Delirio
Che sono
quattro stelle in cielo
che luccicano
come zirlire di grilli?
E passeri e vecchie,
rumore di sterco
vociare, zittire?
Per sempre
sai che vuol dire?
Rumore di un piatto
e quattro forchette.
Masticare una pera
parlare così
d’un filo di luce
di stufa
ad un solo elemento.
Alcuni momenti
non so proprio tenere
la pazzia del mio cuore,
sentirsi
lo sguardo di Dio,
un palpitare tremendo,
infinito.
Papaveri sparsi,
parole,
televisore, stirare,
a chi si deve mandare
a Natale.
Lampi che oscillano
per ignoti cammini
in querule e stanche
sostanze
e occhi di gelida grazia.
Avrei gustato la lingua
Fino a farti pensare
Che darti dolore
È un regalo di nozze
E un addio.
Qualcosa di nuovo, chissà,
e scarpe dal calzolaio
per il tacco finito
pantaloni di non so quale stoffa
silenzi,
parole di nuovo,
partite a scopone
e l’inferno che brucia
l’inferno che agli uomini veri
è caldo ristoro,
carne che vibra
per le mani e le labbra:
Se fossi supremo
padrone del bello
ti avrei creata così
come adesso ti sento
vicina.
Poi allargata
una nube più nera e pesante
del buio,
avrei rotto la sera
con lampi e tuoni
di rabbia.
01-11-2011
Lascia un commento