Da Talete a Socrate: Senofane

Senofane

Colofone 570 a.C. – 475 a.C.

 

Agli dei, Omero ed Esiodo attribuiscono tutto quello che per gli stessi uomini è motivo di vergogna e di biasimo: rubare, commettere adulterio e ingannarsi reciprocamente… I mortali credono che gli dei siano nati e che abbiano àbiti, linguaggio e aspetto come loro… Gli Etiopi credono che gli dei siano camusi e neri; i Traci, che abbiano occhi azzurri e capelli rossi… ma se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero dipingere… i cavalli dipingerebbero gli dei simili a cavalli e i buoi gli dei simili a buoi e ne plasmerebbero i corpi simili all’aspetto che ognuno di essi ha… In realtà, Dio è uno, sommo tra gli dei e tra gli uomini, non simile agli uomini né per aspetto né per intelligenza… tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero ode… senza fatica tutto scuote con la forza del pensiero… sempre nell’identico luogo rimane, senza muoversi, ché non gli si addice aggirarsi qui o là”.

Questi pensieri e argomentazioni sono gli apporti che solitamente vengono attribuiti a questo filosofo itinerante e poeta satirico (le Elegie e i Silli) che morì vecchissimo, avendo frequentato e avendo dibattuto con diversi e numerosi uomini di cultura e Scuole, dalla Ionia, all’Italia Meridionale, alla Grecia, i tre poli in cui il pensiero umano mosse i suoi primi e eccezionali passi.
In questi frammenti di Senofane la saggezza, prodotta dall’esperienza di una lunga vita, si coniuga con approfondimenti e “cautele” con cui volle mettere in guardia ogni ricercatore. Era solito, infatti, affermare che “solo gli dei sanno la verità e a tutti è dato soltanto congetturare”, tanto che alcuni, per un’interpretazione parziale, hanno ipotizzato un senile quanto improbabile scetticismo.
È saggio, per Senofane, non curare “le divinità del popolo” che non esprimono realmente la natura di Dio, ma solo fantasie sulla divinità, tanto simile agli uomini, in vizi e virtù. Probabilmente si potrà trovare questa “saggezza” in altri contemporanei. È certo, però, che nessuno si espresse con la fermezza e l’ironia di Senofane. Per questo deve essere considerato il primo teologo, tale perché negatore dell’antropomorfismo.
La critica di Senofane, sostanzialmente non ebbe successo, né ha continuato ad averne nel corso dei secoli, per l’alterigia dell’ignoranza. L’Olimpo o il Sinai o il Pantheon non ne furono scalfiti e l’Idolo restò immutato nei riti umani.
Senofane volle dare al pensiero, alla ragione, un Dio degno di essere pensato: “Dio è uno, sommo tra gli dei e tra gli uomini, non simile agli uomini né per aspetto né per intelligenza… tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero ode”.
Tuttavia la sua riflessione, come detto, non è sistematica. L’aporia principale è contenuta, in sostanza, nell’affermazione che Dio “in identico luogo rimane senza muoversi”, in cui emerge la sua visione spaziale dello Spirito e il suo ragionare in termini fondamentalmente ilozoistici.
Senofane comprese solo in parte che l’Assoluto non ha luoghi o tempi da cui guardare, perché non è qui o là, o in ogni altro “dove”, nella stessa misura in cui ovunque consiste, senza per questo essere tutto immanente, ma anzi conservando un’assoluta e piena trascendenza.
Perciò è lecito sostenere che filosoficamente Senofane è strettamente legato alla scuola di Mileto, di cui tutt’al più, migliorò l’individuazione dell’archè: sostenne infatti che l’uomo è polvere e alla polvere ritornerà, visione che sarà accettata nella più antica commistione di terra e acqua, ossia nel fango, di più fortunata lettura.
Per tale ragione è improponibile un Senofane fondatore della Scuola di Elea, essendoci un abisso tra la logica parmenidea e la “saggezza” empirica di Senofane. Se qualcosa apprese dagli eleatici (o diede) è la martellante e duratura convinzione che gli uomini, nella quasi totalità, vivono di opinioni e che per nulla aspirano alla Verità.
Resta fermo che, se il pensiero non avesse continuato ad offendere Dio, com’era preoccupazione di Senofane, noi avremmo meditato sul Logos con maggiore rispetto. Cosa che non ci è stata consentita dalla Religione, che nel suo miscuglio ideologico, nel suo “credere volgare”, ha costretto il pensiero di molti a pensare un Dio volgarmente umano, violento ed inutile, da tralasciare a priori.
Merito imperituro di Senofane è, dunque quello di aver rifiutato ogni visione, ogni concettualizzazione, ogni meditazione che ponesse l’Assoluto sotto specie umana e naturale, per cui la sua critica indirizzò il pensiero al rifiuto di ogni “immagine” di Dio, ricalcata sui vizi e, anche, sulle virtù degli uomini, secondo scopi e finalità che denunciano l’arroganza dell’uomo a porsi al centro di tutto, quasi a voler asserire la sua “divina” autoproduzione.
Da questa critica è possibile ripensare un Dio che si dà all’uomo come umano, ma non l’uomo che si dà a Dio come divino. È il senso dei “confini” e degli “orizzonti” dell’uomo e l’affermazione che l’Assoluto non ne presenta affatto, tanto meno si arrabatta in pensieri “piccoli” e azioni mediocrissime quali l’uomo presenta nei “libri sacri”.

 

21-02-2011

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *