Capitolo XVI – I fatti amministrativi dell’anteguerra alla fine del ‘20
Dimessosi alla fine di ottobre Enrico Del Vecchio, era divenuto sindaco, dietro grande insistenza della maggioranza, il cognato avv. Silvagni Francesco, il quale però, avendo deciso di seguire il cognato e la sorella a Roma, aveva avvertito che i suo sarebbe stato un breve interregno. Questo interregno durò in ogni caso più di un anno, giusto mentre l’Italia passava dalla neutralità alla partecipazione diretta alla guerra mondiale.
Il 7 novembre del 15, diveniva sindaco De Rosa Luigi, nel mentre tanta gioventù popolare grimaldese partiva per il fronte, abbandonando le campagne e i mestieri.
In questo contesto di gravi calamità è evidente come dovesse essere accantonato l’attivismo amministrativo di appena un anno prima. Come parlare di luce, acqua, fogne, viabilità, igiene ecc., nel mentre tanta morte decimava la gente: il dolore estinse i problemi e i progetti restarono progetti. Non a caso venne riesumata un’antica associazione caritativa per l’appunto denominata Congregazione della carità, che nel periodo pacifico e mutualistico della S.O.M.S. non aveva avuto più ragione di essere.
Gli amministratori, perciò, limitarono la loro opera ad emanare e a far rispettare il calmiere sui prezzi, a ideologizzare presso i più poveri il significato di quella guerra infame. Solo un episodio di realizzazione d’opera pubblica venne a segnare questo periodo, ma al di fuori dell’interessamento amministrativo. Ad opera del grimaldese lachetta Gaetano venne costruita nel Savuto una piccola centrale elettrica e Grimaldi ovviamente fu il primo a giovarsene: il 24 marzo del 1916 si videro le prime lampadine. Il 16 luglio dello stesso anno l’amministrazione salutando lachetta Gaetano “figlio del popolo e cresciuto in mezzo al popolo” lo propose per il riconoscimento al merito del lavoro.
Passa così amministrativamente grigio il successivo anno: Grimaldi è più povera di cose e più ricca di lutti. La guerra, intanto, in quell’anno segnava momenti memorabili: l’entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco dell’Intesa del 2 aprile; la strage dell’esercito italiano a Caporetto del 24 ottobre, per l’incapacità del comando supremo delle truppe; l’espandersi in Russia della rivoluzione sovietica.
Il 1918, come è noto, segnò la fine della guerra. Ritornarono o iniziarono a ritornare i reduci, invalidi, feriti, stravolti psichicamente dall’evento brutale dei fatti.
Amministrativamente l’anno fu il più sporco, a livello umano di quelli che abbiamo avuto modo di conoscere. Gli sciammergari ormai padroni del campo, in una situazione di lutto e disorganizzazione popolare, si azzuffavano in lotte di interesse personale così come ai tempi di don Luigi Amantea e mentre nessuno ora, nella tragicità e nella dipendenza del momento, si sentiva di rappresentare un’opposizione, le fazioni sorsero e si schierarono pro e contro le dimissioni di vice segretario di don Silvio Anselmo e delle relative vicende.
Si conclude così in un rinato spirito sciammergaro l’ultimo anno di guerra. Due verbali amministrativi danno il saggio di questa ignobile mentalità, in un paese di miseria, di lutti e di fame. Il primo racchiude la vicenda del vice-segretario: “Ritenuto che il signor Anselmo Eugenio in seguito alle dimissioni del fratello Silvio dal posto di vice-segretario, per far causa comune con un gruppo di consiglieri che, in pregiudizio degli interessi comuni (tentando invano di imporre la loro volontà alla maggioranza del consiglio) volevano, con le loro dimissioni provocare lo scioglimento della municipale amministrazione ecc. ecc.”, il Presidente don Luigi De Rosa, enuncia pubbliche deplorazioni.
Il secondo, ben più significativo a livello politico, dà il senso della viltà sciammergara che commemora con la più spregevole retorica, un evento a cui è restata estranea:
“lì signor Presidente propone un riverente voto in omaggio a S.E. on. Orlando ed agli immortali uomini del governo che hanno ben saputo condurre e compiere gli eventi storici di questo solenne e glorioso periodo di ardua lotta e colla vittoria riportata dai fieri e valorosi figli d’Italia, ci assicureranno una nuova era di pace, di lavoro e di grandezza”.
Fra il ‘19 e il ‘20, si ricostituisce in parte la SOMS, ma come abbiamo visto una SOMS totalmente nuova, poiché nulla rimase dell’antico valore, tranne nella ingenua generosità di Fortunato Colistro che non voleva arrendersi ad un così grave fatto.
Mentre si ritrovano nuovi e diversi confratelli, nel ‘19, a livello amministrativo perdurano le lotte personali che portano “per ragioni di salute e di famiglia” prima alle dimissioni del Sindaco De Rosa e poi di Tartaro Francesco il quale però ha, in un atto di impulsività, il coraggio di esprimere la realtà della situazione: “ora che per opera di “tristi”, I’ adempimento del proprio dovere si è reso difficile e spesso pericoloso”.
Siamo dunque ritornati, a Grimaldi, alla lotta personale, al qualunquismo, situazione ideale per lo spirito di interclassismo e per uno smercio più ampio ai galantuomini degli attestati di Terenzio De Cicco, a Soci onorari e benemeriti.
Così come il Potere sciammergaro aveva trovato in don Luigi Aman tea la più coerente espressione, nella stessa maniera, ora, questo spirito interclassista trova la sua incarnazione in don Luigi Silvagni, farmacista. Costui assume di fatto il dominio della SOMS, distrugge con i suoi sofismi la minoranza dei confratelli radicali e promuove costantemente una conciliazione di interessi e di riappacificazione degli animi. Trasforma in breve la SOMS in un puro organismo assistenziale e folcloristico e, nel suo intimo, in strumento di propaganda politica per la sua futura elezione a sindaco.
Come don Luigi Amantea, anche lui padroneggia nelle riunioni una continua mistura di pettegolezzi, calunnie, intrallazzi e piani di bassa critica amministrativa. Usa, a livello strategico, i rinati contrasti di quartiere, di zona, crea e distrugge fazioni e cricche. Su tutto faceva campeggiare la funzione assistenziale come espressione tipica1 in questo dopo guerra, della SOMS, per cui faceva del sodalizio un luogo di scontro fra tanti grimaldesi che in ogni caso erano costretti a restarci per bisogno. Il sodalizio era perciò di fatto un insieme di gruppi nemici, uniti dalla promessa d’un assistenzialismo e dall’apparente opera di conciliazione di don Luigi Silvagni, consapevole di quanto giova politicamente il “divide ut impera”.
L’assistenzialismo che era, un tempo, frutto dello spirito di iniziativa e di solidarietà dei soci, diventa ora una pura concessione dall’alto.
Dal mutuo soccorso perciò sono costretti a dipendere i contadini poveri e le persone più emarginate e disgraziate.
Basta leggere la seguente richiesta che Caterina Ciardullo alias Mazzeo si fece scrivere per elemosinare qualcosa, per capire questo spregevole strumento caritativo. Si ricordi che tutti erano a conoscenza della situazione di questa poveretta, che viveva di stenti in un “catoio”, dove d’inverno scorreva l’acqua, restando poi tutto bagnato d’umidità per il resto dell’anno.
“Spettabile Società di Mutuo Soccorso – Grimaldi
La supplicante trovasi nello stato di assoluta miseria ed incapacità a lavoro.
Si rivolge perciò fiduciosa alla carità dei Signori Componenti la Società locale di Mutuo Soccorso e non dubita che vorranno concedere una elemosina qualsiasi perché a causa dell’acutizzazione della malattia si muore di fame.
Iddio pagherà il buon cuore.
Grimaldi 10 maggio 1913.
Caterina Mazzeo alias Ciardullo”
Accanto a queste manovre, non mancava in don Luigi Silvagni, la consapevolezza di svolgere un vero e proprio indottrinamento politico, sapientemente inserito in un incremento di attività folcloristiche. Egli sapeva che ogni farsesca vitalità è l’esplicarsi di una reale posizione subalterna al potere dominante e che ciò costituisce il terreno del più ampio consenso ideologico.
Il concetto politico cardine di don Luigi Silvagni era il rinnovamento nella tradizione, intesa come rispetto dei ruoli sociali e principalmente politici ed economici (fatti coincidere), con l’assoluto rispetto della legislazione esistente e del superiore benessere della patria, parola quest’ultima tanto grave nella psiche distrutta degli ex soldati e delle loro famiglie. Insomma, era la versione paesana di quel bagaglio di improvvisazioni, stupidaggini e cinismo che camuffavano il contemporaneo sviluppo del potere fascista. In quest’opera non si fece attendere il contributo di don Filippo Amantea, fatto passare ormai per una gloria nazionale, come intellettuale e filosofo.
La disciplina che venne imposta alla SOMS, la fece trasformare di fatto in un apparato mafioso di massa, intollerante verso chi ne restava fuori; controllato da una minoranza, temuta per il suo aperto spirito clientelare.
Con questo potere in mano don Luigi Silvagni, presentatosi con una propria lista, nell’ottobre del 1920, vinse le elezioni a stragrande maggioranza, divenendo subito dopo sindaco. Uno dei suoi primi atti è stato impresso in questo verbale del novembre del 1921. Il sindaco per la cura dei malati poveri ha somministrato gratuitamente le medicine per un valore di L.1.450, presentando a prova le relative ricette, con la seguente eloquente dichiarazione:
Il sindaco “come ha fatto per il decorso anno, continuerà a somministrare sempre gratuitamente i medicinali ai poveri fino a che dalla fiducia del paese, sarà tenuto a disimpegnare l’ufficio del sindaco”. Dice di essere certo che anche l’altro farmacista consigliere sig. Amedeo de Rosa “farà lo stesso”. Insieme a questa distribuzione gratuita di pseudo medicinali, don Luigi non si cruccia di maltrattare chi per caso è andato a servirsi dall’altro farmacista, visceralmente odiato.
È ben degno, dunque, Luigi Silvagni di essere contemporaneamente il segretario della sezione fascista.
06-03-2011
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