Lineamenti di Antropologia Analitica: Gradi sociali e problemi metodologici

Gradi sociali e problemi metodologici

 

1 – L’ambiguità metodologica.

È pressoché impossibile, in un’ordinaria discussione, stabilire cosa sia un grado sociale e quali siano le condizioni del suo sorgere, del suo affermarsi e del suo perire. Manca anche alle migliori intelligenze il criterio fondativo, il principio individuationis delle forme gerarchiche.

Nella comune discussione si arriva, nel caso migliore, a descrivere, nel caso peggiore ad elencare delle fattispecie di stati. In quest’ultima propensione vengono confusi i gradi con le professioni, i mestieri, i ruoli; viene confusa l’istituzione con l’azienda, l’azione dirigente con l’azione dominante; lo stato di subordinato e lo stato di dipendente ecc., per arrivare all’assoluta confusione tra gradi sociali, caste e classi, ritenuti arbitrariamente simili.

Comunque i più accorti, quando si parla di professioni indicano un medico, un ingegnere, un professore ecc. ma non includono il magistrato, che è una figura istituzionale, mentre tra i mestieri insieme a quelli noti (muratore, artigiano, tecnico ecc.) abbinano, senza stranezza, il politico. I ruoli sociali non basati su una professione sono confusi con i “titoli” e da considerazioni amicali o familiari.

Il politico, in questa elencazione, è colui che semplicemente “comanda”. Anche quando si ha coscienza che “egli è stato puramente eletto”, gli si riconosce uno stato di impunità di cui non gode nessun altro soggetto sociale.

Banchieri ed industriali sono equiparati da tutti, ma senza darne giustificazione.

Il precario o il disoccupato non sono visti come figure economiche, ma nella loro veste sociale di persone che “rischiano” qualora vogliano esprimere le proprie opinioni.

 

2 – Le caste e le determinazioni popolari

La generica coscienza, dunque, al posto di corretti gradi sociali ha semplicemente una visione di “casta”. È perciò naturale che il sistema di caste debba attuarsi all’interno del potere politico, giacché esse intendono sottometterlo, assorbire o dirigere.

Questo atteggiamento spiega perché in ogni epoca le caste, in quanto false figure dello Stato, sono state viste dal popolo come utili e necessarie. Ossia importanti proprio perché senza legittimazione.
È per riuscire a far capire questa funzione diventa opportuno schematizzare la delineazione e la differenziazione che ne dà comunemente il popolo. Essa è così posta:

  1. a) in forma assolutamente formale, quando si ritiene che la società nel suo complesso si divida in due classi contrapposte, i servi e i padroni, lasciando il corpo medianoinespresso;
  2. b) in forma più politica, quando si ritiene, con analogo atteggiamento manicheo, che gli uomini si dividano in chi comanda e chi ubbidisce;
  3. c) in forma più prosaica e più vicina alla realtà, quando si ritiene che nella società ci sia chi conta molto, chi conta qualcosa e chi non conta niente.

Se poi si cerca di definire più dettagliatamente questo modo di intendere, si vede come per il popolo la gerarchia, genericamente intesa, debba ricapitolare i modi del “sapersi intruppare”, del far parte delle giuste cordate.

Quindi, non solo non è adeguatamente meditata, ma è determinata attraverso un formalismo fazioso. Ad esempio, le caste, viste dal punto di vista economico, indifferentemente si dispiegano in funzione delle rendite, dei patrimoni, delle grandi concentrazioni industriali fino al piccolo fazzoletto di terra o al casolare di un paese di montagna; viste dal punto di vista politico, dal Capo dello Sato al consigliere comunale; viste dal punto di vista sociale, dal cattedratico universitario alla più familiare maestra di scuola. Insomma si danno serie di gerarchie quasi che uno stesso soggetto possa essere indifferentemente presente nelle caste.

Così alla fine la casta è una pura promiscuità in cui s’aggirano tanti strani soggetti: i signori, i padroni, i potenti ecc.; gli scienziati, i grandi “produttori” di qualsiasi merce o bene, variegati personaggi di moda ecc.; bancari, finanzieri, burocrati, piccoli capi d’industria, usurai ecc.; statali, politici, pensionati, preti ecc., mischiando così i poteri forti, con gli affaristi, i nullafacenti, i mediocri e le nullità.

Si può dire, in sostanza, che la casta è percepita dal popolo come una struttura mafiosa.

Cerchiamo di chiarire questa improbabile suddivisione in termini più comprensibili.

potenti sono quelli detengono il potere politico ed economico di una società, ne determinano gli indirizzi, la condizione di sviluppo e le priorità sociali.

Gli affaristi sono l’esercito delle corporazioni che si mettono al servizio del potere condizionandolo: acquisiscono la loro autonomia in quanto sono procacciatori di denaro attraverso il loro stesso arricchimento.

I nullafacenti sono i mezzi bruti di ogni produzione, costituendone la manodopera e il sostegno parassitario.

I mediocri sono i soggetti più pericolosi della società in quanto, avendo presunzione e poca capacità, non ostante questa limitatezza, aspirano ad assolvere ruoli di primo piano.

Le nullità sono categorie indeterminate, soggette a ridefinizione continua, in quanto determinati dal livore, dall’invidia e dal personalismo.

Gli esclusi, i produttori, sono, con pressappochismo, generici operatori tra i primi due stati.

 

3 – Una determinazione interessata e labile

Dalla classificazione popolare delle caste è facile comprendere che il popolo accetta senza remore che gli uomini si strutturino in base a contenitori sociali preesistenti.

Anzi, la casta è la via maestra per stabilire i rapporti come intravvisti immediatamente. Ma è altrettanto evidente che la gente comune partecipa solo alla determinazione acrimoniosa delle caste basse, subendo il “potere” come un dato puramente oggettivo, un evento fatalistico e imprescindibile. Meglio: s’insinua nel popolo, in misura ciclica, un senso contraddittorio di “rispetto atavico” e di repulsione morale, un atteggiamento di accondiscendenza e di rivolta, una partecipazione al loro fare e una denuncia per la loro condizione di privilegio. È facilmente comprensibile come accettazione e rifiuto siano labilmente stabiliti e mantenuti.

Né è accettabile la serie di ragioni che si adducono per descrivere e giustificare i criteri fondativi di questa piramide, dal momento che, più che essere una serie di ragioni, sono una serie di pregiudizi basati su criteri diversi, velleitari e di parte.

Certamente una ricognizione sociologica potrebbe dare una struttura piramidale più scientifica e rigorosa. Ma la sociologia, per una problematica impostazione, non è in grado di impostare i criteri necessari per la classificazione. Diversamente da quanto si propone l’antropologia, rifiuta di considerare lo spirito che presiede la formazione e la decomposizione delle gerarchie. È l’individuazione di questo spirito che dà conto della radicalità nella coscienza della “modalità” dell’appartenenza, se è vero che a questa modalità si riduce lo scopo della vita.

In ogni caso, sarebbe opportuno che la sociologia non rinunciasse, per lo meno, al compito che le compete e così ogni altra scienza interessata.

Né basta più la suddivisione delle caste ricapitolata da alcuni studiosi che affermano l’esistenza di tre classi intese come classe di produttori, di nullafacenti e di emarginati. Mentre deve essere reimpostata nei termini della globalizzazione la struttura classista dei teorici del socialismo.

 

4 – Chiosa

C’è qualcosa di vile nel comportamento umano. Lo si osserva quando si lascia vivere la grande maggioranza delle persone in grande umiliazione e ci si serve di questa umiliazione per legittimare il proprio potere.

La miseria non si può giustificare, né si può “aiutare” o tanto meno esaltare. La miseria si combatte quando si elimina la condizione che la produce e la fa perdurare, perché questa è la reale e vera solidarietà verso il prossimo. Per cui non si accettano lagne per i disgraziati, che patiscono forme di accumulazione continue di difficoltà economiche, morali e giuridiche.

Queste forme sono l’altra faccia, organica, allo sfruttamento e all’alienazione, lo stadio miserabile di un mondo di cose. Esse finiranno quando cesserà questo stato di cose.

 

31-03-2011

 

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