Antropologia del cristianesimo: Sezione 1_Alle origini del cristianesimo_Gesù il Messia

Quando noi oggi pensiamo a Dio, pensiamo al Dio di Gesù. Anche un ateo quando nega, nega l’esistenza del Dio di Gesù. Dio per Gesù è Padre, nel senso compiuto che Egli crea, provvede e protegge.

Non che queste qualità non possano essere rintracciate nelle altre religioni, ma in esse diventano secondarie rispetto al contesto mitico o “nazionale” in cui sono inserite. Giove, Osiride, Javè hanno racconti che naturalmente indicano una loro misericordia, ma tutti la offuscano con la potenza di cui si colmano e con la sudditanza dell’uomo a cui fanno riferimento.

La chiarezza di Dio come Padre è totalmente una conquista di Gesù di Nazareth e permane come il segno della superiorità del cristianesimo su ogni pensiero religioso.

Anche l’ateo può agevolmente constatare che,  nell’ambito dei rivolgimenti e delle implicazioni storiche, sia definitivamente acclarata la fine di Giove e Osiride ad opera dei cristiani e certamente non farà alcun riferimento ad essi e nemmeno a  Javè, per il quale ci sono da fare complesse considerazioni che non mutano ma piuttosto dimostreranno la sua connotazione di “Dio sconfitto”.[1]

Questo Dio Padre nasce proprio nell’ambito storico del predominio delle vecchie divinità e Gesù, come ebreo, espliciterà la sua predicazione proprio in contrasto con il Dio dell’antico patto. Ragion per cui quando si accetta da parte dei cristiani la preminente prerogativa di Gesù come Messia, non si deve affatto credere che Gesù si presenti come l’Unto del Dio d’Israele o, se vogliamo, può essere considerato tale nella misura in cui Javè è, per così dire, lavato da tutte le incrostazioni negative sedimentate nella Torah.

Se legame c’è, e non può che esserci, esso resta col Dio dei comandamenti dati a Mosè e delle profezie di Samuele e di Isaia, precedenti storici e religiosi che rappresentano il punto di partenza “obbligato” per Gesù nel dover convincere gli uomini del suo tempo dell’avvento di un Dio nuovo e di esserne Messia.

Le cautele e la gradualità di questa predicazione sono ben visibili nei vangeli, così come la “durezza” a comprendere da parte degli stessi apostoli, che non ne avranno mai piena coscienza, se è vero che essa sarà acquisita dopo la morte del Maestro, per effetto della sua resurrezione.

In Mc[2] questi passaggi sono chiari. Dapprima Gesù, ad un certo punto chiede cosa pensi la gente di lui. (“Chi dice la gente che io sia?”). ciò denota non tanto la preoccupazione di quale ruolo gli assegnassero, ma in quale misura cogliessero la novità del suo ministero.

Poi chiede agli stessi discepoli: “Voi chi dite che io sia?”, proprio per sincerarsi che almeno essi cogliessero il senso del suo messaggio e, quando per bocca di Pietro saprà che ne avevano colto la portata, dirà di tacerlo.

 

 

 

[1] Per quanto riguarda Allah, il Dio di Maometto, successivo all’espandersi del cristianesimo, Egli presenta la stessa connotazione brutale di Javè e possiamo considerarla una riproposizione rimodernata del Dio ebraico.

[2] “Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: “Chi dice la gente che io sia?”.  Ed essi gli risposero: “Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti”. Ma egli replicò: “E voi chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”. E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. (Mc, 8, 27-30)

 

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