Da Talete a Socrate: Mito, Arte e Religione

Mito, Arte e Religione

 

1 – L’enciclopedia mitica

Quando gli uomini elaborarono meccanismi e manufatti per soddisfare i loro bisogni primari contemporaneamente sorsero, nelle comunità più stabili, il culto dei morti e le forme espressive magico-mitiche per superare il timore per un ignoto “soprasensibile” incombente. A queste forme furono adeguati i primi canoni “normativi”, i “comandamenti” d’origine sacerdotale.
Il culto dei morti e degli dei fu delegato alla religione, come particolare forma dello Spirito, ed essa attraverso i suoi rappresentanti costruì un percorso che partendo da un rozzo criterio di sacro terminò, nella fase costitutiva, nel rito salvifico e propiziatorio, nella tomba e nel tempio.
L’illustrazione del culto, in questi contesti, definì le prime ed immediate espressioni “artistiche”.
Interni a questi processi, l’uomo avviò una serie di “strategie cognitive”, capaci di dargli una comprensione della natura nei suoi aspetti quotidiani e specialmente nei suoi aspetti complessi e terribili e questa conoscenza fu condivisa con i simboli della realtà, antropomorfizzando ogni domanda e ogni risposta, facendo del mondo una estensione della propria coscienza e delle proprie relazioni.
Dietro ogni fenomeno collocò un dio e i rapporti fra gli dei rappresentarono le stesse “leggi” presunte della natura. In questa forma simbolica primitiva venne risolto il “problema cosmo” ed il problema del senso della vita. Le complicanze “quotidiane” dell’esistenza, ricapitolate nell’Olimpo, furono sufficienti per spiegare la complessità dei problemi a cui intendeva trovare risposta.
La natura umanizzata veniva così ad essere “sentimentalmente” organizzata e l’uomo nel mito riscriveva le possibili varianti degli accadimenti: ad un’esistenza variabile e accidentale, ad una natura capricciosa subentravano divinità capricciose e imprevedibili e nei loro atteggiamenti, nelle loro polimorfe vicende, trovano conclusione tutte le situazioni complesse della natura e della storia.
L’Olimpo greco-latino fu così “un’enciclopedia didascalica” dei problemi umani e naturali. Questo “luogo esterno alla mente, oggettivamente visibile, rappresentava una specie di grande complesso geroglifico e dava il senso “visivo” delle vicissitudini e delle condizioni sociali.
La divinità-simbolo è l’approccio più semplice alla “natura” da parte dell’uomo, di modo che è possibile riscontrare che dio fu smisuratamente più grande dell’uomo, poiché così si constatava nei fenomeni “sovra-umani” della natura così come nel “destino” indefinibile e mortale di ognuno. Ma gnoseologicamente dio accompagnava l’uomo, giacché era nient’altro che il prodotto dell’impotenza e della limitatezza umana.
Nel mondo antico “prefilosofico” i grandi poemi epici, le teogonie e i poemi sacri con gli inni propiziatori e cerimoniali, rappresentarono, dunque, un grandioso canone etico, gnoseologico e legislativo. In particolare in Grecia questa fase, nel suo massimo splendore, s’incarnò in Omero, Esiodo ed Orfeo, che diedero agli uomini il senso della giustizia, il senso della ragionevolezza e della misura a cui sottoporre la passione che acceca. Tutti celebrarono una “virtù civile” il cui premio consisteva semplicemente nella gloria, nella fama e nell’onore. La “paideia”, l’educazione, indicava nella vita eroica o nella “fatica” del lavoro un esempio “paradigmatico” (paràdeigma). Come scrisse Hegel tutto il complesso mitico-religioso elaborato dai greci non è altro che “un sentirsi a casa propria nel mondo”, in un mondo in cui non si coglie separazione fra anima e corpo, in un mondo in cui non si rintraccia peccato, ma in cui è ben visibile l’azione del male a cui ci sottrae solo la morte o, in maniera sofisticata, il “mistero mistico” o la metempsicosi orfica.
La filosofia, quando sorse, dovette distinguersi subito da tutte queste forme spirituali sottomettendo le primordiali “signorie” del sentimento e dell’immaginazione all’ordine delle spiegazioni verificabili e “razionali”.
Asservendo la coscienza mitica essa, per prima, parlò veramente di Dio, dell’unico Dio possibile, poiché lo concepì come Logos, lasciando alla religione ogni racconto tribale e falsamente edificante.
Gli Egiziani e gli Israeliti, fecero un cammino più problematico dei greci. Essi acquisirono precocemente la visione di Dio come antecedente la natura e la storia. Rielaborarono la natura secondo quando era “deducibile dai libri sacri” che venivano periodicamente elaborati dalla classe dominante.

2 – Coscienza e autocoscienza

La nascita della filosofia deve essere, in ultima analisi, descritta come “una mutazione” della coscienza, la prima grande mutazione che permise all’Occidente di impostare non solo il pensiero propriamente filosofico, ma l’intero campo d’indagine in una forma particolarmente nuova.
Con Omero, Esiodo e Orfeo lo spirito aveva ottenuto una visione del mondo, delle norme adeguate alle forme dell’esistenza e del suo sviluppo.
Gli uomini hanno sempre la coscienza adeguata al loro operare e essa si modifica quando muta l’esistenza produttiva nel proprio sviluppo. La produzione “eroica” dell’esistere così come la produzione immediata attraverso il lavoro quando viene a rappresentarsi come “nuova” civiltà si rappresenta in forma mitica quando i mezzi espressivi e di ricognizione non corrispondono ai mezzi generali della società.
Omero, Esiodo e Orfeo espressero in racconti, protagonisti e norme morali quanto bastava a quel tipo di società per darsi una stabilità sociale. L’oralità a cui soggiaceva questa forma comunicativa produsse conseguentemente un particolare modo di pensare e di riflettere. Questo riflettere in forma primitiva induceva l’uomo omerico a pensare e “pensare ciò che pensava” attraverso le vicende e i personaggi che popolavano la sua mente. La giustizia è la giustizia dell’eroe in quanto si è comportato così come si ritiene che convenga. L’eroe e i suoi successori ideali dettano il valore dell’idea poiché quella idea si esprime in un racconto, un epos.
Alla fine del VII sec. questo modo di autocoscienza venne ribaltato da una nuova forma di pensiero: l’esistenza venne ripensata in “forme concettuali” e i concetti vennero studiati nella loro adeguatezza con reale. Accanto al pensiero immaginifico si ritagliò un campo un pensiero “categoriale”. Laddove prima agivano eroi e dei, guerre e forza cominciarono ad agire archè (principio) e destino (ananche), giustizia (diche) e verità (aletheia) fino a giungere alle vette del Logos. All’uomo fu dato un altro modo per analizzare la realtà, per ripensarla e ripensare la validità delle proprie indagini una novità, una mutazione, che segnò definitivamente la storia dell’uomo.

 

12-12-2010

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