Lineamenti di Antropologia Analitica: Stato e società

Stato e società

 

Lo stesso rapporto esistente tra terra e natura, tra individuo e persona, s’istaura tra l’individuo e comunità, tra comunità e società e, infine, nella sua piena espressione, tra individuo e Stato.

Questo logos, che rende possibile il divenire tra la mera esistenza e l’esistenza reale, non è di facile comprensione nel suo movimento teoretico.

In maniera corretta, Hegel affermò che esso consiste, “per tacer d’altro”, “essenzialmente nell’elemento dell’universalità la quale chiude in sé il particolare”. Ne spiegava il procedere in quanto “nel fine e nei risultati si trova espressa la cosa stessa proprio nella sua perfetta essenza”.

Il rapporto tra individuo e Stato in Hegel stesso si giustifica giacché è proprio nello Stato che l’individuo trova la sua ragione, perché nello Stato l’individuo né si annulla né viene annullato, ma anzi conserva il suo “particolare” e si ritrova in tutto il suo essere (“perfetta essenza”). Questa pienezza è data non solo perché lo Stato raccoglie e conserva l’individuo (“l’universalità chiude in sé il particolare”), ma in quanto la pienezza dell’individuo si ricapitola “nei fini e nei risultati” dello Stato stesso.

Non cogliamo però esattamente il nesso tra individuo e Stato se teniamo in poco conto le altre indicazioni, secondo cui “nella diversità si deve non tanto scorgere la contraddizione ma il progressivo sviluppo”, poiché “le forme, non solo si distinguono, ma ciascuna di esse dilegua sotto la spinta dell’altra poiché esse sono reciprocamente incompatibili”.

L’individuo e lo Stato devono essere visti come espressione di uno stesso sviluppo in cui ognuno certamente “si distingue”, ma in cui è costretto ad annullarsi (“si dilegua”) nel suo termine superiore: la sua sussistenza in faccia allo Stato è incompatibile.

Questa teoria non reca scandalo se si mantiene fermo il presupposto che il dileguare non è un farsi da parte, ma è un negarsi nella propria pienezza. L’individuo lascia la propria solitudine ed impotenza e si ritrova come creatore e fruitore della giustizia, poiché si riconosce come sottomesso non ad una legge qualunque, ma alla legge che emana dallo Stato. Passa, dallo stato di ente “sottoposto” ai sentimenti, ai precetti religiosi, a suddito del diritto, che gli garantisce i mezzi della propria realizzazione come autorealizzazione.

Questo processo è ben chiaro a chi non tanto si è sentito cittadino dello stato borghese (che è propriamente uno stato di classe e, perciò, una figura di parte), ma membro del Regno di Dio: nel Regno ognuno si sente non solo protagonista di uno stato ma principalmente vivificatore e artefice di valori che danno “ben-essere”.

 

19-04-2011

 

 

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