Da Talete a Socrate: Introduzione

Introduzione

– Il discorso dell’essere e la sua lettura –

 

1 – Le tre domande fondamentali che si pone la filosofia sono queste:

– possiamo comprendere il Logos, inteso come Fondamento e Trama della serie di cause che danno luogo all’esistere dell’Essere e dell’Ente?

– possiamo comprendere se questo mondo è in funzione dell’uomo?

– possiamo comprendere qual è lo scopo, il senso e il significato dell’esistenza nel suo dispiegarsi sia storico che naturale?

2 – Le domande conseguenti rimandano a uno statuto epistemologico e ad un linguaggio, che si costituiscono lungo lo stesso procedere della storia del pensiero, che è, a sua volta, il versante più importante della storia stessa dell’esserci.
La categoria di esserci (essere insieme sempre con) viene riscritta continuamente. Essa è stata introdotta per superare l’assurdo formalismo di un io immaginario, senza mondo, indipendente da relazioni, proprio al fine di costringerlo a rinunciare all’affermazione gratuita di presupporsi “io puro”, riottoso a sporcarsi con la realtà effettuale.
Sum e cogito sono due modi di presentarsi dello stesso soggetto, giacché nessun cogito esiste senza sum. Nessun pensiero esiste senza un mondo di riferimento e nessun mondo esiste senza un soggetto che lo pensi.
Tuttavia, è successo che, in questo decoroso proponimento, la coscienza abbia continuato ad essere astratta, rapportandosi di nuovo ad un io generico, ad un mondo altrettanto artificioso, mentre l’io individuale, in quanto io così come è, non appartiene ad un mondo qualsiasi, non entra in generiche relazioni, ma è così come è nella sua parte di mondo in condizioni determinate.
Il punto di vista preliminare, empirico, è dato, di conseguenza, dall’affermazione che l’io è un particolare soggetto, in questo particolare momento, inserito in un particolare contesto: un modo di essere in un’occasione storica che pensa e agisce “da” questa situazione unica.

3 – In quanto “esistente”, l’io è effettivamente ente che sta tra enti, ma molto al di là di un’indistinta configurazione naturale.
L’io è un ente che è “una coscienza” che, portando a compimento le sue possibilità, si confronta con altre coscienze.
In questa specificità, l’io penso (come si dovrebbe più correttamente dire) dà agli altri la lettura che fa dell’essere. Questo “leggere” è il suo modo di decifrare i fatti, portando alla luce la trama del loro procedere.
A ben vedere, la coscienza pensa e riflette solo in quanto, attraverso di sé, il Logos si fa parola, che è la realtà di Dio come si approssima all’io penso, se è vero che la Ragione è in tutto e in tutti.
La conoscenza è reale nella misura in cui l’io riproduce ciò che è il Logos. In questo caso, l’io è il soggetto che “pensa ogni storia”, “il linguaggio dell’essere”, costituendo la prima ipostasi senza la quale non si dà esistenza ad alcunché, né narrazione e, tanto meno, “interpretazione” di qualcosa.
Anche la Storia della filosofia, da questo punto di vista, è la storia di un filosofo e del suo Dio, di “un” mondo logico e del suo “cor-rispondere” alla vita. È, in ultima analisi, un dispiegarsi della coscienza esistenziale nella vita, che si fa storia proprio in quanto la fatticità, la realtà effettuale sono dichiarate tali dalla coscienza.
E se il senso dei fatti si trova soltanto sub specie aeternitatis, l’io fa effettivamente storia quando l’essere e l’agire sono un farsi compagno di Dio e nella pienezza della ragione condurre la propria esistenza fuori da ogni deserto, poiché il Logos odia i deserti.

4 – “L’Essere”, come ipostasi seconda, deve intendersi come l’insieme di tutti gli enti, intesi non solo come enti pensanti, ma come altrettante “semplici presenze” nello spazio e nel tempo. Dell’Essere, dunque, si può dare tanto una “scienza naturale” quanto una “scienza storica”.
Ed è in entrambe che si può dare una conoscenza metafisica, intendendo con questo, quello che abbiamo prima indicato come la ricerca e la “presenza” stessa del Logos nel suo esplicarsi così come si esplica. In essa l’io dà conto di ciò che ha compreso di sé, degli altri, della natura e del divenire della vita; dunque, da quanti orizzonti del Logos gli è stato concesso di osservare la sua realtà e quella degli altri. Nella metafisica soltanto si rende trasparente quale “dono” è stato dato all’uomo per risalire l’inconsistenza e l’impermanenza della vita.

5- L’uomo e il suo destino, la ragione e l’essere “questa” ragione, è per il filosofo il porsi stesso di una “Ragione che si dà alla ragione attraverso la realtà” ossia della realtà che si fa ragione nella coscienza e si lascia interpretare, proprio in quanto è insieme “la ragione” tanto del pensiero che delle cose, è vero e verità.
La Verità si lascia “com’ (con)-prendere” nella forma che si dà, esistendo perciò “prima” del chiedersi e del rispondersi.
Bisogna penetrare l’arcano secondo cui ragione e realtà coincidono, per capire in maniera esemplare il presentarsi “a priori” di una trama logica che accomuna indissolubilmente il pensiero e le cose e che garantisce l’acquisizione di un sapere necessario e universale.

6 – Questa aprioricità logica non significa affatto una “deducibilità meccanica” del presente, poiché questo rapporto è subordinato a “scelte”, restando proprio nel campo necessitato dell’esistere. Comprendiamo che la storia sempre implica un atteggiamento specialissimo, che è quello per cui è necessario compiere ogni volta una “scelta”, che è concessa a tutti, ma, di fatto, compiuta da alcuni e che è una “continua approssimazione” alla Causa prima.
L’identità di ragione e realtà significa che la conoscenza deve essere intesa quale conseguenza della “presenza” del Logos, poiché solo il Logos è la garanzia “originaria” del fatto che il pensiero “ragiona” e non vaneggia.
La ragione presuppone, al suo cospetto, una realtà che è “sempre” razionale e che perciò si fa comprendere secondo precisi nessi logici, fuori da ogni mera accidentalità, ma anche contro ogni banale fatalismo.
In tal modo, il filosofo, proprio per “filosofare”, è stato costretto a stabilire tre degli aspetti fondamentali della natura del Logos: la sua assoluta razionalità, il suo presentarsi nell’Essere inteso come Natura e come Storia, il suo darsi al pensiero.
In questo triplice atto consiste la possibilità della verità, che si acquista con tanta fatica e con molta facilità si accantona.
Se filosofare è rendere evidente l’oggetto, l’ambito e gli strumenti della coscienza, se oggetto della filosofia è, in conclusione, la conquista del Logos da parte dell’ente, allora la Storia della filosofia è la storia del Logos come storia dei tempi del suo “svelamento”, che è il pre-sentarsi stesso dello Spirito, come coscienza e mondo, Verità e Vita.
Lo spirito, in quanto “ragione presente nel reale”, “realtà prodotta dalla ragione”, resta, dunque, il vero “essere” del pensiero e delle cose.
Per questa via, tutto si trova necessariamente interno al Logos: il senso dell’uomo, del singolo uomo, ha significato in quanto parte, la più intima, dell’Assoluto.
La storia della filosofia dà conto, dunque, del peregrinare delle tante “connotazioni” del Logos: Tutto, Idea, Causa Prima, Uno, Ordine, Ragione, Realtà, Soggetto, Spirito, Assoluto, Trama dell’Essere, ecc. Principalmente essa dà senso al suo “nome” più controverso, più contraddittorio, ma più diffuso: Dio.
Per quest’ultima via si potrà anche dire, erroneamente, che il Logos, oltre che ragione, è sentimento, volontà o qualsivoglia cosa, ma solo perché di esso si considerano aspetti antropomorfici che sono miseria, anzi bestemmia, davanti al suo “essere tutto”.
Potrà essere sostenuto, con più parvenza di legittimità, che il Logos è Principio, Destino, Trama e Discorso, ecc.; che in Esso convivono Necessità e Libertà, Scelta e Obbligo, Assoluta Immanenza e Immensa Trascendenza e tant’altro.
Ma tutto si dipana, fin dal principio, dall’identità permanente del Logos con se stesso, del Logos che si dà alla coscienza dell’uomo come verità, giustizia e bellezza, del Logos come “progetto” attraverso cui si “creano”, secondo la sua infinita e inenarrabile sapienza, l’universo infinito e questo nostro Cosmos.
In sintesi, la storia della filosofia è tanto la storia della “ragione umana che avanza”, quanto del “Logos che non si sottrae”. Possiamo dire, lo sforzo congiunto dell’io e di Dio nel ritrovarsi similmente razionali, realtà che sanno di essere presenti a se stessi.
E con ciò siamo pervenuti all’assunto che è il fondamento di tutti i fondamenti: “Tutto è uno”, non un Tutto indifferenziato e intraducibile, alla maniera “orientale”, ma il Tutto realissimo, in cui dialetticamente si avvicendano le trame di Dio e delle sue “creature”.

7 – Con questo Logos si sono confrontati tutti i filosofi. Venne affermato, per la prima volta, come principio o archè a Mileto con Anassimandro, poi come epifania, a Crotone, a Efeso, a Elea e PitagoraEraclitoParmenide ne furono i primi incommensurabili interpreti.
In seguito, ad Atene, Socrate per esso diede la vita e questo accadimento riempì i pensieri di Platone, maestro di Aristotele. Così buona parte del futuro della coscienza è stato fortemente vincolato a ciò che si è pensato tra il sesto e il quarto sec. a.C.
Poi, dopo quasi tre secoli, il Pensiero mutò e fece una repentina quanto suprema conquista, facendosi “conoscere” da tutti per mezzo del figlio di un falegname di Nazareth, in Galilea, e costui, Gesù, insegnò un appellativo del Logos mai prima conosciuto: “È Padre mio e Padre Vostro”. Dette così conto del particolare e sostanziale rapporto tra il Logos e la “singola” esistenza, tra Logos e l’anima umana e principalmente tra Logos e Dio.
E disse di sé la cosa più folle in tutta la storia della filosofia e dell’uomo: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”, le connotazioni del Logos nella sua piena trasparenza.
Predicò la realizzazione immediata e consequenziale del Regno di Dio, del concreto avverarsi di conoscenza e vita, ponendo l’esistenza e il pensiero di fronte al compito di andare “oltre” e pensare “altro”.

8 – Da allora il Nichilismo, l’umano senza storia e senza memoria, attaccò con ogni sua risorsa, ben sapendo che, con Cristo, Dio si giocava il suo stesso “stare” tra gli uomini e che, in un’evenienza negativa, nel pensiero si sarebbe posto l’insano problema di dare perfino prova dell’esistenza di Dio, ossia di quello che è, naturalmente, l’Evidenza Assoluta, il presupposto di tutti i presupposti.
Il nichilismo sfidò Gesù sul suo stesso terreno e chiese all’uomo “se” fosse veramente capace di andare oltre, cioè dimostrare storicamente questa presunzione di divinità.
Con la sconfitta del Cristianesimo, che si evidenziò in tutta la sua portata all’inizio del XX sec., (L’età del nichilismo), unita al fallimento di un umanesimo sociale, che Marx avrebbe definito “un comunismo rozzo” e che fu, in ogni caso, la variante laica del cristianesimo stesso, gli uomini restarono orfani e senza grandi speranze.

9 – La filosofia, a questo grado di criticità, ha forse esaurito il suo compito? La filosofia può reimpostarsi, cambiare linguaggio, può vivere le accidentalità degli altri saperi, ma non può morire, perché la sua morte implica la scomparsa del mondo e dell’uomo.
Non possiamo trovare comode conclusioni e, proprio in seguito alle nefaste vicende dell’uomo in quest’ultimo secolo, dobbiamo comprendere le ragioni e le conseguenze di questo fallimento, poiché sarà bene considerare “se” con l’abbandono o la morte del Padre, si è persa definitivamente la garanzia del porsi “reale” degli stessi atti del pensiero come ordine delle cose, della loro genesi e connessione, del loro farsi prassi.
È vero che, come si suole affermare, i figli diventano autonomi in conflitto col padre, cercando una vita apparentemente più concreta e meno incerta, ma in quest’ultimo caso, il loro agire, se in vana autonomia, non potrà che essere un vagare inessenziale e nichilista.
Ed è miseramente consolatorio affermare “che poi troveranno la strada dei padri”. Per riconquistare l’orizzonte del Logos questi figli dovrebbero percorre il faticoso cammino della preistoria dello Spirito, del ritorno alle radici, ricucendo il legame spezzato. Ma non è detto che ritroveranno senza dolore ciò che a loro si era dato gratuitamente.

10 – Potrebbe verificarsi qualcosa di più grave: che il Signore, stanco di restare tanto afflitto nella sua casa, decida di volgere altrove lo sguardo e abbandoni, senza rimpianto, la desolazione oscura degli uomini e del mondo che l’ha rinnegato.

 

20-02-2011

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