Thomas Müntzer

Nel pensiero e nella teologia di Lutero, in un periodo di transizione tra rifeudalizzazione e formazione di una classe emergente (la futura borghesia), coesistevano contraddittoriamente aspetti profondamente innovatori ed una forte mentalità conservatrice.

Quest’ambivalenza era conseguenza dell’ambiguità dell’epoca: ceti assoggettati alla flessibilità sociale creata dal mercantilismo, in un contesto di libero scambio (che giustamente Procacci ha definito “capitalismo da sfruttamento”), venivano sconvolti dalla mobilità sociale senza potersi consolidare in classi ben definite; la feudalità morente non accettava naturalmente la dialettica storica mentre, contemporaneamente, i nuovi soggetti sociali procedevano verso l’accumulazione primitiva del capitale per innovare politicamente e socialmente tutti i rapporti secolarmente accettati.

Tutti erano, in ogni caso, “malcontenti” e, volendo analizzare il periodo per schemi formali, solo la “borghesia” avrebbe potuto dar vita a rivolgimenti violenti, ma essa, realisticamente, aveva coscienza dell’immaturità dei tempi. Così, alla fonte luterana bevvero i rivoltosi votati storicamente ad una netta sconfitta: la piccola nobiltà e i contadini.
Lutero stesso, che viveva solo “religiosamente” i conflitti sociali ed era alquanto inconsapevole che le adesioni a questo o a quel credo religioso erano dettati da motivi anche di interesse economico, non comprese le molte anime del suo “partito”, e, nella scarsa chiarezza della “predestinazione”, concedeva spazio a tutti i “sovvertitori”.

Infatti, fino a quando le ribellioni erano annunciate e predicate, non solo le tollerò, ma spesso le coprì con la sua autorità.

Ben presto, però, i fatti lo portarono a decidere, anche a livello personale, da quale parte schierarsi.

I primi ad innalzare la bandiera luterana per una guerra santa furono gli appartenenti alla piccola nobiltà tedesca, guidata da Sickingen e von Hutten, due dei primi cavalieri che avevano affiancato la predicazione antipapista di Lutero, il quale, nel 1520, a loro aveva enunciato i capisaldi della Riforma.
Questa piccola nobiltà, angariata dai grandi feudatari, politicamente emarginata e frantumata nel contesto dei vari principati, economicamente ai limiti del collasso, pretese di estendere la critica e la lotta al potere religioso anche al potere dei principi. Come Lutero aveva propugnata la fine di ogni distinzione tra cristiano e sacerdote, così loro credettero che dovesse sparire la sproporzione di potere e di privilegio all’ interno della feudalità.

Come si vede, i cavalieri concepivano la “nuova società” luterana secondo gli schemi della vecchia società feudale, ripulita dalle discrepanze interne. Esprimevano, dunque, le stesse contraddizioni di Lutero “della modernità nella continuità”, con la grande differenza che, mentre il riformatore a livello teologico-culturale poteva mantenere e accettare la coincidentia oppositorum, loro, dovevano pagare con lo scontro fisico ogni specifica e concreta rivendicazione. Lutero scriveva pagine “nuove” in un “vecchio” castello signorile, in una finta quanto comoda prigionia; Sickingen pagò il suo disegno “vecchio”, morendo sul campo e Hutten pagò la rivolta con la fuga e l’esilio.

Importanti furono le conseguenze: la feudalità maggiore uscì rafforzata, senza più antagonismi e Lutero, che aveva incoraggiato e poi sconfessato l’avventura, finì per legarsi ancor di più al vecchio potere, giungendo a trasformare il movimento in Chiesa, al servizio della continuità e nel rispetto del potere costituito.

Questa involuzione si rafforzò ulteriormente quando scoppiò un’altra rivolta utopista: la cosiddetta guerra dei contadini, guidata da Thomas Müntzer.

Fu questo un fenomeno di gran lunga più pericoloso e più vasto della rivolta dei cavalieri, anche se, come detto, parimenti illusorio.

In Germania, terra notoriamente e profondamente feudale, tanto i cavalieri che i contadini rappresentavano aspetti di uno stesso assetto sociale. Per i cavalieri lo si è già visto. I contadini, anche se si resero protagonisti di un programma provocatoriamente e duramente antifeudale, erano, concretamente guidati da un violento odio per un’oppressione secolare, ma nulla esprimevano di realmente possibile e realizzabile. Alla prepotenza opponevano giustamente un forte rancore, ma niente di alternativo alla società che volevano distruggere. Così mentre la borghesia calvinista, a partire da Ginevra, distruggeva per costruire, avendo forza e progetti reali, i contadini tedeschi finivano principalmente per distruggere, senza costruire nuovi rapporti di produzione e confacenti istituzioni sociali. Ciò spiega i fatti salienti della “loro” guerra e l’animosità criminale degli avversari.

Essi furono rappresentati e combattuti come terroristi. È nota la frase di Lutero: il contadino sedizioso “deve essere combattuto come un cane rabbioso, perché, se non l’ammazzi tu, esso azzannerà te e tutta la contrada con te”.
Gli stessi contadini fecero di tutto per avvalorare questa rabbia: gli assalti ai castelli, i saccheggi, le minacce furono estremamente feroci così come esprimeva l’odio di Müntzer nelle sue lettere e nelle sue prediche:

Su questa terra nessun uomo che si oppone alla parola di Dio, sarà risparmiato”; “gli anticristi non hanno alcun diritto di vivere, essi hanno soltanto ciò che gli eletti vogliono loro concedere”; se i principi non metteranno la loro spada al servizio […] dell’emancipazione contadina “li si strangoli senza alcuna pietà”.

Al conte Alberto venne spedita una lettera nella quale tra le tante si leggono queste edificanti frasi:

Timore e tremore a tutti coloro che fanno il male….Non hai saputo assaporare nel tuo zotico letame martiniano come Dio ordini a tutti gli uccelli del cielo di divorare la carne dei principi e a tutti gli animali  privi di ragione di succhiare il sangue dei potenti… Pensi che Dio non abbia più a cuore il suo popolo e sia a disposizione di voi tiranni?… Prendi le tue precauzioni. Se riconoscerai che Dio ha dato il potere alla comunità, se accetterai di comparire davanti a noi e rinnegherai la tua fede, accetteremo volentieri la tua confessione e ti accoglieremo come un comune fratello: in caso contrario, con verrà fatta alcuna concessione alle tue frottole insulse e smorfiose e ti combatteremo come un arcinemico della fede cristiana: sappiti perciò regolare”.

Al conte cattolico Ernesto di Mensfeld, che aveva ostacolato la predicazione di Müntzer, viene scritto:

Ma guarda un po’, proprio tu, vile e squallido sacco di vermi, chi ti ha fatto principe sopra un popolo, che Dio ha riscattato con il suo sangue? … Sarai inseguito e schiacciato. Se non ti comporterai umilmente davanti ai piccoli, ti avverto che abbiamo pieni poteri … L’eterno Dio vivente ha ordinato e ci ha dato l’autorità di deporti dal tuo seggio con la forza; non sei infatti di nessuna utilità, sei un flagello nocivo per gli amici di Dio, il tuo covo deve essere sradicato e distrutto: Vogliamo oggi stesso la tua risposta, perciò regolati”.

E però, piuttosto che la fine dei principi Müntzer descrisse la propria. C’è un racconto di Melantone che più idi ogni altro dà il senso della tragedia e dell’impotenza, testimoniando come ottomila contadini, nella nefasta battaglia di Frankenhausen, vennero puramente massacrati:

Quella povera gente stava là e cantava: preghiamo lo Spirito Santo. Proprio come impazziti non si preparavano né alla difesa né alla fuga”.

In cifra la battaglia lasciò sul terreno cinquemila contadini e, dall’altra, solo tre cavalieri.

Racconta un protagonista, Filippo il Magnanimo: “Spostammo la nostra artiglieria su un monte vicino a loro, vi facemmo pervenire velocemente la nostra fanteria e la nostra cavalleria e ordinammo, quindi, all’artiglieria di puntare contro di loro, tenendo la più breve distanza possibile. Quando, però, i contadini videro ciò che stava succedendo, scesero dalla montagna verso la città: scappando dove era possibile; e noi dietro con i nostri ad incalzarli e trafiggere tutti quelli che ci capitavano sottomano. Poi prendemmo d’assalto anche la città e la conquistammo, le persone che vi si trovavano furono ammazzate e la città fu rasa al suolo”.
Sulle successive e protratte persecuzioni contro i battisti un testimone ha lasciato questa sintetica cronaca:

furono torturati e trafitti, alcuni furono bruciati, ridotti in polvere e cenere, alcuni arrostiti al palo, altri squartati con tenaglie roventi, altri ancora sprangati nelle case e tutti insieme bruciati; alcuni furono impiccati agli alberi, altri infilzati con le spade, alcuni, gettati nell’acqua a molti fu infilata una stecca in bocca che impedisse loro di parlare e così portati a morire”.

Lo stesso Müntzer, catturato, venne portato alla decapitazione e secondo Melantone, non riuscì a recitare il credo per la paura. Ma é certo che non poteva non essere screditato e diffamato colui che aveva portato la Riforma alle sue estreme conseguenze e guidata la parte più povera e numerosa dei sudditi tedeschi.

È tramandato, viceversa, che ancora una volta Müntzer, prima di morire, ricordasse ai principi il loro inevitabile destino di tiranni.

Un gran seguito di giovani credenti continuò a ritrovarsi in suo nome, ricordandolo come” uomo santo, animato da un particolare zelo divino, il cui spirito e la cui parola, nessuno può giudicare”.

Così Müntzer restò il capo della gente misera, anche dopo morto, e continuò a far tremare i tiranni.

Lo stesso Lutero, quando gli fu portata la notizia che la testa di Thomas Müntzer era esposta alle offese dei miserabili, infilzata ad un palo, si rinchiuse per tutto il giorno nella sua stanza, non volendo parlare con nessuno.

Un attento studioso del movimento battista, Seidermann, ha scritto:

Le idee che egli, non compreso, contribuì ad insegnare, non morirono perché erano radicate nella miseria e nell’ arroganza del tempo”.

Kautsky, da parte sua, ha riassunto il significato dell’avventura di Müntzer:

Per quanto sia lontano il tempo in cui Müntzer ha sacrificato la vita per la sua causa, questa stessa vive ed è ancor più temuta che ai tempi di Müntzer. Le calunnie che ancor oggi preti e professori continuano a spargere sul grande avversario della Riforma dei prìncipi e della borghesia non avrebbero senso se dovessero colpire soltanto l’uomo morto e non piuttosto il vivo movimento comunista”.

Che di queste parole sia testimone lo stesso Müntzer lo si capisce nella concisa dichiarazione dei verbali della sua condanna:
“Questo é stato il nostro programma e questo abbiamo voluto conseguire: omnia sunt communia e ad ognuno doveva essere distribuito secondo le sue necessità, secondo opportunità”.

Concludiamo con una delle più significative considerazioni che Ernst Bloch ha dedicato a questo uomo, piccolo di statura, capelli neri e scura pelle, con lo sguardo di fuoco in un volto ossuto, incorniciato dalla barba, il “deliberato ritratto di un capobanda”:

La luce sopra il suo capo è ciò che di lui continua ad agire, è ciò che riguarda tutti, è ciò che può entrare nella leggenda”.  “Era povero, rimase povero e morì povero, non tenendo mai, neanche pochissimo, per sé” … “come pratica del sogno più antico, come vastissima esplosione della storia eretica, come estasi del camminare eretti e della volontà di paradiso, volontà impaziente, ribelle e ferma”.

 

 

 

 

 

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