Non è credibile che Gesù restasse indifferente agli avvenimenti storici del proprio tempo e del proprio paese in particolare.
Il giogo romano in Palestina, specialmente dopo la morte di Erode il grande (4 a.C.), aveva provocato inevitabili reazioni e una miriade di sette, così oltre ai forti partiti tradizionali, tutti erano trasversalmente divisi tra irriducibili oppositori e collaborazionisti. Né Roma misconosceva il millenario settarismo ebraico, rappresentato dalla diffusa esaltazione di essere Israele il popolo eletto. Non è un caso che proprio la fortezza ebraica, la torre Antonia, era sede del potere romano. Da lì era facile controllare il Tempio e le possibili manifestazioni insurrezionalistiche.
Gesù era, di fatto, un isolato, ma preoccupato di rimeditare i piccoli e i grandi eventi. A Lui interessava cogliere negli accadimenti i segni dell’Assoluto, specialmente nella consapevolezza che nulla accade senza l’assenso del Padre e che agire significava l’attesa di una chiamata personale. Un atteggiamento che Gesù manterrà sempre e che, non taciuto, sarà in buona misura incompreso ai discepoli e, in primo luogo, allo stesso Pietro e a quella che sarà conosciuta come Chiesa di Gerusalemme, guidata da Giacomo, “fratello di Gesù”.
La sofferta sensazione di essere l’atteso Messia (e in quel tempo non erano pochi coloro che per tali si spacciavano), era, d’altra parte, ben chiaramente connotata, se è vero che le domande e le risposte di Gesù non si rivolgevano ai valori dei padroni temporali né alla contaminazione col potere, ma si sostanziavano dell’apporto e della dimestichezza esistenziale con i poveri di spirito, gli umili, quelli che si affidavano alla Provvidenza; con coloro che si trovavano nel dolore e nella disperazione e che, per questo, non rinunciavano a credere e sperare “nel regno di dio”, predicato con senso apocalittico già da tante sette.
Non è una forzatura ritenere che Gesù crescesse in età, secondo una verticale progressione verso l’Assoluto, mescolandosi a tutta una serie di esperienze religiose, così come venivano espresse dalla tradizione e da nuove aggregazioni spirituali sparse intorno a Gerusalemme. Lo si è detto per gli esseni, ma molti farisei, come si vedrà di seguito, al di là della estrema polemica postuma di alcune testimonianze, gli furono amici e interlocutori acuti.
Questo prevalere dello spirituale sul temporale o, meglio, il riconoscere la non autonomia del temporale, certamente provocherà la dura avversione di Gesù ai Sadducei, i veri avversari. Da essi potevano provenirGli solo consigli per una vita terrena, ma, era poca cosa. Comunque, Gesù li combatté principalmente perché erano i padroni del tempio e, perciò, rappresentavano il potere religioso con maggiori collusioni col potere politico. Erano coloro che avevano in mani il Sinedrio e in essi Gesù vide i negatori della speranza, coloro che ritenevano l’anima un soffio che si consumava forzatamente col corpo: il contrario, in altri termini, di ciò che la gente semplice, ma anche i farisei, ritenevano assurdo e profondamente ingiurioso.
Anche gli Zeloti vennero visti con un occhio di benevolenza, proprio perché fortemente marchiati dall’errore della violenza e dalla connotazione prettamente politica, tutti sentimenti lontani dal Suo spirito, ma che lo portavano ad apprezzare il forte entusiasmo che essi nutrivano per l’avvento del Messia (Si veda tutte le testimonianze di Flavio Giuseppe, che pur era loro profondamente avverso).
Quando Gesù si presenterà come il Messia disarmato, dimostrando la validità non solo spirituale, ma storica della sua scelta non pochi zeloti passeranno dalla sua parte.
Col tempo l’attenzione che Egli ebbe per i Farisei fu superiore ad ogni altra e, in qualche caso, fortemente ricambiata. Frequentava le sinagoghe, morbosamente attento a ciò che veniva letto come sacro. È verisimile che, già prima della sua attività pubblica, i farisei fossero i suoi continui commensali, coloro i quali, pur nella discordanza di insegnamento, continuavano a sorvegliarlo, chiedendoGli, più volte, se Egli fosse veramente il Messia. E, tuttavia, agli occhi di Gesù qualcosa li rendeva intollerabili. Essi rappresentavano l’intransigenza e avevano sempre richiesto il rispetto della Legge, che doveva essere difesa per restare incontaminata da ogni qualsiasi influenza straniera. Gesù non a caso li ascoltava, ma proprio ascoltandoli ed incontrandoli quasi ogni giorno, notava, ancor di più e pesantemente, il grave scarto che esisteva fra ciò che predicavano e discutevano e ciò che compivano. Predicare e non adempiere dimostrava a Gesù che l’atteggiamento dei Farisei equivaleva a rendere completamente inutile la Parola.
Per Gesù, fariseo divenne col tempo l’esatto equivalente dell’ipocrita. I farisei con il loro atteggiamento si ponevano direttamente e irreversibilmente in contrasto con ciò che a Gesù dava contemporaneamente sicurezza e preoccupazione: la necessità di testimoniare con le opere ciò in cui si è tenuti a credere. Perciò la polemica fu continua, ma per la verità meno dura di quella descritta dai Vangeli, i quali risentiranno dell’antagonismo successivo alla morte di Gesù.
È comunque sicuro che Gesù discutesse con i dottori nel Tempio; partecipasse “crescendo in conoscenza” ai fermenti che potevano irrobustire la sua spiritualità e in questo confrontarsi agisse con l’atteggiamento tipico di chi sente la presenza dell’Assoluto, eliminando o discernendo quanto fosse compatibile con l’ Eterno più che con la tradizione.
Infatti, prima dell’ultima sirena che gli si presentò nella persona di Giovanni Battista, in Lui si sedimentò tutta una serie di discriminanti che Gli consentiranno di capire la reale presenza dell’ Onnipotente, non solo dispiegata dappertutto, ma umanamente comprensibile, perché presente perfettamente dentro di noi.
Si può perciò convenire che da tutte le esperienze religiose e dall’ osservazione degli accadimenti, Gesù, prima di giungere al Giordano, avesse dei punti fermi che, come un seme, sbocceranno prepotentemente dopo l’ultima esperienza sbagliata del battesimo.
Il crogiolo di esperienze gli permisero di potere elaborare un pensiero essenziale. Il Dio degli Ebrei, manteneva la sua grandissima importanza come Dio unico di questo universo, ma contemporaneamente, proprio nel popolo eletto, si presentava in una varietà di accezioni, che ne distruggevano l’essenza e pregiudicavano l’individuazione del suo più alto Fondamento.
In Gesù si fece strada, proprio immediatamente dopo l’atto del battesimo, l’idea che l’Assoluto e il Dio d’Israele non fossero ormai più uguagliabili, anche se non separabili. L’Assoluto è nel mondo e negli uomini, nella stessa misura in cui è al di là di tutto ciò che governa, Senza Nome e non irretito dallo spazio e dal tempo. Lo stesso Mosè si era sentito rispondere: Io sono colui che sono.
Gesù capì che nei Libri sacri Dio è fatto ad immagine e somiglianza dell’uomo, contraddittorio, capriccioso, intessuto di bene e di male, la condizione della terra assunta in cielo.
Gesù sperò nell’Assoluto e lo distinse. Attraverso questo criterio ripensò la Legge e nella sua condizione di ateo (appellativo tipico dei primi cristiani) poté sentire l’urgenza che questo Assoluto gli si presentasse per confermarlo e per portare la sua anima ad unità e chiarezza, indicandogli i sentieri dello spirito, per giungere a percorrere, alla fine, una via maestra ed inalterabile.
Tutto ciò lo comprese nel suo andare verso la Croce. Lo fondò quando improvvisa sentì la Voce, nel suo balzano riferirsi a Giovanni, Voce che lo spinse nel deserto a macerarsi e a chiedersi: Chi ho udito e cosa vuole da me? Quando troverà risposta, inizierà la cosiddetta “vita pubblica” ossia quei pochissimi anni in cui meraviglierà le genti e dirà parole di vita eterna, per morire come un delinquente comune su una croce.
Ma partiamo dal battesimo. Però non dimentichiamo mai che sarebbe assurdo ritenere, così come abbiamo brevemente, ma chiaramente sottolineato in precedenza, che Gesù, nel brevissimo tempo della sua vita pubblica, agisse e parlasse liberamente e spontaneisticamente. E semmai vero il contrario.
All’inizio della sua missione il suo pensiero era un magma divino. Ma perché il tutto divenisse un annuncio totalmente originale mancavano due elementi fondamentali: il segno dell’Assoluto, che finalmente lo confermasse nella sua missione messianica: il segno e la predicazione. Voleva un segno da sempre: che l’Assoluto, divenendo Parola, svelasse di averlo scelto, non profeta tra profeti, ma Messia per tutti i popoli.
Partendo da questi presupposti è lecito chiedersi: cosa attirò Gesù al fiume Giordano? Le ragioni sono numerose e di vario ordine, ma la principale è stata individuata dall’ evangelista Marco, quando, iniziando (qui “principia”) l’annuncio della Buona Notizia, sintetizza le profezie di Es.23,20; Mal. 3,1 ed Is. 4O,3O:
“Ecco, io mando il mio araldo davanti a te,
che ti prepari la strada;
voce di uno che grida nel deserto;
raddrizzate i suoi sentieri”.
Queste parole (che il testo non riferisce a Giovanni il battezzatore) delimitano e limitano la predicazione del “battesimo di penitenza” e “la remissione dei peccati” attraverso questo stesso atto). Gesù vuole verificare e chiarire a se stesso, una volta per tutte, il suo pensiero o le sue possibili illusioni, anche a costo di sprecare la sua credibilità.
Giovanni era abbastanza noto e la sua predicazione politico-religiosa s’era sparsa fra gente numerosa. Egli era l’araldo che annunciava ed attendeva un Messia. Gesù si chiese: poteva essere Lui, il figlio del falegname, colui per cui si dovevano preparare le vie del Signore? Attraverso Lui dovevano essere raddrizzati i sentieri del Santo?
La risposta non gli poteva provenire dal suo spirito, la risposta gli doveva giungere attraverso un segno inequivocabile esterno. Andò da Giovanni.
Dice Marco, per avvalorare la svolta, in un quadro di grande suggestione:
“Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi e si cibava di locuste e miele selvatico. E predicava dicendo: Dopo di me viene uno che è più potente di me, al quale io non sono degno di sciogliere i legacci dei calzari. Io vi ho battezzato con acqua, ma Lui vi battezzerà con Spirito Santo”.
Secondo l’onesto racconto di Marco, Giovanni, che sicuramente conosceva Gesù, non Gli mostrò nessuna particolare attenzione, convinto che finalmente Gesù volesse seguirlo sulla sua via. Subito dopo, infatti, quando Gesù dichiarò la Sua Verità, Giovanni e i suoi seguaci mai si convertirono al cristianesimo: tutti gli studiosi riconoscono che la stessa setta dei discepoli di Giovanni, i Mandei, restò fuori dal cristianesimo.
Ma è proprio il resto del racconto che in maniera chiarissima fa capire l’importanza di questo “particolare” battesimo.
È facile immaginare la tensione spirituale di Gesù nello sperare che l’annuncio di Giovanni potesse riguardare Lui. E come è stupenda la scena in cui Gesù “nell’uscire dall’ acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito in forma di colomba, che discendeva su di lui. E una voce dal cielo vi fu: Tu sei il mio Figlio diletto, in te mi sono compiaciuto”.
Ecco finalmente il segno tanto atteso, un segno che Gesù nella solitudine della sua spiritualità aveva immaginato ossessivamente e che ora finalmente accoglie, senza che nessuno dei presenti potesse avvedersene e testimoniarlo. Solo Lui vide, solo Lui sentì.
Sminuire o manipolare questo segno personale, significa mitizzare inutilmente quello che invece razionalmente si può capire e accettare, non tacendo il fatto che in questo stare di Gesù, del “solo” Gesù, al cospetto dell’Eterno, si sia radicata la prova che, da questo momento, Egli era al di là di ogni Legge e di ogni Profeta.
Lo smarrimento dello stesso Gesù davanti a quanto accaduto è ancora una volta magnificamente descritto da Marco; “E subito lo Spirito lo spinse nel deserto”.
Non importa credere se Gesù si ritirasse realmente in una parte del deserto, geograficamente definibile. Ciò non ha grande importanza. Più importante è capire che Gesù si ritirò nel “suo deserto”, nel deserto del Suo Spirito, nella responsabilità di comprendere, una volta ricevuto il segno, la sua strumentalità, il fatto che l’ Assoluto effettivamente l’avesse prescelto come mezzo di salvezza “fino alla fine dei tempi”
Gesù patì il deserto della sua disumanizzazione e si esaltò nel potere annunciare: “Il tempo è compiuto”, come tanti attendevano.
Lo confermava anche la decapitazione di Giovanni: morirà la voce che gridava nel deserto e dal deserto uscirà Colui che predicherà “la buona notizia”.
29-08-2012
Lascia un commento