Lev Tolstoj: Bene e male
La trasgressione è male, però inevitabile, dal momento che lo stesso Dio non si è limitato a presiedere il bello, ma ha creato mostri morali, così come d’aspetto fisico. Essere indifferenti al male, alla sofferenza, alla società, alla vita quotidiana è prerogativa divina.
Inoltre il male attira, perché mentre il bene è un patto con altre persone, il male non ti lega a nessuno o, meglio, ti rende una sola cosa con l’altro, perché vive della distruzione e la distruzione non implica contratti, se non quelli, tutto al più, con la memoria.
Tolstoj, forte di questo suo pensare, si persuase del male dell’esistenza, ovvero della storia, ma non accettò il male cosmico. Anzi, quando il male cosmico cercava di entrare, anche sotto forma di finzione letteraria, nella vita, Tolstoj annichiliva senza mezzi termini, la vita stessa.
Ancora una volta agiva secondo una logica di onnipotenza.
Napoleone, nell’epica di “Guerra e Pace”, era sicuramente responsabile della tragedia di migliaia di vite umane, perdute in tante battaglie, ma perseguiva sogni non consentiti a tutti: un’Europa sotto un solo regime, un’umanità retta da una sola volontà. Napoleone era, come aveva detto Hegel, non una persona, ma l’Idea che marciava a cavallo.
Dunque Napoleone garantiva con la sua grandezza imperiale, l’intrecciarsi del bene e del male. Napoleone è come Ciro, Cesare, Alessandro non è Anna Karenina.
Anna è la natura femminea, quella natura che vive su trasgressioni sessuali, perché il suo piacere è il piacere dei piccoli episodi quotidiani. Le stesse sue vicende, Anna non riesce a tenere nascoste, anzi le rende evidenti con azioni e parole le più banali.
E Tolstoj condanna le piccole menti, anzi le descrive con esasperata esattezza, perché lui vive tra piccole menti.
Kutuzov è degno di Napoleone, perché sa aspettare nella stessa radura della sconfitta o della vittoria. Anna, invece, avrà il suo destino che le si fa incontro: la morte volontaria, quella che si addice alle anime morte.
Per anni il tragitto di Tolstoj s’aggira in questo universo. Poi, si stanca e il suo stancarsi è illuminazione.
Né Napoleone né Anna hanno il diritto di rappresentare l’umanità. Esiste un mondo che non è della trasgressione, esiste un mondo che sta davanti a tutti e tutti lo ignorano: il mondo della sofferenza, il mondo dei piccoli e degli umili. Il Dio di Tolstoj diventa inesorabilmente il Dio cristiano, un Dio che, come il primo, non accetta di essere contraddetto.
Tolstoj si veste da povero contadino, partecipa a pellegrinaggi e, tra un monastero e un altro, domanda ai più venerabili religiosi su Dio e sulla vita; va alla ricerca di asceti, di presunti illuminati e non disdegna i ciarlatani.
Alla fine deve convincersi che nessuno conosce Dio, né alcuno percepisce realmente il segno della vita. Non gli resta altro che dare a sé il compito di creare un Dio, dal basso, un Dio a sua immagine. Diventa il teologo della povera gente, dunque un cristiano che cerca, per sé e per Gesù, un Padre che gli parli. Ma il suo carattere si incattivisce, perché avvolge la sua anima in un drappo nero su cui a lettere di fuoco scrive: non perdonare! Ancora una volta è il Dio che predica la misericordia e non può che odiare coloro che individua come privi di carità.
Non solo: affiancandoli, nutre un rancore profondo per coloro che si affidano alla carità. Tolstoj non smentisce mai la sua natura. Pensa in contemporaneità sempre su due piani, uno positivo e l’altro negativo, agendo nella vita con la stessa lucida coerenza.
03-11-2011
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