Storia della Società Operaia di Grimaldi: Cap. 13 – Il dopoguerra

Cap. 13 – Il dopoguerra

 

Il conflitto criminale e immorale, scatenato dalle forze padronali internazionali, venne compreso sotto questo aspetto delinquenziale solo molto più tardi e solo da chi possedeva una sana coscienza storica (1).
La parte più povera della popolazione grimaldese non lo comprese concettualmente ma lo comprese col dolore del proprio sacrificio.
Quando negli anni successivi venne innalzato un monumento ai caduti, dei 24 nomi iscritti, ben 19 erano di contadini, 3 della media povertà (Parisio, artigiano; Achille Notti, artigiano; Benincasa, muratore) e solo due del ceto dei galantuomini.
È bene raccontare la storia di questo monumento perché non solo dà il senso della nefandezza del periodo in cui venne fatto, 1927, in pieno regime fascista, ma anche dell’immaturità e della retorica che pervase gli animi dei confratelli e dal compromesso, li portò verso il fascismo. La retorica, del resto, una volta che gli eventi della guerra avevano distrutto il localismo grimaldese, era il pane quotidiano dei capi d’allora della SOMS e stranamente anche per i poveri, un modo di lenire e dare un senso ai propri sacrifici. Così se di retorica si deve parlare, maestro grimaldese non poteva non essere che Filippo Amantea, il quale proprio al monumento dedicò un opuscoletto (Inaugurandosi il monumento ai caduti grimaldesi) e un impegno personale per la pronta realizzazione.
L’idea di erigere il monumento fu avanzata subito dopo la guerra, ad opera di comitati americani di ex combattenti o parenti di combattenti. Filippo Amantea promise subito il suo interessamento presso lo scultore Duilio Cambellotti e di fatto vide la possibilità di celebrare la morte di suo fratello Rosario” morto a casa per malattia contratta in guerra”, protagonista guerrafondaio dell’opuscolo prima citato.
Il progetto dovette restare a lungo fermo e come si è visto trovò attuazione solo nel ‘27. Tra la progettazione e la realizzazione il clima grimaldese dei “politicanti” venne arroventato da viscerali contrasti e da pesanti dicerie. I galantuomini, per vizio antico, si erano divisi in tante cricche e questa volta, dato lo stato di degenerazione della SOMS, avevano coinvolto i vari esponenti della società.
La polemica partì alla larga: si cominciò sul tema dell’interventismo, sulla scia di ciò che andavano predicando Michele Bianchi e Benito Mussolini. Filippo Amantea che da interventista in pantofole aveva dedicato molte conferenze all’argomento nel periodo bellico, pubblicando perfino un insulso opuscolo (Discorso al popolo di Cosenza sulla necessità e le ragioni ideali della guerra), aprì le ostilità, ovviamente nell’ottica e nell’ ambito locale.
“Or l’imboscatume, salvata la pancia ai fichi, se la passeggia al sole; e, in barba ai cacciatori d’austriaci, riformato poniamo perché sciancato, va con gambe lestissime, cane, cartucciera e fucile a caccia”.
“La vittoria se la giuocarono poi a pari e caffo le fazioni e il politicantume tra lo schiamazzare e il putrido rifermentare di tutto il vigliaccume rimasto già dentro a marcire”.
La SOMS era divisa in generale nell’astio antinobiliare, nella difesa dei propri aderenti caduti e dei propri reduci. Il popolo parteggiava per chi attaccava gli imboscati, non tanto per interventismo, quanto per onorare almeno i propri morti.
La miccia innescata fece scoppiare le dicerie e ovviamente tutto girò intorno agli unici due galantuomini caduti nella guerra: il fratello di don Filippo e il tenente Anselmo Emilio.
Quando nel ‘27, finalmente il monumento fu in procinto di essere costruito, gli antichi rancori vennero a galla. lì monumento, prevedeva sul gruppo scultoreo del Cambellotti, stomachevole esempio di scultura sadomasochista di stampo patriottardo, l’iscrizione dei nomi dei caduti.
Filippo Amantea propose di iscriverli, democraticamente, in ordine alfabetico. Lo scopo era ovviamente un altro: in tale maniera il nome del fratello sarebbe stato il primo. Tutti gli avversari si opposero e alla fine, in funzione di compromesso, proposero una triplice distinzione dei caduti:
caduti sul campo; dispersi; morti per malattia contratta al fronte. Le polemiche e l’astio raggiunsero il massimo. Alla fine, il comitato promotore fu costretto a votare la decisione da prendere. La tesi di don Filippo fu bocciata, sebbene dalla sua parte fosse schierato perfino il podestà.
Terenzio De Cicco, presidente della SOMS, si schierò anche con don Filippo Amantea, ma altri comprimari fascisti e confratelli votarono contro. La SOMS è dunque l’organismo superfluo pronto ad essere definitivamente inglobato nelle strutture fasciste.
A don Filippo restò la possibilità di scrivere: “un borghese, un valoroso ufficiale di carriera il primo ad eroicamente cadere in uno dei primissimi assalti, apre la lista di Grimaldi (Si tratta di Emilio Anselmo, N.d.A.); un borghese, l’ultimo a morire dopo un lungo patire, la chiude (il fratello, N.d.A.). In più a lui spettò di scrivere l’epigrafe che campeggia sul monumento: “Ai figli di Grimaldi per la patria nella grande guerra caduti questo ricordo i grimaldesi d’Italia e delle Americhe sacrarono tra la chiesa ove Dio e l’arengo ove il popolo”.
Nessuno scrisse “Questi contadini di Grimaldi concimarono altrove la bestialità dei padroni. Ad “onore” di questa bestialità, questo monumento”.
Se la SOMS fosse stata nel ‘27 quella di Fortunato Colistro, avrebbe attaccato al muro i ritratti di questi 19 martiri: Naccarato Pietro fu Francesco, Saccomanno Giuseppe di Giovanni, Bruno Bossio Antonio Maria fu Pietro, Fiorino Antonio di Salvatore, Fiorino Luigi fu Pasquale, Filice Pasquale di Giovanni, Filippelli Pasquale di Vincenzo, Bruno Giuseppe di Angelo, Albo Vincenzo fu Antonio, Fiorino Pietro fu Pasquale, Bruno Luigi di Antonio Maria, Notarianni Francesco di Giuseppe, Pietramala Raffaele di Vincenzo, Fata Pietro fu Rosario, Ferraro Flavio Ottavio di Antonio, Rollo Raffaele fu Antonio, Bruno Bossio Pasquale di Geniale, Bruno Michele di Angelo, Vercillo Giuseppe di Pasquale; e con essi il Notti e il Parisio e il muratore Benincasa.

 

 

NOTE

 

(1) Nel dopoguerra si ebbero in Calabria numerose sommosse contro il carovita. Vicino a Grimaldi, ad Aiello ci fu perfino una sommossa che si chiuse con alcuni morti.
Tra Il ‘19 e il “22 avvennero occupazioni delle terre, a cui ad esempio parteciparono i contadini di Malito e della fascia presilana.
A tutto questo la cittadinanza grimaldese e la 5OMS restarono estranee.

 

06-03-2011

 

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