Antropologia dello spirito: Capitolo 1_Introduzione

La conoscenza è prodotta dall’esperienza, poiché unicamente l’esperienza dà garanzia o della presenza[1] o della realtà[2] dell’oggetto del pensiero e del suo andamento.

Perciò, non essendo la comprensione un semplice sentire, è per sua natura complessa: comporta, infatti, l’uso di varie facoltà, che non sempre sono state acquisite o perfezionate dal soggetto conoscente.

Questo dà conto della situazione per cui l’uomo, avvalendosi raramente di tutte le sue potenzialità, finisce per avere pensieri diversificati.

Il legame stretto tra esperienza e conoscenza fa l’uomo acquisitore di dati empirici rielaborati in forme ideali, incluse le loro relazioni nel tempo. La coscienza, proprio riflettendo sul modo di organizzarli, constata che la mente risente di una restrizione originaria, innata, che gli deriva dal fatto di essere “quel” soggetto, che patisce tutte le tappe genetiche e la sua condizione sociale.

La conoscenza, oltre che complessa e diversificata è, dunque, prevalentemente subordinata.

Questa condizione a priori della conoscenza è sopportabile quando l’esperienza è riferita a un dato stabile, ossia quando la coscienza ha di fronte un dato di natura e può agire in situazioni di sufficiente invarianza. Al contrario, per quanto riguarda la ricognizione delle realtà spirituali ha bisogno di molti aggiustamenti. Con ciò si sancisce la differenza esistente tra scienze della natura e scienze dello spirito.

Quando la mente acquisisce la consapevolezza che l’uomo non è solamente un dato naturale, ma decisamente un evento storico e questo evento storico può essere compreso a patto che l’esperienza iniziale, quella senziente, si elevi all’esperienza metafisica[3], comincia la scienza umana, quella che si interroga intorno alla nostra presenza nell’universo, alla nostra storia e ai vari aspetti[4] del Logos, che è la trama indefinibile delle esistenze.

In quest’ultimo caso la mente raccoglie per necessità tutta se stessa e può farlo a patto che conquisti e affini la sua più alta facoltà, lo Spirito.

Già gli antichi pensavano che lo Spirito essendo “soffio”, “respiro” rendesse l’uomo “animato”, vivo, e che la sua perdita comportasse la morte, (quando “non si respira più”, quando “si è esalato l’ultimo respiro”). Per questa sua natura specialissima lo Spirito fu ritenuto immateriale e scisso dal corpo, prossimo all’immortalità.

Gli equivoci sorti da questa immaginazione sono stati superati da poco, quando la spiritualità è stata concepita oltre la dimensione vitalistica (anima), che ha dominato i secoli, e oltre quella intellettualistica (la res cogitans) che si è connotata in misura altrettanto ambigua.

Dall’eredità greca[5] per giungere a Bruno, Spinoza e Vico, lo Spirito ha avuto una giusta considerazione che è diventata più coerente in Hegel, appena due secoli fa:

L’assoluto è lo spirito: questa è la più alta definizione dell’assoluto. Trovare questa definizione e comprenderne il significato e il contenuto, tale, si può dire, è stata la tendenza assoluta di ogni cultura filosofica”.[6]

Ed è evidente che, in quest’assunto, l’ipotesi di “comprenderne il significato” porta implicito quello del senso e dello scopo. Di conseguenza Dio deve poter essere compreso più di quanto è stato compiuto storicamente, e il Logos (l’Essere del divenire), con le pesanti implicazioni sulle singole esistenze, ha bisogno di essere inteso nei legami reali che lo rapportano all’Assoluto.

Per poterlo fare, a monte, c’è un problema ineludibile per lo Spirito, lo stesso che è stato posto da Kant per la Ragione: dar conto di sé e principalmente delimitare i propri limiti e possibilità. Davanti al tribunale di se stesso.

Ricapitolando, noi abbiamo di fronte il divenire di indefiniti enti e l’esplicarsi dell’essere stesso del divenire, che è una realtà ontologica ideale, ossia che “c’è idealmente” in quanto ci comprende e ci domina, essendo la Realtà astratta di cui noi siamo i momenti concreti.

Questo Essere ideale è posseduto mediante un’indagine razionale, mentre l’Essere Assoluto (tecnicamente l’Essere dell’essere del divenire) è Realtà Assoluta cui tende appunto lo Spirito.

Così oggetto dello Spirito è, da un verso, questo variare di uomini e di cose e, per un altro, il procedere e il chiarirsi del Tutto.

Davanti allo sguardo dello Spirito nascono e muoiono infinite esistenze e infiniti mondi e noi li osserviamo e li consideriamo poiché il Logos vede soltanto attraverso di noi e valuta tutto come è da noi valutato. Questo comporta che anche lo Spirito umano muore e rinasce infinite volte perché va oltre il singolo, mentre il singolo muore nel grandissimo privilegio, che è la vera giustificazione all’esistenza, di poter guardare con gli “occhi” dell’Essere.

Infatti, lo Spirito è logicamente una parte di “Dio”, legata necessariamente a Dio, e, per questa sua natura, non si accontenta di ciò che accade, ma vuole salire alla visione del tutto. Lo Spirito, in ultima analisi, è il raggiungimento di quel Logos Assoluto che si lascia valutare secondo un piano totale.

La storia, che è l’inizio e la fine dell’attività della coscienza, è l’ambito in cui si esaurisce l’essere del divenire. In questa Storia si formano le possibili capacità d’intendere, le diverse scienze e arti, poiché l’uomo opera e produce memoria di sé in una struttura data, nei fatti.

Ma questa storia ha appreso dal tempo che in sé ha pochissimo valore e lo cerca e lo trova in Altro.

E’ da considerare, ancora, che il porsi dello Spirito come Logos e il suo tendere all’Assoluto, esclude a priori la considerazione dell’uomo come ente tra gli enti naturali, e ne fa viceversa il protagonista di un piano spirituale.

A questo punto, dire “Dio”, è stare realisticamente nel mondo e contemporaneamente dire e fare altro rispetto al mondo.

Questo Logos è dunque vita che muta e passa, prospettando a se stessa un modo d’essere immortale, che deriva dall’aver appreso la magnificenza e la grandezza del Tutto.

Dio, Spirito Assoluto, in fondo, è la sorgente di ogni cosa e comunque al di là del divenire, poiché non è centro né periferia, ma è l’Eterno, che sostiene la vita ovunque e da tutto si distingue essendo uno, infinito, immobile, fuori dal tempo.

 

 

 

 

Note

 

 

 

[1] “Questa cosa qui e ora”

[2] “Questo fatto certo”

[3] Metafisico è tutto ciò che va oltre la sensazione, ma non oltre l’esperienza, poiché non esiste la metafisica pura, ma l’esperienza metafisica.

[4] Ci sono tanti Logos quanti sono i modi di presentarsi delle cose alla coscienza e tuttavia in sostanza sono un diverso atteggiarsi dell’Intelletto, della Ragione e dello Spirito.

[5] Per esemplificare mi riferisco ai connubi classici Eraclito-Parmenide, Platone-Aristotele.

[6] Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Bari, 1971, pag. 351

 

 

 

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