La dialettica di Hegel

La dialettica di Hegel

Le figure della triade assoluta

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Tav. 1

 

Il percorso della dialettica

 

Il Logos rappresenta la Ragione come possibilità assoluta, capace di sviluppare da Sé e in Sé il proprio divenire ossia le ragioni sufficienti che sono premesse ad ogni realtà. Il presupposto di ciò è la famosa asserzione che “tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale”.

Il Logos, privo ancora di contenuto, non ha triadi dialettiche. Hegel, ponendola come tesi, definisce questa figura Idea In-Sé.

La Natura è il complesso della concretezza immediata, del dispiegarsi dell’empiria, che, dopo il travaglio, descritto nella tav. 2, trova nella formazione (e riproduzione) dell’organismo animale, il culmine del suo processo. Hegel definisce la Natura, ponendola come antitesi, Idea Per-Sé, ovvero negazione.

Lo Spirito è la comprensione della realtà mediante la Ragione, ossia è la Ragione che comprende l’alterità come suo prodotto. Esso, oltre che Spirito e Ragione, è detto anche Idea, Sostanza, Soggetto etc. Come sintesi, poiché chiude la circolarità tra razionale e reale, è detta Idea In-Sé e Per-Sé. (Aufhebung, negazione della negazione)

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Tav. 2

 

Possiamo dire che la dialettica della Natura rappresenti la versione idealistica della creazione come descritta dalla Bibbia (In questo ci confortano gli studi su Hegel e la grande rivalutazione degli scritti giovanili, prevalentemente religiosi).

All’origine vengono posti lo spazio e il tempo (tesi) ed essi indicano la possibilità imprescindibile entro cui dovrà svilupparsi ogni forma materiale.

L’esistere si fa immediatamente presente come materia scomposta e informale (antitesi). Nel suo originario movimento, è l’equivalente del caos biblico.

Il tutto deve quindi ordinarsi. Ciò avviene allorquando la materia si dispone nello spazio e nel tempo secondo precisi rapporti meccanici (sintesi), che rendono stabile ed ordinata la formazione dei vari sistemi cosmici (es: attraverso la gravitazione universale di Newton).
Costituitasi la possibilità dell’esistere meccanico (Tesi), si sviluppa il concreto mondo della fisicità (Antitesi).

Infatti, la materia non si presenta in maniera generica ed informe, come in precedenza, ma si esplica in infiniti elementi particolari (tesi) che si organizzano (nell’antitesi) a secondo del proprio peso specifico e calore, in un processo chimico, che è alla base di tutto ciò che è individualmente concreto (sintesi) .

Iniziata la vita, essa si struttura secondo rapporti organici, simili a quelli descritti dalla preistoria di Schelling, per cui ad una natura geologica (tesi) subentra, come superamento, la natura vegetale (antitesi) e quindi la formazione di tutti gli organismi vitali o animali (sintesi).

Essi iniziano a distinguersi morfologicamente e, presentando ognuno un particolare modo di assimilazione al mondo circostante, giungono all’autonoma capacità di riprodursi nel tempo.

È perciò con la nascita della specie si conclude il ciclo naturale.

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Tav. 3

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In questi vari modi del mondo animale emerge una particolare specie, quella umana, attraverso cui la Ragione (Vernunft) può iniziare il cammino dell’autocomprensione. Inizia il tragitto dello Spirito che deve costituirsi in soggetto legiferante (Tesi) per operare nel mondo della storia, attraverso la discriminante della moralità (Antitesi) e comprendere eticamente le sue azioni (Sintesi).

La soggettività dello spirito è data dalla specificità dell’uomo sul resto della creazione, in quanto nell’uomo soltanto può esplicarsi la razionalità. “La filosofia è il tempo appreso in pensieri”. È

l’antropomorfizzarsi della natura o, detto diversamente, il farsi carne del Logos. La Bibbia rende, in termini religiosi, questo passaggio con la frase: Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza.

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Tav. 4

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L’uomo si ritrova come anima, ma anima che si espande in ogni creatura (anima naturale), ed espandendosi, come pensava G.B. Vico, “sente con animo perturbato e commosso” (anima senziente) e, dunque, si trova in grado di cogliere se stessa ed il mondo, astrattamente. Questa possibilità (tesi) diventa operativa allorquando l’uomo si rapporta ai fenomeni (antitesi) ed in questo rapporto, conoscendo il mondo, conosce se stesso (sintesi). L’antropologia è la scienza di questo procedere.

La coscienza si annuncia quando avverte qualcosa di diverso da sé (certezza sensibile) e di questa alterità intende i nessi intuitivi (percezione) che danno, a loro volta, la possibilità di tramutare i rapporti naturali in rapporti intellettivi (sintesi).

L’intelletto (come sintesi) afferma, a questo grado di sviluppo, che “ordo et connexio rerum est ordo et connexio idearum”. La comprensione dell’alterità fenomenica (l’antico sensus additus di Campanella) pone l’esigenza dell’autocomprensione (sensus abditus).

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Tav. 5

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L’autocoscienza, ossia il sé davanti al sé, (“l’autocoscienza raggiunge il suo appagamento solo in un’altra autocoscienza”), comprende intimamente che l’uomo è inserito in un ordine immutabile, ciclicamente ripetitivo e in cui tutto avviene necessariamente (stoicismo). Tuttavia, i vari problemi che l’intelletto è tenuto a risolvere lo trovano spesso non in grado di dare risposte esaurienti: ricorre, in assenza di soluzioni, all’epochè scettica che sembra votarlo alla sconfitta. È questo primo risultato negativo dell’incontro essere-pensiero che rende la coscienza una coscienza infelice, poiché essa non riesce ad elevare l’unità a unità concettuale: “un’unità che sfugge nell’atto in cui si tenta d’afferrarla”.

 

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Tav.4 bis

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Ma l’uomo non può arrendersi a questa condizione di impotenza e dunque si fa ragione, anzi, per dirlo diversamente, costringe se stesso a superare l’intelletto diventando ragione. Con la ragione si chiude la dialettica del rapporto essere-coscienza e in questa fase (sintesi) la ragione che ha osservato il mondo (tesi), lo ripensa e lo inserisce nell’autonomia della propria autocoscienza (antitesi), per cui (nella sintesi) tra essere e pensiero non c’è più opposizione e l’intelletto si coglie come reale nel senso che coglie il suo essere come esserci.

L’uomo-esserci, tuttavia, è ancora un’unilateralità perché ancora non è artefice del proprio destino: infatti, finora, si è limitato a riempire la sua anima di fenomeni. È, per così dire, un erudito, non un autore. L’uomo costruisce la via dell’azione nella psicologia (sintesi) in cui lo spirito individuale si realizza proprio come spirito individuale. Qui egli attraversa le fasi tipiche dell’evoluzione. Dapprima, lo spirito sembra dominare con le proprie idee, con le proprie ideologie, il divenire del mondo: costruisce sistemi teorici entro cui pretende di ingabbiare gli eventi (spirito teorico).

È questa, evidentemente, una pretesa che scinde l’ordine e la connessione tra le idee e il mondo. E non a caso (antitesi) sorge lo spirito pratico, che altrettanto unilateralmente, si lascia coinvolgere dal mondo, sottostando allo stesso ordine delle cose.

Il contrasto tra spirito teorico e spirito pratico conduce al superamento di entrambi: nasce lo spirito libero.

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Tav. 6

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Lo Spirito, a questo punto, tenta di unificare la teoria e la pratica nella prospettiva di costruire la storia nel mondo.

Nello Spirito oggettivo (Antitesi: Tav. 3) è rappresentato il percorso dell’umanità, la storia dell’uomo reale che sa di essere ed operare.

 

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Tav. 7

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Questa storia nasce nella stessa misura in cui è affermato il diritto (Tesi) come possibilità di sviluppare rapporti sociali. È l’affermazione delle regole secondo cui deve svolgersi l’incontro di esseri necessariamente diversi.

La prima regola della convivenza è il riconoscimento della proprietà (tesi), giacche in essa si esprime la prima forma della libertà. Questo riconoscimento del diritto di impossessarsi di beni naturali e sociali (diritto formale e astratto) si rende concreto quando questi beni sono scambiati, attraverso contratti (antitesi), che regolano il valore e portano a considerare la violazione (sintesi) giudicabile nei termini generali del delitto e della pena. Ma se i rapporti umani restano fermi a questa fase di pura esteriorità giuridica, gli uomini sarebbero, di fatto, cose tra cose.

Comincia, allora, a specificarsi il cammino della moralità (Antitesi), l’altro momento essenziale per l’affermazione della libertà.

È questa la sfera della volontà soggettiva (“del cuore e delle inclinazioni arbitrarie del soggetto”) che vede le cose non sotto l’aspetto economico ed utilitaristico, ma mezzi di disposizione spirituale e perciò organizza le vicende sociali secondo i canoni personali del bene e del male. L’astrattezza del diritto viene, perciò, superata dall’astrattezza della morale (sintesi), che al momento egoistico astratto contrappone il momento “conflittuale” e morale, altrettanto generico.

Si giunge, così, all’eticità (Sintesi) che attraverso figure storiche emblematiche, “che incarnano lo Spirito”, sintetizza diritto e moralità.

Il primo nucleo, in cui si esercitano giustizia e moralità, è la famiglia. Questa socialità dell’amore e della fiducia, nonostante sforzi e accomodamenti (e pur operando giustamente per creare i momenti della sussistenza, il patrimonio e dell’educazione), non può assumere se non una durata molto limitata.

La famiglia è destinata a disgregarsi perché ognuno dei suoi componenti si immette in rapporti più ampi e autonomi (la società civile) in cui cerca di affermare la sua individualità e le sue capacità, in una specie di guerra di tutti contro tutti, mitigata dagli istituti di vigilanza e di repressione, nonché dall’aggregarsi in corporazioni che organizzano la difesa dei mestieri e delle professioni.
Ciò, in concreto, non basta né alla vita né alla ragione. Si rende necessaria una terza fase (sintesi) in cui l’uomo non vive più né nella ristrettezza della famiglia, né nel contrasto perenne della società dell’homo homini lupus.

È giunta l’ora dell’affermazione dello Stato, “l’ingresso di Dio nel mondo”, “Dio reale”. (“La sovranità popolare appartiene ai confusi pensieri”).

L’uomo scopre di far parte di un organismo che è, di per sé, giustizia e moralità, qualunque siano i difetti della sua consistenza storica: “quest’essenza si realizza come potere autonomo, nel quale i singoli individui sono soltanto momenti”. L’uomo si riconosce veramente tale, quando si ritrova come cittadino.

L’esistenza dello Stato implica necessariamente l’affermazione del diritto interno (legislazione) e del diritto internazionale, nei cui parametri sorge la storia “che è il dispiegarsi dello spirito nel tempo, nello stesso modo in cui la Natura è il dispiegarsi dell’idea nello spazio”.

La storia del mondo è la storia stessa della Ragione, è la Ragione che si fa storia. Tutto, in parole semplici, si colloca in un piano razionale, quello che in termini religiosi è l’esplicarsi della Provvidenza.
“Ogni popolo ha la costituzione che gli è adeguata”. “Lo Stato è volontà divina, come spirito presenziale, come spirito esplicantesi e reale figura e organizzazione di un mondo”.

Per la storia non c’è bene e male, se è vero che anche il male, la negatività, ha una sua funzione, così come ha una non secondaria funzione la guerra, poiché “da essa risultano rafforzati i popoli”, se è vero che la guerra è “come il vento che soffiando sulla palude la preserva dalla putredine”.
Questa storia, comunque, non sarebbe comprensibile se non si capisse che essa è, ciclicamente, sempre storia di un popolo, spirito del popolo.

La ragione, infatti, per attuare la sua assolutezza, s’incarna di volta in volta in determinati popoli e in determinati uomini, i quali appunto perché hanno ragione del mondo, stanno dalla parte del diritto assoluto.

Lo spirito è in loro ed è fuori di loro: i popoli delle “missioni universali” e gli eroi costituiscono il volto trascendentale della Ragione. Essa utilizza tutto ciò che concorre alla determinazione degli eventi (interessi, passioni, ideali, ecc.) per attuare i suoi fini: è quella che Hegel definisce lapidariamente “l’astuzia della Ragione”.

“Cesare doveva compiere ciò che era indispensabile per rovesciare la decrepita libertà; la sua persona perì nella lotta, ma quel che era necessario restò: la libertà secondo l’idea giaceva più profonda dell’accadere esteriore”.

Per Hegel, con un’improvvisa chiusura dialettica, lo spirito del mondo deve, ormai, incarnarsi nella nazione tedesca e in questa fase cristiano-prussiana può acquietarsi il divenire della stessa Ragione (come equivalenza della pretesa personale di Hegel di aver definitivamente compiuto la filosofia).

Conclusa la sua circolarità, lo Spirito ritorna in sé e per sé. L’assoluto ha bisogno di ripensare il suo percorso, di meditare sulla sua assolutezza.

“Dio è Dio solo in quanto sa se stesso e il suo sapere è la sua autocoscienza nell’uomo e il sapere che l’uomo ha di Dio, che progredisce al sapersi dell’uomo in Dio”.

Finito e infinito, uomo e Dio, si trovano, in altre parole, conciliati e definitivamente rappresentati nell’unità assoluta.

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Tav. 8

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La prima figura dell’autocoscienza dell’Assoluto è data dall’arte. L’arte “è un sapere immediato e perciò sensibile”. Con ciò si suole indicare quel processo di sensibilizzazione di ognuno attraverso l’opera d’arte più congeniale: “fisicamente” si sente coinvolto in un mondo che lo supera.

(Per fare un esempio in letteratura, è nell’Infinito di Leopardi che troviamo l’esplicazione più immediata di questo “sentire”. L’idillio parte da una condizione descrittiva (“questa siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”) che è l’”immediata” condizione che consente di “udire”, oltre la siepe, quell’infinito silenzio).

L’arte è appunto, per Hegel, la possibilità di sentire l’infinito attraverso forme finite o, come abbiamo detto, attraverso condizioni finite e determinate. Comunque, l’esatta connotazione dell’arte è data da Hegel nei seguenti termini: “l’esteriorità sensibile nel bello, la forma dell’immediatezza come tale, è insieme determinatezza di contenuto”. Ma questo dell’arte è un ruolo provvisorio, è l’intuizione della “cosiddetta unità della Natura e dello spirito”.

L’artista è contemporaneamente “padrone del Dio” e colui che “patisce” lo spirito dell’Assoluto. È proprio in linea con il romanticismo e oltre: un “invasato”, un “in-diato”, nello spirito di Giordano Bruno.

In ogni caso Hegel, storicamente distingue tre forme di arte:

– arte simbolica o sublime (le cui espressioni sono l’arte indiana, persiana, egiziana, ecc.), in cui la forma è inadeguata in relazione al contenuto;

– l’arte classica (che è per eccellenza quella greca) in cui forma e contenuto si corrispondono perfettamente;

– l’arte romanica, in cui la forma è di nuovo inadeguata rispetto al contenuto, ma, rispetto alla prima, per libera scelta dell’artista.

Proprio questa inadeguatezza (che, come premesso, è di natura soggettiva) presuppone “la morte dell’arte” e la presenza dell’Assoluto come rivelazione.

Dice, infatti, Hegel, illustrando il secondo momento dialettico dello Spirito, che il “concetto della vera religione consiste nel fatto che essa sia rivelata da Dio”. E ciò vale anche per l’arte.

La differenza tra tesi e antitesi è perciò posta in questi termini: “la religione ha come forma della propria coscienza la rappresentazione, in quanto l’assoluto è trasferito dall’oggettività dell’arte nell’interiorità del soggetto”.

Storicamente questo processo, per cui “la metafora” è per così dire divorata e digerita, ossia il suo contenuto è diventato “proprietà del cuore e dell’anima”, è così posto:

 

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Tesi – religioni della sostanzialità panteistica:

(a) religione cinese della misura

(b) religione indiana della fantasia

(c) religione buddista dell’interiorità

Religioni del “trapasso”

– religione della transizione della luce:

(a) religione di Zoroastro

– religioni della sofferenza:

(a) a religione siriaca e degli enigmi

(b) a religione egiziana

Antitesi– religioni dell’individualità spirituale:

(a) del sublime o giudaica

(b) della bellezza o greca

(c) della finalità o romana

Sintesi– religione rivelata o cristiana

 

tab. 9

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Come si vede col cristianesimo si arriva alla religione Assoluta.

In essa Dio si fa Logos (in sé), si fa carne in Cristo (per sé) e ritorna nella sua universalità con la resurrezione (in sé e per sé). Essa insegna che Dio si è abbassato fino all’uomo e l’uomo si è elevato fino a Dio. Perciò, con la fede nella Trinità, termina anche la funzione della religione ed ora occorre che “lo spiegamento della mediazione si raccolga nel suo risultato” e che la semplicità della fede e la devozione del sentimento si traducano in pensiero.

Giunge allora la filosofia, giacché solo essa può avere come oggetto la verità. Dice Hegel, a conferma, che il sapere è sapere del Sein (ciò che è), (contrapposto al dasein, ossia il dover essere, “che sa Dio dove dovrebbe essere”): “ tale movimento, che è la filosofia, si trova già compiuto, in quanto la filosofia attinge alla fine il suo proprio concetto, cioè guarda indietro soltanto al suo proprio sapere”.

“L’Idea”, l’eterno in sé è per sé, si produce e gode se stesso eternamente come spirito assoluto”.

Di fatto, come abbiamo già visto, la filosofia diventa, in concreto, la stessa filosofia di Hegel, se è vero che essa ricapitola tutto il passato e, contemporaneamente, è il presupposto di ogni divenire.

Se allora dicessimo che la filosofia di Hegel è l’identità di cominciamento e di fine, se fosse vera la conclusione dialettica dell’Assoluto nella filosofia, allora sarebbe anche vero che, con la morte dell’arte e poi della religione, si arriverebbe veramente, in Hegel, alla morte della filosofia. (Come affermerà Marx)

In conclusione, si compie quanto Hegel si era proposto nella Fenomenologia dello Spirito:

“Tutto dipende dall’intendere e dall’esprimere il vero non solo come sostanza, ma altrettanto decisamente come soggetto” e dunque “solo nel concetto la verità trova l’elemento della sua esistenza”.
“Comprendere ciò che è, è il compito della filosofia, poiché ciò che è, é la ragione”.

 

 

(Le tavole illustrative, tranne la 9, sono tratte dal libro di Abbagnano, Fornero: Itinerari di Filosofia, ed. Paravia).

 

 

 

 definito 05-10-2011

 

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