Sigmund Freud
1- La rivoluzione freudiana
La filosofia, fin dal suo primo manifestarsi, si era riferita ai propri risultati come risultati della coscienza. La coscienza in filosofia era ed è tutto: soggetto, oggetto, mezzo e fine tanto che la sua arroganza le permetteva di dare giudizi assolutamente sprezzanti, altèra verso ogni richiamo, insolente fino a sentirsi incontestabile, tracotante fino a sentirsi divina, prepotente ed onnivora fino ad essere autodivoratrice.
Tutto ciò fin quando non venne smascherata da Sigmund Freud, il quale affermò e dimostrò che essa era di un’infima pochezza; che presupponeva di aver concepito sistemi assoluti che invece erano regni di pura fantasia; che essa creando illusioni dimostrava chiaramente di esprimere solo un mondo illusorio, essendo prodotta da un uomo sbagliato, un uomo che si esaltava della sua potenza tanto più era impotente, che si sentiva un essere proprietario della verità quanto più ne era sprovvisto.
Freud atterrò la coscienza in nome e per conto della coscienza stessa, riparò e protesse la ragione da se stessa, richiamandola ai suoi limiti e nello stesso tempo alla sua effettuale ed incommensurabile grandezza.
Freud capì che tutto il problema girava intorno a quello che comunemente chiamiamo parola. Concetto, esperienza, affezione, rappresentazione, insomma tutto l’armamentario classico della filosofia, come di ogni altro sapere, si riduceva a parola, a qualcosa che veniva e doveva essere comunicato. Questa comunicazione è il problema, perché non è affatto casuale, perché è soggetta ad una pulsione (neologismo coniato dallo stesso Freud) che è tanto più forte quanto l’energia profonda che impiega.
E qui occorre cominciare a chiarire alcuni termini, attraverso le stesse formulazioni di Freud.
“Una pulsione si differenzia da uno stimolo per il fatto che trae origine da fonti di stimolazioni interne […] al corpo, agisce come una forza costante e la persona non le si può sottrarre […] con la fuga, come è possibile di fonte allo stimolo esterno. Nella pulsione si possono distinguere: fonte, oggetto e meta. La fonte è uno stato di eccitamento […] nel corpo, la meta è l’eliminazione […] di tale eccitamento; lungo il percorso dalla fonte alla meta la pulsione diviene psichicamente attiva […]. Noi ce la rappresentiamo come un certo ammontare di energia […] che preme […] in una particolare […] direzione. Da questo premere gli deriva il nome di pulsione (Trieb)”.
Dalla pulsione trae origine l’affetto che è sentimento intensissimo, perché enormemente carico di energia, non solo quantitativamente grande, ma ancor di più qualitativamente. Mentre la rappresentazione è un contenuto del pensiero, che, in quanto atto o idea, è una particolare forma di visione dell’oggetto, non oggetto qualsiasi, ma essendo oggetto affettivo, carico dell’energia che distingue l’affetto stesso.
Aggiungo che l’affetto può venire represso […], così come la rappresentazione rimossa […].
E siccome già tutto questo comporta una grande mole di considerazione, non introduco ancora la spiegazione di inconscio, represso e rimosso, ma cercherò di chiarire le parti più indifferibili che ho evidenziato. Premetto che le considerazioni che seguono, anche se non espresse direttamente da Freud, ritengo che possano essere ritenuti una logica deduzione da ciò che viene inteso come la teoria della psicologia del profondo o psicoanalisi, di cui egli, come è noto, è stato il fondatore. Quando viceversa le considerazioni filosofiche vengono fatte immediatamente da Fred stesso, non mancherò di indicare l’opera e la pagina, mentre le citazioni saranno evidenziate come si usa.
artiamo di nuovo dalla parola. Innanzi tutto non si dà una parola senza un oggetto, tutt’al più sono gli oggetti che devono essere distinti in oggetti reali ed oggetti immaginari. La parola ha sempre un riferimento, ma quello che mi preme sottolineare e che si muove verso questo riferimento secondo una particolare pulsione. Dico particolare perché ogni soggetto ha una pulsione unica, non eguale, mai, a quella di un altro soggetto. E questa unicità vale proprio in quanto non esistono pulsioni qualitativamente simili, ma, come vedremo successivamente, solo comparabili, nei modi e nei termini che la stessa psicoanalisi stabilisce.
La definizione di pulsione di Freud ci dice che la parola o l’oggetto traggono “origine da fonti di stimolazioni interne”. Questo ci fa capire che un oggetto propriamente esterno non è possibile immaginarlo né pensarlo. Tutto ha valore quando diventa possesso del pensiero o, come più precisamente direbbe Freud, della psiche. Perciò il pensiero non subisce o stabilisce il mondo, semplicemente lo crea e ne è creato, con tutti gli inconvenienti e imprevisti inerenti, poiché fin dall’inizio Freud ci dice che il soggetto non “si può sottrarre” nemmeno “con la fuga” rispetto all’oggetto che le è proprio […].
L’oggetto diventa pensiero non con un semplice atto di natura logica o altro, ma semplicemente in quanto la sua presenza determina “uno stato di eccitamento nel corpo”. Per cui noi affermiamo che il pensiero è mondo, ossia che la parola è sempre quell’oggetto determinato: tutto questo insieme (pensiero-mondo, parola-oggetto) noi c’è lo “rappresentiamo come un certo ammontare di energia che preme in una particolare direzione”. In sostanza, non esiste nessun pensiero che non sia fortemente emotivo; che non c’è pensiero che non abbia un quoziente di passione; che non possiamo pensare nessun oggetto senza essere intimamente coinvolti. Una fredda ragione non ha possibilità di essere, e vedremo in che misura ci conquistiamo una ragione civile e a che prezzo.
Questa pulsione si stabilizza compiutamente all’interno della suddivisione che Freud dà della psiche: esiste una parte, ritenuta inviolabile, la più profonda e “determinante”, che egli chiama Es o Id ossia Cosa, che già secondo il senso comune ha significanza di “inafferrabile”; su di essa, come realtà regolante si situa L’Io, che è, in ultima analisi, ciò che noi chiamiamo comunemente coscienza ed infine, inferendo su entrambi, il Super-Io, che dà all’insieme della psiche un “senso superiore” di appagamento. Le “analisi del profondo” portate a prova da Freud diranno che l’Es ubbidisce al “principio del piacere”, l’Io al “principio della realtà” e il Super-Io al “principio dell’autorità”.
I complessi rapporti che si stabiliscono tra questa tre parti della psiche sono regolati, in determinati momenti, da “meccanismi di difesa”, oltre i quali si situa il vero e proprio stravolgimento della realtà e dunque il disagio mentale.
2- Psicoanalisi e filosofia
Il rapporto tra psicoanalisi e filosofia deve essere paragonato al rapporto che esiste tre Es ed Io. Esse stanno in rapporto dialettico e l’una richiama costantemente l’altra. Dunque, bisogna studiare, per così dire parallelamente entrambe.
Certo è che la filosofia si troverà nella funzione superiore di “sintetizzare” questo rapporto, quando rinverrà tanto in se stessa (a causa della psicoanalisi) quanto nella scienza psicoanalitica (a causa della ragione) un insieme rilevante di aporie, a cui dovrà far fronte direttamente. Così anche lo stesso Freud potrà essere storicizzato, assumendo il ruolo che gli spetta: una tappa fondamentale del Pensiero.
In questa prospettiva, comunque, la filosofia dovrà già prendere atto della lezione che le viene dalla psicoanalisi in riferimento a due “strumenti” indispensabili, usati con molta disinvoltura nel corso della sua storia: la cosiddetta coscienza ed il cosiddetto concetto.
Capirà che nessun concetto è un semplice concetto, ma che esso è una rappresentazione spesso addomesticata, una funzione utile, in senso protagoreo, un meccanismo artefatto per comunicare la parola come messaggio dommatico. Insomma, la filosofia dopo Freud sarà costretta a riconsiderare i propri strumenti e avvertita a non utilizzare sconsideratamente la parola.
La stessa idea di Logos, su cui si impernia questa Storia Critica della Filosofia, come potrebbe avere senso compiuto se non la interpretassimo alla luce del “complesso edipico” che Freud ha posto come punto di partenza delle sue indagini e noi delle nostre?
Ma il riconoscimento più grande che la filosofia ha già dato a Freud è di aver egli sdoganato definitivamente, dopo millenni, le intuizioni religiose, a cui si erano affidate innumerevoli generazioni ed aver condotto nell’ambito della ragione i rimedi con cui occorre aiutare la vita. Per questa via “satana” non è più un’entità astratta, ma una reale e trasparente realtà, scovata e portata alla luce dagli “inferi”, in cui non potrà più stare come covo protetto.
Con la psicoanalisi la coscienza viene ristrutturata e vivisezionata, al fine di presentarsi più forte di fronte ai compiti della storia singola e sociale, dichiarando spesso i propri limiti e i propri disordini allorquando si prostra non raramente ad una sua qualità, l’immaginazione, malefico meccanismo produttore di ossessioni degenerative.
Asservendo di nuovo questa immaginazione alla ragione, Freud ricucirà lo strappo che in religione viene definito “ribellione di Satana contro dio”, riproponendone l’uso negli ambiti legittimi che le fanno assolvere una reale e positiva funzione: l’arte.
La filosofia, ritornata padrona, eliminerà da sé tante scorie che l’avevano relegata in vicoli chiusi, proibendole altre contrade che allo stesso Freud erano sembrate inesistenti.
3 – Il corpus filosofico della psicoanalisi
(Continua)
MATERIALI
Freud scrive dell’Es in del 1933: “È la parte oscura, inaccessibile, della nostra personalità; quel poco che ne sappiamo l’abbiamo appreso nel nostro studio sul lavoro del sogno e sulla costruzione dei sintomi nevrotici, e per la maggior parte è di carattere negativo e può essere descritto solo come contrasto all’Io. Ci avviciniamo all’Es per mezzo di analogie: lo chiamiamo caos, un calderone pieno di ribollenti eccitazioni… Esso è pieno di energia che gli giunge dagli istinti, ma non ha alcuna organizzazione; non produce alcuna volontà collettiva, ma solo una spinta ad ottenere la soddisfazione dei bisogni istintuali, soggetti all’osservanza del principio del piacere”.
01-11-2011
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