Dal criticismo all’idealismo
Per la filosofia dell’Ottocento Immanuel Kant assunse un ruolo centrale ed irreversibile. La sua filosofia veniva individuata non come un punto di approdo del pensiero precedente bensì come il presupposto di un nuovo modo di porsi rispetto al mondo e al pensiero stesso, con conseguenze rivoluzionarie per la scienza e la morale.
Il sistema kantiano sembrava costituire un vero e proprio superamento della vecchia speculazione e se, opportunamente, come in tutti i filosofi innovatori, sussistevano contributi di altri pensatori, è altrettanto fuor di dubbio che Kant li aveva recuperati in modo originalissimo in una prospettiva e una rimeditazione foriera di enormi e radicali sviluppi. Tuttavia, accanto alle novità, si evidenziarono tante presunte o reali incongruenze. Sommariamente il clima era così definibile.
Dopo la Critica della Ragion Pura, ogni filosofo non poteva che pensare in modo trascendentale, ma ognuno doveva affaticarsi non poco sui problemi inerenti alla cosa in sé, non nascondendosi che il noumeno era, di fatto, una controparte della celebrata rivoluzione copernicana.
Nella Critica delle Ragione Pratica l’originalità era rintracciata non tanto nella formulazione degli imperativi categorici (filosoficamente un ritorno alla deduzione cartesiana ed eticamente un misto di pietismo e di filantropismo liberale), né nella definizione della volontà buona, piuttosto nell’aver voluto strappare l’uomo alla conoscenza scientifica: l’uomo diventava responsabile di un’etica metafisica su cui, per i criteri stessi stabiliti da Kant, la scienza non poteva dargli soccorso. Sembrava, in altre parole che Kant avesse voluto sottrarre la libertà, l’anima e Dio dall’ambito della conoscenza per renderli più inaccessibili e vincolanti per ogni scelta pratica, tanto da affermare che senza di essi non era possibile fondare alcuna moralità né la riconciliazione dell’uomo con se stesso, davanti allo sguardo di un Dio così assolutamente sacro da sfuggire ad ogni rappresentazione.
Questa centralità metafisica era confermata da Kant nella Critica del Giudizio, in cui trattando, a prima vista, del bello e del sublime, nell’ambito della consolidata differenza tra giudizio riflettente e giudizio determinante, egli enunciava la necessità per l’uomo di ricercare e godere il finalismo della natura. Tale teleologismo era appunto il primo e ultimo marchio di Dio nel mondo, se è vero che il bello è il riscontro immediato del divino nelle cose, con una malcelata aporia di voler fondare una severa trascendenza.
A ben vedere, nel trittico kantiano, la ventata d’irriverenza che suscitava la prima Critica, era da tutto il rimanente sistema stroncata, rovesciata e condannata. Si potrebbe affermare che saggiando i limiti e le capacità della ragione (ossia la ragione belligerante degli illuministi), più che porre dei termini, Kant avesse voluto privarla di quello spirito demolitore, libertario ed anticlericale.
Perciò, accettando e avversando il criticismo, tutti i contemporanei finivano per essere kantiani. Ma infine prevalse l’esigenza di un superamento che desse la possibilità di affrontare tante contraddizioni. Così la discussione delle aporie kantiane fece da tramite al sorgere dell’Idealismo, così come ad un certo romanticismo, che ricercherà l’eterno con un sentimento o sentimentalismo spesso oscuro e drammatico.
Da molti critici si disse che l’uomo copernicano, tanto importante per Kant, risultava privo di intima identità: l’io della Ragion Pura sembrava quasi il fratellastro dell’io della Ragion Pratica, entrambi diversi dal magnificante io del Giudizio. Non si accettava, quindi, proprio l’impianto kantiano secondo cui essi rappresentavano quasi una trinità filosofica, che dogmaticamente erano trini perché uno.
Un attacco duro a Kant venne contemporaneamente da chi non apprezzava, spinto da motivi religiosi, l’uomo della Ragion Pura: Hamann, Herder e Jacobi, riproposero la necessità di ritornare alla fede come via per raggiungere la Verità, rintracciando nella ragione un veicolo ed uno strumento per l’agnosticismo e l’ateismo. Perciò essi insistettero sul Kant della Ragion Pratica, nella quale era riconosciuta l’inevitabilità della coscienza del soprannaturale ed interpretarono, non senza un buon grado di verosimiglianza, la Critica della Ragion Pura come opera di svalutazione di ogni ragione che pretende di “giudicare” Dio, il quale secondo il loro intendere parla al cuore e non alla mente, attraverso un cammino misterioso, tale da far immediatamente sentire e vivere il vero.
In senso opposto Kant venne attaccato, in una prospettiva per così dire più laica, per motivi d’ordine gnoseologico: gli venne rinfacciato di aver dato una formulazione riduttiva dei compiti della ragione; di averla relegata nel ristretto ambito dei fenomeni dando alle cose stesse la possibilità di essere in sé. Questi critici si batterono dunque a favore di una ragione non più divisa nelle distinte facoltà di conoscere e pensare e prefigurarono la possibilità di eliminare la noumenicità, fatto essenziale per l’affermarsi dell’idealismo.
Leonard Reinhold (1758-1828), molto popolare e prolifico polemista, ridusse il mondo a semplice contenuto della coscienza e ritenne che il noumeno, proprio perché non rappresentabile, fosse inconciliabile con una coscienza che era da considerare unica e sola realtà. In questo senso il noumeno rappresentava un vero e proprio non senso logico.
Ernst Schulze (1761-1833) in uno scritto anonimo in difesa dello scetticismo di Hume, affermò che nell’ambito del sistema kantiano esistevano due possibilità: negare il noumeno, affermando che il mondo è il mondo della coscienza e per conseguenza fare di Kant il padre dell’idealismo; oppure negare l’attività trascendentale della coscienza e ritornare all’esperienza immediata dell’empirismo. Schulze, da parte sua, ritenne questa seconda ipotesi più opportuna e perciò ripropose il sano scetticismo di Hume come giusta posizione del vero sapere.
Infine, Salomon Maimon (1754-1800) considerò il noumeno come il grado più basso della coscienza, la quale, però, nella sua pienezza è costretta a ritrovare il mondo come sua produzione.
Attraverso questo magmatico mondo del criticismo emerse infine la coscienza come pura attività liberamente creatrice, eliminando ogni opposizione tra essere e pensiero.
Kant, fin quando gli fu possibile e prima di essere travolto dalla grave malattia che lo accompagnò fino alla fine, si ribellò sempre a questa trasformazione del criticismo in idealismo. Ma contro di lui giocava anche una diversa situazione sociale che si preparava a volgere le spalle sia a Kant che allo stesso Illuminismo.
01-11-2011
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