La filosofia preplatonica
Aristotele (384/83 a.C. – 322 a.C.), che alcuni considerano fu il primo filosofo sistematico, fu, forse per questo, anche il primo storico della filosofia.
Nel corso del V sec. il termine “filosofia” era stato riconosciuto proprio di un “sapere” ben definito e il filosofo fu distinto dal generico “saggio” e da altri produttori culturali, presenti sulla scena sociale dell’Atene di Pericle e che assistettero alla morte di Socrate o ne furono segnati.
Lo stesso Socrate, contrapponendosi ai Sofisti, aveva contribuito non poco alla distinzione tra saggezza e filosofia, tra l’arte di insegnare e il compito di filosofare, tra ragione e intelletto. Ma è a tutto l’età periclea che è da ascrivere la nascita della filosofia, ai suoi epocali mutamenti politico-sociali, alla fortunata congiuntura di quel tempo in cui operarono i grandi tragici, Eschilo, Sofocle e Euripide e gli uomini tra i più grandi della storia del pensiero antico: dai Sofisti a Socrate, da Anassagora a Melisso e Zenone, allo stesso notissimo Parmenide, a Empedocle, a cui s’affiancarono ben presto i veri e propri filosofi, quali Platone, Democrito e infine Aristotele stesso.
Questi stessi filosofi del V secolo si richiamarono spesso alle vicende sapienziali-filosofiche della Scuola di Mileto, a Pitagora di Crotone a Eraclito di Efeso e a tutti quelli che avevano lavorato per questa nascita. Aristotele, nella sua veste di padre della filosofia, discepolo di Platone e dunque di Socrate, riconobbe nella Metafisica il debito verso di loro, ammise che essi erano stati la sorgente di questa scienza nuova e a Talete, “l’antico Talete” (Proclo), e agli altri pensatori si riferì come “ai primi che filosofarono”.
È tuttavia il destino di ogni filosofo quello di riferirsi agli altri come “a coloro che pensarono” prima, giacché la filosofia, fin dalle sue origini e nel suo corso lento ha dibattuto per superare le ambiguità che emersero già al suo nascere.
Ancora una volta è Aristotele ad averne piena coscienza: “C’è una scienza che studia l’essere in quanto essere e ciò che inerisce all’essere di per sé” …. “l’essere si dice in molti sensi, ma tutti sono in relazione a un unico termine e a una qualche natura unica”, aggiungendo quel monito che è anche il confine stesso della filosofia “… non equivocamente”.
Infatti sono io, come persona unica, determinata, ad essere il principio del sapere oppure il sapere intorno a me stesso e al mio mondo è solo pensiero e storia accidentale? Oppure io, essere unico, pur essendo principio del sapere sono costretto a ritenere che il sapere è fuori di me e dunque non lo produco ma lo ri-produco? Sono domande che la gente comune ha semplificato nel rapporto io-Dio, in cui ci si chiede come l’ente che nasce e muore sta e deve porsi davanti a ciò che né nasce e né muore.
La storia della filosofia è una storia lenta e millenaria, proprio in quanto la filosofia non è in grado di dare risposte definitive, ma solo rassicuranti (“ha relazione con la salute” diceva sempre Aristotele) e se trova qualche postazione da cui osservare meglio il rapporto “me e Dio”, questa è sempre una prospettiva “relativamente” limitata e di corta veduta.
Così l’uomo cerca faticosamente di affinare la sua logica, di rendere più capace e coerente la propria ragione, e, solo quanto ricorda che il rapporto “me e Dio” non rappresenta una “dualità” ma “una cosa sola”, comincia a incamminarsi per la via della verità, dovendo però aggiungere subito e necessariamente che in questa “cosa sola” si collocano le estreme divisioni tra ciò che è mortale e ciò che non conosce morte.
Dio è la cosa più evidente che possa esserci, della stessa evidenza di cui sono fatto io. Ma la mia esistenza, per l’azione permanente di un “genio maligno”, spesso la irretisco nelle trappole delle illusioni e delle immaginazioni, per cui la mia opera così come quella di Dio diventa inefficace e sterile e tanto io divento estraneo a me stesso quanto Dio diventa abscontitus.
La realtà mia e di Dio è, al contrario, la garanzia del pensiero e chi non è realista è ovviamente un illuso e “paga” questa illusione giacché disperde la vita, l’unità dell’essere, dietro l’esasperazione del dualismo in cui si colloca unilateralmente.
Quando nella Scuola di Mileto venne elaborato il pensiero dell’archè (il principio o elemento naturale primo) esso non venne distinto dalle singole esistenze, che anzi divennero sue “affezioni”, e in quel naturalismo in cui nulla si crea e nulla si distrugge, il rapporto ente-essere, pur non corrispondendo all’unità me-Dio, ne rappresentava il primo oscuro riconoscimento. Dell’io unico (il me) si diceva che fosse un mortale fatto di elemento immortale e che esisteva in una continua e ciclica migrazione tra condizioni opposte. Il pensiero degli antichi filosofi ha dunque, da un lato, chiaro il concetto dell’io mortale, della circolarità immortale dell’essere, dell’identità-distinzione degli opposti, della vita dell’uomo in Dio, e d’altro lato, in che misura si collochino in questo processo il bene e il male, la giustizia e l’ingiustizia, il senso e il non senso, il vuoto e la sostanza, l’opinione e la verità. Il filosofo sembra comprendere il senso, il significato, lo scopo e il fine dell’esistenza avendola ancorata ad una Causa Prima.
Se di queste categorie e figure della conoscenza si parla con approssimazione “relativa”, ciò è imposto dal porsi stesso del rapporto tra me e Dio; tuttavia, esse sono poste come i termini di ogni possibile discussione. Ossia nella filosofia di Anassimandro, di Pitagora, di Eraclito e di Parmenide si stabiliscono i campi intorno a cui, in ogni epoca, si interrogherà la filosofia dando le riposte che più confanno al miglior modo di essere se stessi e al miglior modo di appagarsi in Dio, tanto che ogni società si distingue da un’altra proprio per la dignità che dà alla persona (all’io con nome e cognome) e per la narrazione e per la “devozione” che dà a Dio.
Dignità e devozione sono state e restano, dunque, le misure di una civiltà e dello Spirito del mondo, la storia come storia congiunta di Dio e dell’uomo.
Nella “filosofia dell’archè” l’uomo viene in qualche modo sacrificato proprio in quanto è soltanto uomo naturale, ma con l’avvento del Logos, ritrova la sua giusta collocazione.
Nel corso dei secoli questo Logos sarà individuato variamente, ma solo col cristianesimo sarà rappresentato come uomo-Dio, ossia nel suo essere reale. Questa è il percorso della filosofia e se nell’ambito della filosofia antica possiamo stabilire la divisione tra filosofia preplatonica e filosofia post platonica, questo avviene perché l’archè, divenuto Logos, solo in Platone si rappresenta come uomo-Dio, anticipatore del pensiero cristiano, perciò prima sistemazione dei valori assoluti e della contingenza dell’esistere.
20-02-2011
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