Primus in orbe deos fecit timor
(Stazio)
Scena Unica
Scena nella piazza di Tebe, tra rumori di armi, che s’intercalano a preghiere, bagliori di fuoco e pianti. Visioni allucinanti. La musica, e specialmente il suono dei tamburi, deve essere confacente allo svolgimento e alle pause.
Interpreti: – Anziani di Tebe – Capanèo, che si presenta con volto allucinato. Gesti maestosi. – Giove. |
Nota di presentazione del personaggio.
Capanèo, figlio d’Ipponoo e Laodice, fu uno dei sette re che marciarono contro Tebe, in aiuto di Polinice. Le sue bestemmie, il suo spregio verso la religione e il diritto sono riferiti nella Thebais di Stazio. L’episodio ripreso dal ciclo tebano fu trattato oltre che da Echilo e da Euripide, da Antimaco di Colofone e tra i latini da Ennio, Pacuvio, Accio e Seneca.
Nell’Inferno (XIV, 41-72) Dante lo fa incurante della pena divina:…
”quel grande che non par che curi
lo ‘ncendio e giace dispettoso e torto
sì che la pioggia non par che ‘l maturi”
mettendogli in petto un grido d’eterna ribellione:
“Qual fui vivo, tal son morto”.
CAPANEO
STAZIO: [Con voce alta]: Udite, udite. Canterò di Capanèo alle stelle, rifulgenti stasera, alla sua morte pari. Il figlio delle Furie. Sia di tal novella brillar vostro pietoso!
ANZIANI: Giunge.!! [ansiosi] Giunge con ciglia torve. Le mani hanno distrutto il vertice turrito. Ahimè di Tebe?
CORO: [Con monotonia lamentosa] Possente siamo in Te! A Te, Giove ci affidiamo. Tua è la volontà. [La frase è ripetuta in continuazione tra l’intercalare degli altri effetti sonori].
ANZIANI: Furiosa la sua ombra avanza del suo braccio. Illumina il suo cuore una fiaccola di rovere.
CORO: Possente siamo in Te! In Te! [La frase è ripetuta da ognuno, con effetto da eco].
STAZIO: Donne non risparmiate ai vostri teschi lacrime né date ai cari figli cimieri imbelli. Oh sconfitti per viltà, dei vostri avi indegni, ergete pire alle anime. Gli Inferi vi bramano.
CORO: Possente siamo in Te!
ANZIANI: Ecco, alto sul sommo il re che avanza e sul suo scudo ardente ride la morte. Piangete, ahimè, madonne i figli che faceste vili al suo gran valore.
STAZIO: Morte son le colonne di Tebe.
ANZIANI: Scendi tra noi, miseri resti. Possente siamo in Te!
CAPANEO: (Entra, urlando, girando su se stesso con la spada insanguinata)
ANZIANI: Più del tuono di Giove! Quali secoli han sentito urlare sì tanto uomo!
CAPANEO: Non indugiar suvvia!?! Presentati, immortale. Sei prono al Fato. Anche tu sei carne!
ANZIANI: Più degli irati Tìtani. Si scuote il cielo e freme la bocca degli dei.
CAPANEO: Salvo non uscirà dall’ira mia tartarea.[alte le braccia] il tuo capo terrore di femminucce. Dio, non sarai mai signore della mia volontà !
ANZIANI: Pietà divin tuonatore!
CAPANEO: Guarda, o divino, straziato ho vili che t’innalzavano are. Né trema il cuore. L’ara distruggerò del cielo!!!
STAZIO: Ah, gli dei stretti ai calzari del dio, la madre terra ai pazzi venti, i rimbombanti nembi!
GIOVE: [Si staglia, illuminata, la figura di Giove, in trono e la saetta in pugno. Appare nella parte della scena opposta a Stazio]. Ti osservo uomo! [Pausa, poi ride].
ANZIANI: (al fuoco improvviso del fulmine che atterra Capanéo) I nostri occhi ciechi alla fiamma di Giove .
CORO: Possente siamo in Te! Tua è la gloria! Tua è la forza!
ANZIANI: Il fuoco é contro Tebe? I forti offrimmo al cielo, vuoi queste ossa o figli imberbi?
STAZIO: Avvampa il cimiero, s’infredda lo scudo. Bagliore le membra del grande!
[Un grande silenzio. Poi uno spaventoso suono di tamburi a mortorio]
[Nel frattempo, si avvicinano tutti, lacrimando e girando tutti intorno al corpo caduto].
IL LAMENTO DI TUTTI: Capanèo! Capanèo! Capanno [lamenti e pianti]
CAPANEO: [morente] Se non sei vile, Fato, concedi un’altra vita che Capanèo é ribelle.
IL CORO DI TUTTI: [fermi e prostrati] Oh Capanèo!!
CAPANEO: Uguale perdesti la gloria: la mia, ribelle sempre, vigilerà la tua, poca, giacché su vili.
CORO: Per mano di dio cadesti tu, distante dal cielo. Ma clemente é la terra. Ti avvolgerà benigna, anzi benefica. Mani giunte verranno, occhi rossi a vegliarti. Muto il vento, assaporerai il sole e la pioggia. (Pausa e rullo di tamburi) Combattemmo, indegni, tra noi, polvere di polvere, per la gioia di un dio. Ora noi siamo te. Finalmente fissammo il volto di dio, che non ama nessuno. I palazzi caduti e i pensieri stanati stanno come il tuo corpo perduto. (Pausa. Sommessi lamenti) Sia il sangue tuo futura santa semenza. Riposa. Concedici l’alto perdono. Addio. (Suoni di trombe) Riposa.
STAZIO: (Rimane solo sulla scena, mentre i Tebani portano via, lentamente, il cadavere di Capanèo) Son come gli uccelli i figli dell’uomo. Variopinti. Di proteiforme specie. Al tramonto, ciascuno ritorna a un nido, e ogni stormo trasmigra o rimane, da leggi inviolate guidato.
Traditori del loro destino, i figli di donna! Taluni ubriachi, in tende di ladri; altri, omicidi, pregustano sangue. In torri bivacca chi brama comando. (Irato) E ancora… no, non voglio darne memoria! (Sconsolato) Disseminati, in tal moto, solcano mura e conficcano pali e pietre a confini. Figli del male, amici per indole falsi, agli altri e a se stessi. (Musica) Tu, Capanèo, frutto di terra, portasti al pascolo l’anima in liberi prati; sui monti porgesti primizie alla sola giustizia. (Gridando) Ma Giove, rugiada di sdegno al mattino, a sera, offuscate le stelle, tramava. Tra la stirpe del fango, gli dei stavano sacri, incuranti, traviati dall’ira e dal vizio. (Andandosene con passo stanco, appoggiato ad un palo) Ti chiamò Polinice. Accorresti. Ed infine gli dei vollero punire in te la vittoria. (Silenzio) Ora giaci. (Scandendo lentamente le parole) scruterò l’alba domani: (alza il bastone) se un’aquila il cielo dipinga.
Dic. 67/agosto2004
01-12-2011
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