Fra pochi anni il cristianesimo compie duemila anni. Perché dura da così tanto tempo? Ha ancora un significato? È destinato a scomparire?
Per queste e altre innumerevoli domande, il cristianesimo è, in un certo senso, un enigma da svelare, un labirinto da percorrere, un invasamento millenario da spiegare.
Di esso è stato detto che si è sviluppato in quanto instrumentum regni ed è indubbio che nei secoli è stato, com’è ancora, molto legato al potere dominante, anzi è stato ed è un potere. Ma questo aspetto presenta la difficoltà di non chiarire come mai i poteri passano, le classi si avvicendano e il cristianesimo resta. Né basta sottolineare la duttilità della chiesa ad adeguarsi ai tempi, né che essa possa avere avuto l’intuito di “capire prima” l’evoluzione sociale, preservandosi dalla rovina. Ciò è vero in parte ma spiega la sola apparenza storica.
Allo stesso modo, se è stato possibile scrivere una “storia criminale del cristianesimo”, non è stato sufficientemente spiegato perché gli uomini hanno rinnovato fiducia in questa “visione del mondo”.
Perché è qui il problema. Sembra che il cristianesimo risorga sempre e risorga perché in molti hanno creduto che sia stato tradito, che è possibile ritrovarlo nella sua originarietà e che abbia un senso “sempre”, proprio perché connaturato alla natura umana.
Naturalmente tutti questi problemi e le relative risposte hanno interesse, se esaminando i vari fattori, essi sono riportati all’esigenza di distinguere il cristianesimo da Gesù di Nazareth, i fatti avvenuti e la sorgente a cui si richiamano.
In effetti, lo scarto tra fondatore e realizzazione storica è tipico di tutte le ideologie. E da questa impostazione non si esce se non si tiene legato dialetticamente l’uno all’altra. Nel loro nesso sta la veridicità scientifica del fenomeno, poiché è la sintesi che consente il giudizio reale sul fenomeno stesso che è nel suo divenire un costante proporsi e un continuo verificarsi.
Proprio per questo, la differenziazione dei momenti va fatta. I movimenti reali del cristianesimo necessitano di una distinzione e di un dato storico a cui riferirsi. Altrimenti la fumosità dei discorsi non consente alcuna soluzione e il fenomeno stesso di Gesù è privato di ogni concretezza, diventa un puro fatto mentale per una storia ideale. E così non può essere.
L’enigma cristianesimo è svelato quando si comprende che nel messaggio di Gesù c’è qualcosa di permanente che si adatta al progresso dell’umanità e questa qualità dà giustificazione al fatto che esso durerà finché questo nucleo risponderà alle esigenze dell’uomo reale e non semplicemente a categorie interpretative.
In altri termini, il reale si giustifica da sé e in questa verità giustifica l’assunto ideale. Il cristianesimo è un fatto che dà risposte a dei fatti e, nel mutare degli avvenimenti, sa ancora rispondere.
L’antropologia, cosciente di tutto questo, trova in Gesù di Nazareth la figura storica che ha consegnato al suo tempo un tipo di uomo, un tipo di Dio, un tipo di società che hanno fatto presa non nell’angusto mondo ebraico, ma nel complesso dello sviluppo dell’umanità fino ad oggi.
Oggi la scienza e i suoi sviluppi tecnologici sembrano mettere in crisi il cristianesimo più di quanto abbiano fatto secoli fa la stampa, la polvere da sparo, le scoperte geografiche. L’elettricità, il telefono, internet e quant’altro stanno creando una nuova civiltà, un nuovo mondo che ha un suo tipo d’uomo, forse nessun Dio, una società molto gerarchizzata, nuove e più sofisticate forme di schiavitù.
I vecchi sistemi ideologici saranno presto archiviati, compresi quelli laici (umanesimo, illuminismo, esistenzialismo ecc.) e si fa concreto il pericolo di un nichilismo che non trova ristoro nemmeno nelle presunte ideologie scientifiche (materialismo, meccanicismo evoluzionismo, ecc.).
Che cosa resterà del cristianesimo? Non sappiamo. Certo una corretta interpretazione dell’uomo, di Dio e del vivere insieme è il percorso obbligato di un procedere progressivo, che è comprensibile nella misura in cui viene inteso correttamente anche il passato.
La ragione che indaga e interpreta questo divenire non è una ragione astratta né una ragione individuale. Nel primo caso sarebbe una ragione idealistica e nel secondo un mero solipsismo. È invece la ragione strutturale che vede nell’uomo un ente inserito in un contesto di contesti e che attraverso le sue realizzazioni produttive, umane, lo innalza a soggetto-oggetto di un movimento reale che lo determinano quale protagonista storico, che nel suo fare e nel suo farsi trova la concretezza del suo pensare.
A tale logica antropologica ritengo che non sia estraneo il pensiero di Gesù, che seppe meditare sul suo tempo andando oltre e quindi fu in grado di prospettare delle “trasformazioni” che, non essendo un vuoto pensare, hanno inciso, avendolo compreso, sul futuro.
La metanoia da lui predicata fu, ed è, un’inversione dell’agire, un modo di essere che trasforma l’esistenza rinnovandola. In questa modernità del suo messaggio consistono la durata e le prospettive, compreso il valore universale dato da quell’equivalenza straordinaria racchiusa nella celeberrima affermazione: “Io sono la via, la verità, la vita”.
In essa, la dialettica sopra illustrata trova tutta la sua incisività e l’estrema concretezza.
04-03-2014
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