Antropologia del cristianesimo: Sezione 2_Gesù di Nazareth_Mosè e Gesù

Il monoteismo giudaico, passati più di mille e duecento anni subì con Gesù un cambiamento radicale e profondo e, come in tutti i grandi mutamenti, conservò una componente inevitabile di continuità con la concezione che lo precedette.

In Mosè il riconoscimento di un Dio unico si affianca con l’appartenenza stessa del popolo ebraico alla divinità. Dio è proprio di chi l’ha conosciuto “per primo” e chi l’ha conosciuto è nulla senza questo legame[1].

Già molti studiosi hanno evidenziato la particolarità di questo rapporto, ma è la stessa Torah che lo dichiara. Javeh è “lo sposo” d’Israele, “un coniuge” collerico, geloso e possessivo. In lui c’è la tipica esclusività che il marito richiede alla moglie. Non è un caso che, quando Israele si allontana da Dio, e succederà tante volte, cade in grave peccato ed è accusata e deve essere punita quale meretrice.

Anche se ad essa è accordato ogni volta il perdono e “la misericordia” dello sposo, essi comportano una dura espiazione. “Amate il Signore vostro Dio, onoratelo e restategli fedele”, (Dt. 10,20) è la prescrizione ripetuta in infinite varianti insieme ai correlati: “Osservate fedelmente tutti gli ordini che vi comunico: metteteli in pratica, amate il Signore vostro Dio, comportatevi secondo la sua volontà e rimanetegli fedele” (Dt.11,22), “Il Signore vostro Dio vi mette alla prova. Egli vuol sapere se lo amate con tutto il cuore e con tutta l’anima” (Dt. 13,4).

Proprio il profeta Osea, tradito dalla moglie, dà la piena e lucida dimostrazione del matrimonio Dio-Israele: “Israele, ti farò mia sposa” (Os 2,21), “Farò tornare da me il mio popolo” (Os 14,5).

Questo Dio geloso è naturalmente autoritario e violento. Fare riferimenti alle infinite minacce di Geova, sia verso Israele sia verso i nemici d’Israele, è copiare l’intera Torah.

Questa particolare visione di Dio sottintende una conseguente concezione della storia umana.

Il Dio degli Ebrei, è un Dio nato dalla solitudine di pastori nomadi, dal servilismo coatto presso padroni stranieri, dall’impotenza nei confronti di potenti nazioni che circondano Canaan, dalla litigiosa divisione tra le stesse tribù israelite.

Con Mosè gli ebrei hanno la certezza che il loro Dio è il vero Dio, che li assiste e li ha eletti “popolo suo” e a Lui si consacrano, poiché in Lui cessano l’atavica solitudine e l’impotenza storica. Dio che ha “fatto tutti e tutti” diventa il sovrano davanti al quale ogni potere terreno impallidisce e che con mano ferma dirige il suo popolo.

Il popolo ebreo s’inorgoglisce e si esalta per questo “re dei re”, ma per vicissitudini e per la forza dei fatti a cui deve far fronte spesso è indotto a tradimenti, a compromessi.

Il tradimento più grande lo farà nei termini in cui lo riferisce il profeta Samuele:

 

Quando Samuele fu vecchio, diede ai suoi figli il compito di amministrare la giustizia nel popolo di Israele … Ma non si comportavano come il padre: erano avidi di denaro, accettavano regali e pronunciavano sentenze ingiuste. Per questo i capi egli Israeliti si radunarono presso Samuele e gli dissero: – Scegli un re che ci governi come avviene presso gli altri popoli.

La richiesta di essere governati da un re […]rattristò Samuele che si rivolse al Signore. E il Signore gli rispose: – Ascolta pure la proposta che ti hanno fatto a nome di tutto […] il popolo. Non rifiutano te, rifiutano me non vogliono che sia io il loro re. Si comportano ora nei tuoi confronti come hanno sempre agito verso di me, da quando li ho fatti uscire dall’Egitto fino a oggi: mi hanno continuamente abbandonato […] per servire altri dei. Tu quindi accetta la loro proposta, però avvisali molto chiaramente: devono sapere quali saranno, di fatto, i diritti dei re che regneranno su di loro. (I Sam. 8 e seg.)

È un Dio deluso che al suo potere vede contrapposto quello terreno, inutile, prepotente e che costituisce proprio la recisione del legame e del riconoscimento “dell’unico Dio”.

Samuele elenca minuziosamente al popolo tutte le conseguenze insite nel potere terreno ricordando la minacciosa parola di Dio:

Un giorno, a causa dei re che voi stessi avete domandato, invocherete aiuto, ma il Signore non vi ascolterà”.

“Il popolo non volle dargli retta” e da quest’autonomia nascerà la storia di Israele, che rinuncia a essere un popolo “di sacerdoti e di santi”.

Dio si è allontanato da Israele, non ostante la presenza negli avvenimenti successivi.

Israele lo sa e su questa coscienza sviluppa la sua concezione del mondo volta a inquadrare a posteriori tutti i fatti. I giudei credono fermamente che, quando la sorte arride a Israele, Dio si è riavvicinato e quando le condizioni ritornano contro Israele è “la vedetta di Dio” che si abbatte “giustamente” su di loro: è tutta la storia, di nuovo, colpa del loro “peccato”, una storia che non può essere altro che espiazione, una conclusione “prevedibile”.

È dunque ben chiara una concezione storica che non parte dall’uomo quale responsabile unico di ciò che gli accade, ma dall’affermazione di “un piano prestabilito da Dio” nel quale i fatti si realizzano e si chiariscono. Essa è, fuori dall’ebraismo, la concezione storica più duratura presso gli uomini tutti e che s’informa a un pessimismo e a un fatalismo meccanicistico, che libera l’uomo da ogni responsabilità poiché gli fa compiere sempre azioni contrarie e negative “inevitabili”, atte a dimostrare la razionalità e la bontà di una superiore storia prefissata, che è l’unica storia possibile.

Tutto questo modo d’intendere Dio e la storia cambia radicalmente nella visione di Gesù.

Il suo Dio è un Dio esclusivamente di pace, di misericordia, di perdono, che non è facile all’ira e che dà agli uomini la piena responsabilità delle loro azioni. Non è più “il Dio sposo di Israele”, ma il Dio padre di tutti gli uomini, che soccorre e che collabora con gli uomini a vincere il male che essi stessi e solo essi producono. Il suo regno, che è regno di reciproca bontà, solidarietà e tolleranza, è affidato all’umanità come meta. E un regno di “conversione” a cui gli uomini perverranno quando cambieranno vita. È un regno reale che idealmente appartiene a Dio in quanto egli è il Dio che patisce nel suo figlio prediletto la malvagità e la stupidità degli uomini, un regno che è l’unica soluzione per corrispondere alla supremazia dello spirito e il solo che può sgominare la suprema signoria della morte.

 

 

NOTE:

 

[1] La pretesa priorità egiziana non regge a una critica storica anche approssimativa.

 

02-11-2013

 

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