuomini. Deve essere fatto risalire a loro un particolare articolo dello statuto in cui è espressamente dichiarato “non saranno ammessi a far parte dl questa società gli individui di condotta immorale e tutti quelli che tengono il Do[10].

Non avevano né richiedevano indulgenza. Cosi come indulgenza non avevano verso se stessi, che erano pronti ad andarsene per il mondo per non sottostare ai padroni locali[11], così come indulgenti verso se stesse non erano le loro donne, che erano braccianti con la gonna, asservite ai lavori della casa e delle terre, bestie da trasporto, abbrutite e senza giovinezza.

Il periodo di rottura divenne meno trasparente man mano che ci si avvicinava al 1915. A ciò contribuirono “le adesioni onorarie” di un numero crescente di galantuomini e il fatto che molti confratelli della prima ora furono costretti a emigrare.

In ogni caso, la lotta aperta, fu tenuta viva da un ampio strato della Società Operaia, guidate da individualità che, più che su grandi capacità oratorie e intellettuali, si facevano forti dell’esempio dato con la loro vita.

Questi confratelli continuarono la lotta dall’America e furono quelli che ritornarono di tanto in tanto per conservare la giusta linea della Società Operaia. Alcuni di essi formarono una vera e propria sezione staccata in Canada, a Rossland, da cui spedivano anche “direttive”.[12]

Questo spirito di lotta pervase quasi tutta la corrispondenza degli emigrati. Basta leggere, tra le tante, ad una lettera di Francesco Guarascio, in cui è detto:

Noi qui dalla lontana America speriamo a essere solidali onde fare rispettare dai famosi sciammergari che prima ci tenevano schiavi ed io griderò sempre abbasso la sciammerga e viva la Società Operaia”.

Lo stile sgrammaticato non può far diminuire il peso di questi propositi e la passione immessa in questa lotta, tenendo presente che questi poveri cristi semianalfabeti ebbero il coraggio di contrapporsi alla potenza secolare dei galantuomini. In mezzo al cinismo che corrompe le nostre anime, nella chiusura di orizzonti che ognuno di noi si è creato per lasciare tranquillamente ma inutilmente scorrere la propria esistenza, non è facile poter credere in una causa con la stessa fermezza e con lo stesso ardore di questi confratelli.

Scriveva, sempre dall’America, il confratello Antonio Ferraro fu Francesco:

Miei cari confratelli,

ricorrendo le feste Natalizie e Capodanno, sarebbe indecenza passare inosservate. Così mi accingo scrivere, onde augurare la felicità e prosperità della nostra organizzazione simbolo di civiltà e Giustizia nella specie umana e di fermezza fra le masse disorganizzate che a [sic] sempre cercato raccogliere sotto la bandiera dell’uguaglianza, così io come un fedele confratello con questi pochi righi mi slancio con vero amore sociale ad augurare di nuovo che il nuovo anno restringerà più forte l’amicizia dei componenti l’ordine e continuerà l’opera sua vendicatrice da rimanere impressa nelle pagine della storia grimaldese. Avanti o fratelli, che nessuno arresta il cammino, mille cari saluti e forti auguri vostro e per la vita”[13].

Di queste anime belle allora erano molte, uomini senza menzogna, che volevano migliorare se stessi insieme agli altri in quanto avevano gli altri per misura. Uomini onesti che ben si riconoscevano in un contadino, come loro illetterato e ramingo per il mondo, più volte presidente della Società Operaia, Fortunato Colistro.

A Fortunato Colistro, l’incarico di Presidente della Società Operaia fu dato a riconoscimento per le sue qualità di uomo buono e fiero molto influente nel mondo del lavoro. Quando partiva, chi lo sostituiva sentiva il peso che si assumeva, pronto a riconsegnarglielo ogni qualvolta lui rientrava “al posto di combattimento”, com’era solito dire.

Di questa fede testimoniano le sue lettere, che ho corretto in minima parte, lasciandole assolutamente fedeli nella sostanza.

Scrivendo dall’America il 31 marzo 1912, propone un tema costante: la Società Operaia, momento di rottura in una società arretrata.

Sono orgoglioso che la Società abbia fatto rapidi progressi e che anche i timidi siano venuti a godere la benefica ombra della nostra bandiera, quello stemma glorioso che porta un giglio d’amore e di fratellanza. In mezzo a quel giglio risplende la stella dell’aurora di un nuovo avvenire per il nostro paesello natio. Quella stella di civiltà già risplende poiché i gonzi sono avviliti e coperti di brago”.

Colistro si richiama ad ogni passo alle origini della Società Operaia e al valore di lotta della bandiera:

Vieni oh bandiera sicura innanzi a noi, noi siamo figli tuoi e tu madre a noi sempre sarai. Con queste parole si formò il primo […] circolo fraternale, quel circolo che è divenuto presto una catena di ferro. Oggi è tempo che la nostra società posi la sua potente mano di ferro sui serpenti velenosi […] e far loro conoscere cosa sono le braccia dei liberi cittadini congiunti”.

La lettera termina con un grido di battaglia:

Ricevete i saluti del confratello Gustavo Conci. Fra breve veniamo a prendere il banco di difesa”.

La Società Operaia è per quest’uomo un vero motivo di esistenza e quella che potrebbe apparire retorica è al contrario una scelta di vita.

In un’altra lettera del giugno dello stesso anno, si nota con quanta trepidazione fossero seguite le azioni della Società Operaia e come fossero accolte le vittorie:

Le belle notizie che mi comunicate mi sono care e mi rendono orgoglioso. Mi congratulo con voi e tutti gli ufficiali che lavorano indefessi per il progresso di quella società che alzò il prestigio dei figli del lavoro. L’aristocrazia grimaldese voleva negarcelo, ma noi l’abbiamo ottenuto con la nostra rivolta”.

Nella stessa lettera è ripetuta quella che per Fortunato Colistro è una preoccupazione costante:

Fra noi non deve regnare alcuna nuvola di rancore, ma quei vincoli di solidarietà fraterna secondo il motto tutti per uno e uno per tutti. Questa è la via che noi dobbiamo seguire per il progresso morale e materiale del nostro sodalizio. Lavoriamo uniti, confratelli! Siamo tutti apostoli della verità. Facciamo sentire, almeno nel ventesimo secolo, che noi non vogliamo più padroni”.

La lettera termina rinnovando l’appello: “Regni fra noi la pace e la concordia; che questa catena non si spezzi mai più”.

Dopo queste lettere, nel ‘14, Fortunato Colistro ritornò dall’America, riacquistando il suo posto di presidente, nel momento in cui Enrico Del Vecchio lasciava la battaglia e intere schiere di contadini, da lì a poco, stavano per essere sacrificate agli interessi che avevano fatto scoppiare la sciagura di un conflitto mai visto.

Con la guerra inizierà l’inquinamento ideale. Fortunato Colistro fu l’ultimo a cadere e, come vedremo, con l’ingenuità di difendere una Società Operaia che non era più né società né operaia[14].

 

 

 

[1] I soci fondatori (preso atto di quanto detto alla nota del cap.) sono indicati nel dicembre del 1908 in numero di cinquantadue. Lo Statuto, che poteva essere modificato con i 4/5 dei consensi, andò in vigore a partire dal 2 gennaio 1909, essendo stato approvato il 25 dicembre dei 1908.

La Società nei 1910 aveva raggiunto probabilmente le 200 unità. Ad es., la tessera di Pietro Bifano fu rilasciata il 26-06-1910 e porta il numero 158.

[2] I nomi sono stati ricavati in base alle liste di versamento di quote mensili, relative ai primi anni della Società Operaia e, anche se vanno considerati come una rappresentanza parziale, sono più che statisticamente attendibili.

[3] Per fare un esempio a me noto, il confratello Saccomanno Raffaele Paolo, in alcuni locali in piazza, esercitava il mestiere di cantiniere, calzolaio, barbiere, commerciante, panettiere e, a tempo perso si adattava a tirare qualche dente con i lucenti strumenti che si era portato dagli Stati Uniti legando il povero malcapitato di turno sulla sedia da barbiere.

[4][4] Nello Statuto della Società è indicato, “come unico e fine supremo il reciproco economico aiuto, il miglioramento sia morale che intellettuale dei soci”, aggiungendo, nell’art. 2, che “la medesima è istituita per il soccorso e vantaggio di coloro che la compongono; ma anche per l’utilità e giovamento di tutti i cittadini per aiutare le relazioni tra loro, unirli come membri di una sola famiglia

[5] L’esibizione della coccarda era un’abitudine tra i primi confratelli.

[6] L’ordine dell’assemblea era garantito, per così dire, a livello monastico. “Il socio che arreca disturbo alle riunioni, che non rimane al suo rispettivo posto o che si ritira senza permesso del Presidente, sarà multato di centesimi cinquanta… Un socio che interrompe un altro nel suo discorso, eccetto per chiamarlo all’ordine, sarà multato di 1lira”. “Qualsiasi membro che si reca alla riunione ubriaco e che parla per disturbare il consiglio, il Presidente avrà li dovere di avvertirlo solo una volta e se lo stesso continua ordinerà immediatamente di metterlo alla porta, multandolo con lire 4”.

Tutti i soci hanno diritto alla parola. Sono tenuti però od alzarsi e chiedere rispettosamente la parola al presidente: negli argomenti dovranno esprimersi con brevità e chiarezza e tenersi al soggetto in proposito e nel contraddire l’opinione altrui faranno uso di parole decorose”… “nelle riunioni profondo silenzio”.

[7] I dirigenti a norma di statuto “non potranno fare nessuna spesa senza il consenso dell’assemblea”. Nella sez. 2 dei Regolamenti, titolo primo, è espressamente dichiarato “non saranno ammessi a far parte dl questa società gli individui di condotta immorale e tutti quelli che tengono il Do

La disciplina (vedi nota precedente) era uno degli elementi più importanti nella vita della Società. Diversi erano i provvedimenti che potevano essere adottati, dalla multa all’espulsione. In ogni caso il socio accusato avrebbe avuto “copia dell’accusa”, e sottoposto al giudizio di una commissione di cinque membri.

In casi di rilevante gravità si poteva deliberare non solo in contumacia, ma con votazione immediata.

Nello Statuto si evidenzia, in maniera eclatante, come ogni mancanza fosse trasformata in multa, nell’evidente necessità di dare alla Società un’autonomia economica consistente, utile a far fronte al dovuto soccorso dei soci.

 

[8] “Ogni socio è tenuto a pagare nel fondo sociale la tassa di centesimi cinquanta al mese”. “Ogni membro … riceverà in caso di malattia la somma di lire sette alla settimana”. “Quei soci nullatenenti avranno il diritto ad un funerale di lire 50”. (Statuto)

[9] Questa Società Operaia, onore e vanto dei “figli del lavoro” la possiamo rappresentare in queste categorie e questi nomi:

Braccianti: Albo Giuseppe, Brescia Vincenzo, Caria Giuseppe, Cozzetto Pietro, De Stefano Giuseppe, Falsetto Stefano, Farlaino Francesco, Ferraro Antonio, Guerriero Carmine, Iacino Antonio, Mauro Filippo, Naccarato Francesco Montelione, Notti Pasquale, Notti Michele, Pino Antonio, Stancato Pietro, Veltri Fortunato, Giardullo Pasquale, Malito Francesco, Maio Giuseppe, Maio Gabriele, Ianni Giovanni, Saccomanno Pietro, Albo Saverio, Pino Francesco.

Negozianti: Albo Giovanni, Bilotta Domenico, Conci Gustavo, lacino Vincenzo, Potestio Giuseppe, Maranò Vincenzo, Albo Enrico, Colistro Antonio.

Cantinieri: Rollo Raffaele.

Falegnami: Albo Nicola, Vetere Francesco, Torchia Giovanni.

Muratori: Mauro Giuseppe Sciolla, Torchia Gregorio (Falcone Vincenzo, Falcone Pasquale).

Calzolai: Albo Achille, Anselmo Feliceantonio, Niccoli Pietro, Rose Antonio, lacino Giovanni, Saccomanno Raffaele Paolo, Marinaro Vincenzo, Calentini Teodoro, Piro Francesco.

Mulattieri: Ferraro Vincenzo, Mauro Matteo, Potestio Giacomo, Sdao Bruno.

Altri: De Cicco Terenzio (orologiaio), Maio Giuseppe (mugnaio), Mantelli Francesco (calderaio), Como Francesco (vasaio), Converti Luigi.

Piccoli e medi proprietari: Colistro Fortunato, Amantea Francesco, Cozzetti Giuseppe, Nigro Saverio, Albo Francesco, Colistro Giuseppe, Fiorillo Pasquale, lacoe Giuseppe, Milinazzo Fortunato, Anselmo Antonio, Anselmo Giovanni, Mauro Giuseppe, Mauro Flavio, Mauro Pasquale, Sdao Antonio, lachetta Raffaele, Vecchio Fedele, Niccoli Gabriele.

Sarti: Albo Giuseppe, lacino Bonaventura, Vecchio Giuseppe.

Fabbri: Malito Timoteo, Gagliardi Giovanni.

[10] Il “Don”. (sez. 2 dei Regolamenti, titolo primo). L’articolo fu presto disatteso attraveso la creazione dei soci onorari.

[11] Nello statuto è detto “qualunque socio che ha interesse di stabilirsi in qualunque posto del mondo sempre che avverte il segretario della sua nuova dimora e che paghi le sue quote, avrà diritto al sussidio in caso di malattia, mediante un certificato medico. In caso dl morte sempre che la società sia notificata accorda gli onori funebri”.

[12] È testimonianza questa lettera di qualche anno prima:

Cari Confratelli,

La presente serve notificarvi che essendo in questo paese di Rossland un numero di 12 membri tutti appartenenti alla Benemerita Società Mutuo Soccorso di Grimaldi ad iniziare dei confratelli Mauro e Forlaino si decise di aver una riunione; ciò che fu tenuta il 2 corrente mese; dove decise ed approvò il seguente ordine del giorno:

1) Riunitisi in riunione i soci appartenenti alla Benemerita Società Mutuo Soccorso di Grimaldi decisero e approvarono quanto segue. Di protestare energicamente verso la Società per laggire [l’agire] fatto dei consiglieri [comunali], appartenenti alla Medesima, verso [contro] i propri interessi Sociali.

2) Di farci a noi consapevole mensilmente dei verbali settimanali Sociali, dell’introito ed Esito; nonché di quanto fa la medesima.

3) Nonché si vede che dei principi fondamentali della Medesima, non se ne appoggia più nessuno; almeno come disse il Commissario Bartolini (Bartolotta Marcello, vedi pag. 49) che il risanamento del paese stava nella fognatura e nell’acqua potabile.

4) I soci che ànno [hanno] votato contrario nella riunione Comunale dell’aprile scorso; e che in sala furono favorevoli e nel consiglio contrari ciò che fa a dimostrare la leggerezza della Società; chiedono per i quattro consiglieri Sociali contrari la sospensione di tre mesi ed una multa di L. 25,00.

5) Vogliamo augurarci che delle promesse fatte e dette in pubblici comizi dall’Egregio avvocato e Sindaco Signor Enrico Del Vecchio; che si avverino; mentre da notizia pervenutaci, si dice che tanto la fognatura; acqua potabile ed edificio Scolastico, sono passate al libro morto; Ciò che noi ci auguriamo di tutto cuore che ciò che disse si avverasse. Come già il suo nome è fatto eco nelle terre più lontane delle Americhe, così vogliamo sperare che il Suo programma per la bella Grimaldi, non andasse ai tempi futuri; e che si esaurisca a tempi non lontani.

7) Che il Signor Segretario si ricordi, si compiaccia di fare un Elenco per noi di Rossland e di farci sapere di quanto siamo arretrati verso la benemerita.

Non altro con la speranza di una pronta risposta e con i segni e della più profonda stima fraterna a tutti un saluto di cuore; ed al grido di Evviva sempre la Società Mutuo Soccorso di Grimaldi; per i membri riuniti di Rossland Vostro Aff.mo Confratello Giuseppe Mauro di Pietro Sciolla”. La lettera porta la data del 7 giugno 1912 ed è controfirmata dai confratelli: Francesco Farlaino, Pasquale Fiorillo, Francesco Albo, Francesco Guarascio, Pasquale Notti, Pasquale Ferraro, Pietro Stancato, Carmine Guerriero, Notti Michele, Francesco Naccarato Montelione, Cozzetto Pietro, Destefano Giuseppe.

[13] La lettera è del 1913

[14] Nel settembre 1913 si tenne a Catanzaro il IV congresso operaio. Ad esso, come ai precedenti, non partecipò la Società Operaia di Grimaldi, mentre si nota la presenza del circolo Operaio di Malito.

 

06-03-2011

 

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