Lev Tolstoj: Piccoli e grandi
L’uomo comune pensa e vede diversamente dal grande uomo. Da entrambi differisce Dio che ha una visione spropositata degli accadimenti. Questione di confini e di prospettive.
La grandezza paradigmatica di Tolstoj consiste nell’aver individuato le differenze e di averle interpretate o, meglio, recitate. Padre assai mediocre, grandissimo creatore di immagini ed eccelso visionario dell’essere. Talpa, aquila e distruttore supremo: questo è Tolstoj.
L’uomo comune parte dalla sua tana e ne difende la pertinenza, il luogo. Sa i confini, dove iniziano e dove cominciano, conosce il proprio vicino e la moglie e la figlia del “proprio” vicino, se sono appetibili e come può averle. Utilizza il prossimo, secondo le capacità e secondo le proprie opportunità. Vive del suo stare chiuso.
Napoleone ha come confini l’Austria e la Russia e come prospettiva l’appagamento, ossia prendersi tutto. O gli si offre o lo conquista: per padroneggiare l’Impero secondo norme nuove e leggi universali. È dio in terra. Dio, intanto, osserva perplesso sia il meschino che gioisce dell’offesa che gli arreca il vicino, sia le grandi battaglie in cui gli uomini si eliminano vicendevolmente.
Ecco, proprio gli uomini sono il punto. Con essi si indica tutto: femmine e animali. Si dice: è successo un terremoto, quanti uomini sono morti, quanti sono i superstiti? E poi col tempo si tace. Perché si fa storia degli uomini, che sono simili a Dio. Su questo considerare “gli uomini” si pone ancora la diversità. Per il meschino gli uomini sonno il prossimo, immediatamente dato; per l’immortale sono cifre e per Dio un passatempo. Questa è la filosofia di Tolstoj, che fu onesto e la disse al mondo.
(continua)
03-11-2011
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