1– Quali sono le ragioni che mi hanno portato a scrivere questo Commento a Marco, perché ho preferito questo evangelista ad altri?
Se uno vuole credere, negare o valutare il messaggio di Gesù detto il Cristo deve pur riferirsi a qualche testimonianza. Il Gesù di Marco, per come l’ho inteso, è oggettivamente il Gesù più vicino alla comprensione comune o, se si vuole, più “resistente” alla critica storica.
La questione potrebbe essere posta anche in questi termini: se si possedesse soltanto il Vangelo di Marco, quale Cristo potrebbe essere compreso? quale messaggio si potrebbe ricavare? e per quale ragione si dovrebbe accettare l’attendibilità dell’Autore?
2 – Nel vangelo di Marco, la presenza di Pietro, è sostanziale. Marco riprende gran parte del suo racconto dalla diretta voce di Pietro, cosicché non è poi inconcludente credere che possa essere considerato, per alcuni episodi e parole, indirettamente un testimone oculare. Infatti, è verisimile che, se Pietro ha effettivamente raccontato le parole e le azioni di Gesù, l’ha fatto intimamente con Marco, “suo servo”. [1]
Pietro fu designato dallo stesso Gesù come “roccia” e credo che quest’appellativo debba essere inteso come l’apostolo “che non viene meno”. È indubbio che il Messia ponesse in lui un’estrema fiducia per la divulgazione della dottrina e per la stessa stabilità e salvaguardia del proprio insegnamento.
Marco, non essendo stato apostolo di Gesù, così come gli altri Evangelisti del Canone cattolico, intese proporre l’insegnamento di Pietro “come lo capì” sia nelle diverse occasioni in cui ascoltò predicare l’Apostolo, sia nei momenti in cui gli fu personalmente imposto dallo stesso Pietro di mettere per iscritto determinati fatti e parole.
Infatti, Papia, (130 a.C.), vescovo di Gerapoli, nella Frigia, il più antico dei testimoni, cui si riferiranno le maggiori fonti successive[2] ci fa sapere[3] :
“Il presbitero[4] era solito dire anche questo: Marco, fatto interprete di Pietro[5], scrisse tutto ciò di cui si rammentava […], con diligenza, anche se non con ordine […], sia delle parole che dei fatti del Signore. Egli, infatti, non aveva visto[6] il Signore, né l’aveva seguito, ma solo più tardi, come già detto, aveva seguito […] Pietro. Questi proponeva i suoi insegnamenti a seconda delle necessità […], ma non con l’intenzione di fare un’esposizione delle parole del Signore. Perciò Marco non commise alcuno sbaglio […], scrivendo delle cose così come le ricordava. Egli, infatti, si preoccupò di non tralasciare nulla […] di quanto aveva inteso e di nulla riferire di falso […]”.
È, dunque da ricordare ad ogni passo che Marco scrisse “ciò di cui si rammentava con diligenza anche se non con ordine”. Importante oltre misura è che scrisse l’essenziale di ciò che “ricordava”, così come il fatto che “nulla riferisse di falso” non esclude che tutto sia stato riportato correttamente. Sulla stessa linea è opportuno supporre che uno stesso episodio, per varie ragioni, sia stato riscritto in funzione delle varie prediche pietrine.[7]
Marco è, comunque, un breviario di cose date per certe, a volte scritto in maniera eccezionale, a volte appena abbozzato. Sembra, infatti, che ci troviamo di fronte a un lavoro non terminato e che Marco avrebbe desiderato elaborare con calma se non fosse intervenuta l’urgenza della divulgazione del messaggio cristiano rispetto ai tempi e ai modi, abbastanza brevi, del traffico veloce di merci e di notizie all’interno del “bacino” del Mediterraneo.
È d’altra parte attendibile che il Vangelo di Marco venisse scritto non dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme, ossia non dopo il 70 d.C. Il che implica che, a quel tempo, buona parte dei testimoni dei fatti riguardanti Gesù, fosse vivente e che chiunque potesse, per incredulità o per evidente esigenza di verità, confutare i fatti: un elemento non di poco conto.
3 – La tradizione parla di una prima missione di Pietro a Roma intorno al 42 d.C., nel secondo anno del regno di Claudio. A Roma Pietro restò due anni, tornando a Gerusalemme, dopo la morte di Erode Agrippa, nel 44 d.C.
Sicuramente Pietro è a Gerusalemme nel 48 d.C., anno del primo e più importante Concilio apostolico, in cui, come si sa, Pietro e Paolo, senza alcuna subalternità da parte del neoconvertito, affrontarono una delle questioni capitali del cristianesimo, rimettendosi all’assemblea: la divulgazione della Nuova Alleanza, senza restrizioni tradizionalistiche, a tutta l’umanità.
La questione, al di là di come venne risolta, dimostra l’attaccamento degli apostoli alla figura e alla dottrina di Gesù e la grande curiosità di molti contemporanei su vicende e parole che erano state pronunciate quindici anni prima.
In questo periodo il rapporto di Marco e Pietro è documentato e costituisce un fatto di un valore storico eccezionale, anche quando risultasse plausibile che Marco abbia potuto scrivere o, meglio, continuare a scrivere, dopo la morte di Pietro. Il che ha portato molti studiosi ad indicare la stesura del Vangelo di Marco, così come lo leggiamo, intorno al 67 d.C.
Ma il fatto più importante, individuato e discusso in questi ultimi anni è la definitiva e gravosa interpretazione di vari frammenti di un manoscritto su un papiro ritrovato tra quelli, appartenenti agli Esseni, rotoli, casualmente rinvenuti, come è noto, alla fine del 1940, in alcune grotte in vicinanza del Mar Morto.[8] Come si concilia la presenza di un papiro contenente passi del Vangelo di Marco nella comunità essena? Quale elemento in esso contenuta portò gli Esseni a un’attenta lettura di un primo manoscritto di Marco? Com’è potuto capitare che questo papiro si trovasse tra i rotoli esseni prima che questa stessa comunità fosse definitivamente allontanata e distrutta dalla decima legione romana nel 68 d.C.?
Prima di quest’ultimo evento è dunque probabile, che il Vangelo di Marco fosse ampiamente discusso e conosciuto, tanto che è possibile convenire che il Vangelo di Marco, fu scritto, Pietro vivente, come “notiziario ovvero notizie per appunti o note”.
Se quanto è stato detto è storicamente accettabile, il Vangelo di Tommaso può stargli alla pari, ma, come è noto, quest’ultimo non costituisce una narrazione[9]. Né si deve escludere la contemporaneità di Marco con alcune delle lettere di Paolo di Tarso.
4– Perciò, dopo queste considerazioni, ritornando a quella prima domanda: di quale Cristo parliamo? Ora si può rispondere: del Gesù conosciuto da Pietro e dai suoi contemporanei, ”raccontato” attraverso una stesura evangelica che poteva essere “controllata” dallo stesso Pietro, ma anche e principalmente da coloro stessi che osteggiavano il cristianesimo.
Tale asserzione è comunque gravida di altre implicazioni. Se Marco raccoglie quanto è possibile sapere dei fatti e delle parole di Gesù, perché tace su tutta una serie di parole e miracoli, nonché vicende, su cui, doviziosamente si soffermano Matteo e Luca e, in maniera particolarissima, Giovanni? È forse un caso che il vangelo di Marco tralasci completamente gli avvenimenti presunti ed eccezionali che riguardano la vita di Gesù prima del suo battesimo? Non potrebbe essere vero che l’esistenza di Gesù è totalmente riferibile alla sua messianicità, ossia che la vita del Cristo-Gesù possa essere racchiusa in quei pochi anni della sua vita pubblica? Ovvero, perché Marco tace, tanto per fare qualche esempio, delle Nozze di Casa, del Paralitico della piscina, descritto dal solo Giovanni, e, con leggerezza, elimini molte parabole, e, con gravi conseguenze esegetiche, taccia su Marta e Maria e principalmente sulla resurrezione di Lazzaro, un fatto certamente non comune, comunque ignorato anche da Matteo e Luca? Ancora: perché tace sulla predicazione, conosciuta solitamente come Il discorso della Montagna che è, poi, l’esplicazione normativa più chiara e precisa dell’essere degnamente cristiani (Le Beatitudini) e sulla “preghiera” del Pater Noster? È perché tace sul “completamento” della Legge, sull’Amore del prossimo e sul celibato imposto, per come si vorrebbe, da Gesù? Perché ignora la principale asserzione che “Il regno di Dio è in noi”? In questo contesto, si hanno potenti elementi per negare la “verginità” della madre di Gesù e distruggere l’idolatria, oggi tanto diffusa, della Immacolata Concezione nonché sul ruolo svolto dalla sua famiglia e della madre durante la sua vita pubblica. E dov’è la presenza della madre anche nel momento estremo della crocefissione?
Però, non dimenticando tante altre questioni (i sacramenti, il sacerdozio appannaggio degli eunuchi, la clausura, il “potere di Pietro” ecc.), in Marco c’è, in positivo e più d’ogni altro, la base per una diversa visione dell’immortalità e della possibilità di discutere con razionalità, o meglio con buon senso, della stessa “resurrezione” del Cristo[10].
5 – Per quanto concerne un’essenziale biografia di Marco, come si è già detto, la fonte più antica è quella sopra citata di Papia, che Ireneo, riteneva discepolo dell’apostolo Giovanni. A Papia si riferiscono tutte le successive e varie tradizioni patristiche, tra le quali, importante, quella di Marcione[11], il quale identifica l’evangelista con “Giovanni soprannominato Marco[12]. È evidente che i due nomi, l’uno ebraico, l’altro romano-greco, indicherebbero, in questo caso, l’origine semitica di Marco e contemporaneamente il fatto che egli fu costretto a vivere nelle varie regioni della diaspora.
Marco era figlio di una cristiana di Gerusalemme, Maria, nella cui casa si raccoglieva di solito la prima comunità di Gerusalemme e dove si stabilì Pietro, subito dopo la liberazione dal carcere[13].
Insieme a Barnaba, che molti ritengono suo cugino, si recò, seguendo Paolo, in giovane età, a Cipro [14] tornandosene però ben presto a Gerusalemme. Per questo fatto, contrariò Paolo che rifiutò di riprenderlo con sé, in un secondo viaggio, di modo che Marco e Barnaba, come ci attestano gli Atti[15], ritornarono da soli a Cipro.
Tuttavia, le notizie successive, ci fanno trovare Marco, prigioniero a Roma, proprio con Paolo. In seguito, lo stesso Paolo lo mandò in missione in Asia Minore [16].
L’anno successivo Paolo, di nuovo in carcere, scrivendo a Timoteo, non manca di chiedergli di ritornare a Roma, portando con sé Marco, essendogli utili i suoi servizi [17].
Sappiamo anche che, più o meno nel periodo in cui Pietro scrisse la sua prima lettera, Marco si trovasse con lui a Roma (e molti sostengono che prima di questo incontro avesse accompagnato l’apostolo in Palestina e in Siria). È testimoniato che Pietro affettuosamente lo chiamasse “figliolo”.
Morto Pietro, esiste una tradizione, secondo cui egli divenne vescovo di Alessandria, ma è puramente un’invenzione di Eusebio.
Col tempo ho ritenuto credibile che egli potesse essere il ragazzo, scappato nudo, al momento dell’arresto di Gesù, accompagnando alla croce la propria madre Maria. Ma potrebbe essere un innesto non filologicamente esatto e su cui bisognerà discutere a tempo debito, così come è capitale vagliare l’ipotesi da tutti ritenuta peregrina, ma molto convincente per me, che Marco e Giovanni, entrambi evangelisti. non siano altro che una stessa persona.
Per il resto della biografia, conosciamo la pia leggenda, inverosimile, del ritrovamento dei suoi resti da parte di alcuni marinari veneti e la successiva venerazione nell’ omonima Chiesa, a Venezia.
NOTE
[1] Atti 13,5
[2] Di esse, oltre ad Ireneo, ricordiamo Tertulliano, Giustino (il quale riporta che l’appellativo di ”figli del tuono”, dato ai figli di Zebedeo è ricordato solo in Marco (3,17) e “nelle memorie di Pietro”), Clemente Alessandrino ed Origene.
[3] Premessa all’ opera Spiegazione delle parole del Signore, riportata in Eusebio, Hist. Eccl., III, 39,15.
[4] Presbitero è inteso qui nel senso di anziano ed è poco presumibile che indicasse Giovanni, l’evangelista come alcuni pretendono affermare
[5] La frase “interprete di Pietro” è da alcuni spiegata in riferimento alla necessità di trascrivere in greco, lingua sconosciuta a Pietro, il messaggio cristiano. Ma appare forzata, per lo meno se si pensa che nulla avrebbe potuto impedire a Marco di scrivere l’esatta versione di Pietro nella sua lingua originaria e successivamente tradurla o farla tradurre nelle lingue più comunemente conosciute.
[6] Sull’esatto significato di “visto” e il successivo “seguìto” rimandiamo ai capitoli successivi.
[7] Questa contingenza potrebbe spiegare anche la diversità delle copie circolanti del Vangelo di Marco e come molti amanuensi, con pie intenzioni, cercassero di superare ripetizioni e contraddizioni, con vere e proprie manipolazioni, oppure giungendo ad includere nello stesso testo evangelico, l’insieme delle versioni scritte da Marco, senza il dovuto discernimento
[8] Carsten P. Thiede, Il papiro Magdalen, Piemme, I997
[9] Il rapporto tra Marco e Tommaso e tra Marco e Giovanni sarà trattato in un apposito capitolo.
[10] Eclatante in riferimento alla resurrezione è l’inserimento del passo che riporta l’episodio di Gesù che appare a Maria di Magdala, ai due discepoli a Emmaus e agli undici, totalmente diverso per stile e non debitamente inserito nella narrazione (Mc 16,9-20).
Su questa manipolazione la quasi totalità degli studiosi è ormai definitivamente concorde. Tuttavia, é problematico asserirlo.
[11] II sec d.c.
[12] Atti 12; 12.25; 15,36
[13] Atti 12,12
[14] Atti 13,5
[15] Atti 15,36
[16] Col. 4,1O; Philem. 24
[17] 2 Tim. 4,11
29-08-2012
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