L’EREMITA di Efeso
Eraclìto
(Efeso, 535 a.C. – 475 a.C.)
1 – Il fondatore del sapere filosofico
Nella storia del pensiero si è sempre tenuto in altissima considerazione Eraclito di Efeso, che dalla più parte degli studiosi, è considerato il vero “fondatore” della filosofia, se è vero che, fino a Lui, gli uomini erano andati errabondi tra feticci e idoli alla ricerca dell’unico “oggetto” del pensare.
Egli, più dei Milesi, sbarrò le porte della filosofia al mito e alla religione (“Non limitiamoci a facili conclusioni sulle massime cose”. Framm. 47), costruendo il percorso e l’ambito del sapere filosofico verso la sua meta e il suo destino (vedi Introduzione).
Dedicò tutta la vita alla verità e trovatala la presentò agli uomini in tutta la sua nudità. Forse alcuni, già nel suo tempo, avrebbero preferito che egli la coprisse, almeno un po’, col velo della compassione, ma Eraclito non ebbe pietà. Preferì la verità agli uomini ed alle loro illusioni.
Così i più importanti filosofi dovettero e devono confrontarsi con lui. Platone lo ebbe come convitato di pietra in tutti i suoi Dialoghi, cercando inutilmente di logorarlo, per poi farsene “discepolo”. Aristotele ne diede una pessima testimonianza, ma fu costretto, per lo meno, a svilupparne alcune parti essenziali.
Poi lo incontrarono Bruno e Spinoza, finché Hegel, più onestamente, dichiarò, nelle sue Lezioni, che non c’era stata proposizione di Eraclìto che non avesse utilizzato nella sua Logica. Ma, se fosse stato ancor più riconoscente, avrebbe detto che senza il “polemos” di Eraclito non sarebbe nata la stessa dialettica. Nietzsche lo idealizzò più di tutti, lo utilizzò, lo approfondì e lo rese a sua immagine: “più umano, troppo umano”. La filosofia contemporanea, analitica e non, ha finto di ignorarlo, riproducendo la vecchia uggia della “pura e asfittica ricerca”.
Ma Eraclito ritorna sempre, come ritorna più concreto e più visibile il suo Dio-Logos.
2 – Il pensiero di Eraclito
Da un punto di vista cronologico si può dire che ad Efeso trovò sistemazione la “sapienza” di Mileto, che si era fermata, nel suo materialismo semplicistico ad un contradditorio archè, dandole qualcosa mai raggiunto o appena abbozzato (Anassimandro): il Logos.
Eraclito non stimò Pitagora, perché lo confuse con i Pitagorici, però come Lui fece dell’Armonia il più evidente sigillo dell’Assoluto, divulgandola con rara eleganza. La filosofia opera, per sua natura, attraverso concetti, ma quando riesce a trasferire i concetti in immagini raggiunge e fa raggiungere le vette diversamente irraggiungibili.
Eraclito volle dimostrare che il Logos, nella sua triplice dimensione di Essere, Ente e Assoluto, “è come appare” [“Le cose che vedo, ascolto e percepisco, queste io prediligo” (framm. 55)], ossia divenire, perenne mutamento.
Volle dare visivamente il significato di questo mutare, individuando nel Fuoco, il fuoco come comunemente e prosaicamente lo sperimentiamo, il simbolo più didattico di questo eterno variare.
Dunque, immaginiamo un fuoco che sia eternamente acceso: consumerà legna che mai (framm. 30) mancherà e arderà con l’ardore di fiamme sempre nuove.
Questo fuoco è come il Logos, che splende senza tempo e senza spazio, consumando l’Essere (la legna […]) e facendo splendere ogni forma di esistenza individuale (le fiammelle e le fiamme […]), che lo fanno essere ciò che deve essere (framm. 89).
Agli occhi di chi osserva apparirà uno spettacolo grandioso e rassicurante, anche se profondamente tragico ed esaltante.
In tale fuoco che è sempre stato, è e sempre sarà, l’eternità è garantita dal sacrificio, in quanto “i mortali” restano sempre il momento imprescindibile della vita del Logos.
Dio è sì profondamente lontano da noi e dagli altri morituri, ma è niente senza l’immolazione (framm. 62 e 77) degli enti e dell’essere, in cui vive profondamente (framm. 123) e in cui si magnifica.
Il fuoco arde attraverso fiammelle, che devono spegnersi, perché se ne possano accendere altre, nuove a nuova vita, affinché il Fuoco stesso possa eternamente durare.
Tuttavia fuoco e fiammelle sono la stessa cosa, poiché là dove si preserva sia l’eterno sia la vita, là deve agire impietosamente la morte: vita e morte sono una stessa cosa.
Perciò Dio non può nascondersi, anzi apertamente “dà segni” (framm. 93).
Non c’è cosa più immediatamente presente di Dio (framm. 50 e simili). E noi lo sentiamo (framm. 54) e lo comprendiamo (framm. 89) in quanto enti a Lui strettamente connessi nella vita come nella morte.
Se “non dormiamo con l’anima” (framm. 1 e sim.), lo comprendiamo nel momento stesso in cui cerchiamo Lui e cerchiamo noi stessi.
Questo è il presupposto di Eraclito, l’inizio della storia filosofica di Dio così come non si era mai udita.
Eraclìto scrive:
“Questo Cosmo che è qui e che è lo stesso ovunque non è stato fatto né da dei o da uomini, ma fu sempre, è e sarà fuoco sempre vivente, che divampa ciclicamente e ciclicamente si spegne”. (framm. 30)
In questo frammento, per coloro che lo meditano adeguatamente, sono delimitati i termini essenziali della sua filosofia: la natura del Logos, l’immutabilità, la negazione del creazionismo, il divenire eterno, l’ordine universale e necessario, la comprensione-negazione dell’eternità, il superamento di ogni religione.
Il Fuoco non è più un elemento naturale, milesiano, ma il paradigma della vita e della morte. È Dio.
3- Dio
Dopo un facile preambolo per cui “le opinioni umane sono come i giocattoli dei bambini” (framm. 70), “l’uomo è sciocco davanti a Dio, come i bambini di fronte agli adulti”. (framm. 7) e che “Dio sta all’uomo, come l’uomo sta alla scimmia, per sapienza, bellezza e ogni altra cosa”. (framm. 82 e 83), Eraclito ci insegna a porci correttamente nei confronti del Logos:
“Dio è giorno-notte, inverno-estate, guerra-pace, fame-sazietà” (framm. 67),
Si capisce che Dio non è più solo il creatore, ma la pura armonia del cosmo, il dispiegarsi dell’ordine, che è l’avvicendarsi inevitabile degli opposti (framm. 60 e sim., vedi Pitagora)
“Se prende nomi diversi lo fa come il fuoco quando, mescolandosi a spezie, prende nome dall’aroma di essi” (framm. 67 ).
Ma cosa è in primo luogo il Logos? È Tutto e Uno (framm. 54 e dim.), è un andare verso un andare, che non ha avuto inizio e non avrà fine e intra-vederlo è stare con il nostro pensiero “nell’intimità del Logos (framm. 123. 18 e sim). Solo in tale intimità possiamo afferrare il Logos come discorso e trama, ordine e legge universale, reale-razionale che è Essere e più che Essere, fatto logico ed ontologico.
Il Logos è “intraducibile” e, con molta approssimazione, possiamo intenderlo come ordo et connexio rerum et idearum. È Verità, il discorso del reale che si fa discorso ideale, più precisamente, Identità Reale come Ragione. Non Verità dietro il discorso ma Verità dentro il discorso.
Su Dio gli uomini si sono create le più disparate fantasie, lasciandosi ingannare da presunti sapienti, come uomini ubriachi che si fanno condurre a casa da fanciulli imberbi, senza sapere dove vanno (framm. 117) e in tale stato sono soliti “parlare scioccamente di ciò che è massimo” (framm. 47).
Gli uomini hanno bisogno di Dio [“C’è bisogno di Dio ed esserne sazi” (framm. 65)], in quanto hanno necessità di capire la Causa che “governa tutto” (framm. 64) “attraverso tutto” (framm. 41). Vogliono capire i disegni di Chi “sostiene” tutte le cose,”re di tutti, che fa essere alcuni divinità, altri uomini, altri liberi e schiavi” (framm. 66).
Gli uomini devono ascoltare Chi non partecipa della provvisorietà, anzi “che mai tramonta” e che esercita la “giustizia” a cui non “sfugge niente” (framm. 16).
E se la religione ha individuato qualcosa di questo Dio, Eraclito ammonisce: “Chi è unico e solo Sapiente vuole e non vuole essere chiamato Dio”. Con questa proposizione comincia la storia del Dio della filosofia che è assoluta trascendenza, ma immediatamente legata alla ragione umana e al divenire, perché è assoluta immanenza.
Per questa immanenza è particolarmente presente all’uomo che vive di ragione e vuole la ragione, perché così è l’anima. Eraclito afferma compiutamente che “l’anima ha una ragione che si accresce da sé” (framm. 115). Perciò, Dio è nel profondo di noi stessi:
“Ho cercato nel profondo di me stesso”. (framm. 101 e 116), in un territorio immenso:
“per quando tu voglia camminare e pur percorrendo ogni sentiero, non troverai mai i confini dell’anima tanto è profondo il suo logos”. (framm.45)
Ciò detto, è impensabile che dopo Hegel e la fondazione della dialettica si dia ancora una rappresentazione unilaterale ed astratta del Dio di Eraclito.
È vero che in Dio si acquietano tutti gli opposti, dal momento che Egli si dispiega tanto nel “giorno” che nella “notte”, ma annullare il “giorno” e la “notte” in un’unità indistinta significa annichilire le diversità che sono propriamente il presentarsi stesso di Dio.
La Ragione è divenire ricondotto a consapevolezza, dispiegarsi di opposti, che danno concretezza alla pura presunzione d’essere.
In Eraclito si vede chiaramente che Dio sta all’uomo come l’uomo sta alla Natura. Perciò l’uomo è in Dio ma non è Dio, rappresentando, nelle sue manifestazioni, l’immagine stessa di Dio.
4- I dormienti
Gli uomini, che pur dovrebbero avvertire Dio come amico intimo, non lo comprendono, anzi vivono “viventi-dormienti”, sordi che, non udendo, pensano che il suono non esista: “presenti sono assenti” (framm. 34).
Eraclito è durissimo contro i negatori di Dio: “I cani abbaiano contro chi è ad essi sconosciuto”. (framm.97), che “non sanno né ascoltare né parlare”. (framm. 19).
Costata che i viventi-dormienti sono la maggioranza degli uomini. Infatti, i più si accontentano dell’opinione (doxa) e vivono una vita immaginaria, preferendo la congettura alla Verità (alètheia), le tenebre alla luce.
Questo frammento scelto tra tanti dimostra il disprezzo profondo di Eraclito: “I porci trovano godimento nel fango più che nell’acqua pura”. (framm. 13 e 37) che va inteso ben oltre il relativismo ontico, che pure vuole indicare.
Essi vivono tra morte e morte:
“Essendo nati, vogliono fortemente vivere ed avere destini di morte e vanno al riposo lasciando figli perché si compiano altri destini di morte” (framm.20)
E ancora:
“Che intelligenza e che mente hanno? Credono ai cantastorie e fanno maestra la folla”, senza sapere che “la maggioranza è cattiva e solo i pochi buoni” (framm.104).
E tra i dormienti i “religiosi” sono i più ignoranti. Un esempio per tutti:
“Si purificano lordandosi con altro sangue, come chi, messo un piede nel fango col fango si volesse ripulire: a chi lo osservasse non potrebbe che apparire un balordo. E poi essi rivolgono preghiere a queste statue, alla stregua di uno che si metta a conversare insanamente con i muri delle case. Essi non conoscono proprio chi siano gli dei e gli eroi (framm. 5).
Da qui la conclusione di Eraclito: “È per me come diecimila l’aristos” (framm. 49), da alcuni sbrigativamente letto in chiave “politica” in base ad altre affermazioni lapidarie secondo cui “Tutti quelli che arrancano, pascolano a colpi di sferza”. (framm. 11); “Legge è anche obbedire alla volontà di uno solo”. (framm. 33). L’aristos vive di Dio perché non ama la provvisorietà pur restando in essa, prospettandosi sempre condizioni che non abbiano bisogno di illusioni (Marx).
5- La coincidentia oppositorum: alla radice della realtà e della conoscenza.
Quando poniamo una qualunque idea A, anche senza accorgercene, poniamo contemporaneamente l’idea -A.
Se ad esempio diciamo che una cosa è bella affermiamo di aver “constato” un’altra cosa che è brutta; quando diciamo che è notte sappiamo anche cosa sia il giorno; quando abbiamo fame sappiamo cosa sia la sazietà e cosi per tutte le nostre ide.
Infatti, per Eraclito esistono solo idee per così dire “biunivoche”, poiché ogni idea implica sempre in sé due definizioni opposte. E queste idee sono anche necessariamente momenti della realtà, in quanto un pensiero reale ricapitola sempre una realtà effettiva.
Quindi, di solito, il pensiero pone delle distinzioni in se stesso per poter comprendere le distinzioni esistenti nella natura e questo procedere è un compito inevitabile se è vero che ogni uomo ha bisogno della distinzione proprio per la sua stessa sopravvivenza.
Eraclito afferma che questo è un agire comune, un’attività normale del pensiero. Il suo contributo, comunque, è quello di affermare pesantemente che gli opposti non restano come due entità separate, due realtà inconciliabile. Anzi. Il loro porsi è pura apparenza, dal momento che provenendo da un’unità metafisica (il Logos) non è altro che una stessa cosa.
La realtà e il pensiero sono “coicidentia oppositorum”: “la via in su e la via in giù sono la stessa e medesima cosa”, “Gli immortali sono mortali ed i mortali immortali” e i frammenti in tal senso sono puramente ripetitivi.
Quello che va capito chiaramente è che la conoscenza, per Eraclito, e sì distinzione “logica”, ma intesa solo come riferentesi ad una realtà ontologica profondamente unitaria e che se si resta fermi alla presupposizione “logica” si perde di vista la “realtà” dell’essere e dunque la comprensione del senso delle cose. I
Il dispiegarsi del Logos è sempre dispiegarsi “in divenire”, onde non si può scendere due volte nello stesso fiume perché l’acqua che scorre è acqua sempre nuova e per noi anche il tempo non è più il tempo della prima esperienza
Ma fermarsi a questo divenire è percorrere vie di pura illusione, giacché per Dio giorno e notte non esistono né logicamente né ontologicamente.
Su questo piano, sul piano dell’Assoluto si gioca la vera comprensione, così come dimostrerà Hegel più di un millennio dopo, ponendo la Ragione non solo come concetto, ma principalmente come soggetto.
Eraclìto insiste nell’essere “unico” del Logos, perché questa solitudine garantisce l’impossibilità che possa esistere “altro” dal procedere per procedere. Non solo, ma partendo dal presupposto dell’identità di essere e pensiero, Eraclìto individua ciò che possiamo comprendere da esseri coscienti (da svegli, come dirà in senso discriminatorio): l’andare per l’andare è dire che tra gli uomini “quelli vivono la morte degli altri, e gli altri muoiono la vita di quelli” (framm. 62). Ma il piano dell’essere “naturale” deve richiamare necessariamente il piano dell’essere “spirituale” ossia trovare nel Logos la realtà ultima che unifica visibile ed invisibile, per dirla in termini volgari,
Questa legge va compresa in tutta la sua interezza. Perciò occorre restare in una dimensione alta, poiché pensare deve essere un pensare profondo. “La natura delle cose ama celarsi”, ricorda spesso Eraclìto, dunque pensare è rendere chiaro, mettere a giorno, penetrare, svegliarsi.
Gli opposti sono perciò reciprocamente una distinzione, un’opposizione ed un’unità, in cui Pòlemos (il conflitto, la guerra) è sinonimo di Giustizia ed Energia, quella importante, quella divina.
6 – Gli Enti
Eraclìto dà la dimostrazione che un’infinita serie di enti in divenire stanno in un Logos uno, infinito ed immobile (come bene dirà, secoli dopo e pagandolo con la vita, Giordano Bruno). Vale a dire che una somma o un moltiplicarsi di unità-zero danno come risultato Uno, contrariamente ad ogni logica matematica. Con questa dimostrazione si gettano le basi di ogni possibile prova di irrilevanza del nichilismo e si opera una rivoluzione copernicana nell’ambito del valore, secondo quanto dimostrerà compiutamente, nello stesso periodo, Parmenide, alter ego di Eraclito.
Tuttavia, per queste stesse condizioni, gli enti sono assoggettati ad un relativismo ontico inevitabile, poiché solo alcuni, e solo alcuni, si elevano alla superiore comprensione del Logos.
7 – Eraclito e Gesù
È impressionante constatare come scaturisca da ogni passo del sistema eracliteo un “ateismo” ascetico rigoroso, profondamente impregnato di eticità. E non poteva essere diversamente data la dichiarata unità-identità del logos individuale (o anima) e il Logos universale.
Qualcosa di molto simile si trova solo nella concezione di Gesù, non a caso uomo-dio. Anzi parrebbe che il binomio Eraclito-Gesù rappresenti a meraviglia la coincidentia oppositorum: Eraclito altero, Gesù misericordioso; l’uno, figlio del Fuoco, l’altro, figlio dell’uomo, che finiscono per dire a volte cose assolutamente simili.
La concezione dell’anima in Eraclito è un’esaltazione dell’oltre tempo, così come l’eticità nasce da una spiritualità ante litteram e lo stesso al di là assume una connotazione ambigua ma irrimediabilmente “reale”, come si vede da questo frammento: “per gli uomini dopo la morte c’è quanto non s’aspettano e neppure credono” (framm. 27).
È dunque il percorso che va da Eraclito a Gesù lo stesso percorso, lungo il quale la filosofia deve ragionare molto e approfonditamente.
21-02-2011
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