Antropologia del cristianesimo: Sezione 1_Predicazione e testimonianze scritte nelle prime comunità cristiane

La preoccupazione di Eusebio di Cesarea (265-340 d.C.)[1] di stabilire quali scritti fossero accettati dalle varie “chiese” cristiane, era già una preoccupazione della stessa “chiesa primitiva” quando, a partire dal 150 d.C., aveva ritenuto “certe e attendibili” un certo numero di testimonianze intorno alla persona e alla dottrina di Gesù”, definendole verso il 200 d.C. Canone[2].

Ecco in breve i termini della sua formazione.

Il vescovo Papia (70-130 d.C.), per primo[3], attesta l’esistenza di Mc.Mt. e Gv., cosicché da nessun’altra fonte più attendibile possiamo sapere quando si è formato il corpus dei quattro vangeli.

Gli scritti dei cosiddetti padri apostolici, oltre a citazioni di fonti che saranno poi dette apocrife, presentano poche espressioni riconducibili a una sicura conoscenza dei vangeli.

Ad esempio: Barnaba[4], “come sta scritto: molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”, che potrebbe essere riferita a Mt 22,14[5]; Clemente[6], “un’altra scrittura dice. Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”, riferibile ancora a Mt. 9,12[7]; e ancora, “se non faremo la volontà del Signore, saremo di coloro dei quali la scritture dice: la mia casa era una spelonca di ladri”, riferibile a Mc. 11,27 e paralleli[8].

Come si vede è a queste poche espressioni che è affidata la prova della conoscenza dei vangeli, ma, ad un’attenta analisi, esse possono al massimo dimostrare che l’autorità, più che da testi evangelici, è fatta discendere direttamente da Gesù.

Giustino di Nablus (100-162/168 d.C.), uno dei primi santi e apologeti, il quale cita spesso frasi evangeliche (“non dottrine umane, ma la dottrina stessa di Gesù il Messia”), verso il 155 d.C., afferma che i vangeli, (“le memorie degli apostoli, che son dette vangeli[9]), erano letti nelle adunanze liturgiche  insieme ai profeti dell’AT[10] e che[11] che questi evangeli sono stati composti, parte dagli stessi apostoli, parte dai loro compagni, cosa che fa pensare immediatamente all’apostolo Pietro e a Marco. Inoltre sembra non tenere in particolare considerazione Gv., citandolo appena una volta[12]. Tra l’altro usa il termine “vangeli”, come per differenziarli tra loro, mentre in genere i padri apostolici preferiranno parlare dei vangeli come di un tutto unico, il vangelo, senza distinzioni, in analogia a quello che, da lì a poco (170 d.C.), sarà fatto da Taziano, discepolo di Giustino, col Diatesseron[13], capostipite di molte opere simili[14].

Un vangelo apocrifo di autore sconosciuto, risalente ai primi decenni del II sec., fa chiaramente riferimento a tutti e quattro i vangeli. Mentre la dizione “Scritti dell’Antico e del Nuovo Patto”, compare a partire dal 170 d.C.

Il titolo “Nuovo Testamento” compare per la prima volta in uno scritto antimontanista del 192 d.C.

Nel 180 d.C. un giudeo-cristiano, Egesippo (110 circa – 180 circa), in seguito a numerosi viaggi, dice che “in ogni città le cose stanno conformemente a ciò che comandano la legge, i profeti e il Signore”, secondo la vecchia formula di Giustino.

E non possiamo concludere questa carrellata senza parlare della figura notissima di Marcione, vescovo di Sinope (85- 160 d.C.) il quale ritiene che il Dio di Gesù, Dio padre misericordioso, sia incompatibile col Dio geloso e nazionalista dell’Antico Testamento, che pertanto non deve essere considerato un libro sacro, ma la celebrazione di una divinità negativa che Gesù aveva definitivamente sconfitto. Per lui, di conseguenza, le sole e vere scritture sono quelle che rappresentano il messaggio cristiano nella sua autenticità. Questo corpus “autentico” è per Marcione formato dal solo vangelo di Luca e da dieci lettere di Paolo, la cui preminenza è evidente, anche perché Luca trova giustificazione come “evangelista”, in quanto discepolo di Paolo, vero “apostolo” di Gesù.

Queste tesi, proposte al già citato Papia di Jerapoli e Policarpo di Smirne (69 circa–23 febbraio 155) e da ambedue rifiutate, furono riproposte nella comunità di Roma, a cui Marcione aveva fatto una notevole donazione ma ne scaturì un’aperta polemica e contrapposizione (144 d.C.).

La dottrina di Marcione, secondo Giustino, si sparse dappertutto e quando lo scontro con la chiesa di Roma si fece inevitabile, si formò una chiesa eretica marcionita, durata fino al VI secolo.

Senza entrare nel merito della controversia, interessa sottolineare che il corpus marcionita, è da considerare come il primo canone che fu presentato alle comunità cristiane e che proprio in reazione ad esso, la chiesa di Roma, in accordo con le principali chiese greche, propose il canone, fornito di prologhi, di cui si è detto inizialmente[15].

Siamo giunti in tal modo al periodo tra il 160 e il 180 d.C. oltre il quale non è più possibile considerare ogni altro scritto riferito a Gesù come prodotto del cristianesimo primitivo. Ragion per cui è possibile sostenere che in questo tempo i quattro evangeli erano divenuti “tradizionalmente” patrimonio comune della chiesa universale, mentre per gli altri scritti, alcune lettere di Paolo, l’Apocalisse, lettera di Pietro e lettera di Giacomo fino a la lettera di Barnaba e Il pastore di Erma, le controversie dureranno a lungo.

L’Adversus haereses di Ireneo, opera scritta intorno al 180/190 e lo stesso Canone muratoriano rispettano sostanzialmente lo schema della tradizione e così è anche per il Canone che attraverso i vari concili è giunto fino ad oggi, risultando composto da 27 libri.

La formazione del Canone mostra in maniera evidentissima che prima dei testi scritti, fossero preminenti le narrazioni orali circolanti tra le varie comunità cristiane del tempo, per cui si deve far riferimento ad esse se vogliamo avere la piena cognizione dello sviluppo delle prime chiese. A ciò ci portano altre ragioni[16].

La prima è che la data del 150 d.C. è abbastanza distante dalle vicende storiche riguardanti Gesù e sottintende “già” un dibattito intorno alle fonti, rivisitate, accettate o accantonate secondo i “settarismi” proliferanti nelle comunità cristiane primitive.

La seconda, più importante, è quella per cui siamo obbligati a recuperare e tenere presenti tutte le fonti riguardanti Gesù, a prescindere dal loro valore testimoniale, letterario, ecc. al fine di avere la certezza di immetterci nella temperie storica e spirituale dei decenni immediatamente susseguenti la crocifissione di Gesù.

Senza contare che tutte queste fonti verosimili o improbabili, servirono alla diffusione del cristianesimo fuori dai confini d’Israele e permisero ai cristiani di presentare le proprie credenze come superiori o concorrenziali alle credenze delle altre religioni, consolidate da millenni.

In questa linea non va nemmeno accettata la classica divisione tra vangeli sinottici e vangelo di Giovanni, perché questa divisione presuppone una comparazione “di parte”, dovuta a predominanti interpretazioni di Gesù. Tra l’altro serve a eliminare scritti estremamente utili come la raccolta dei detti di Gesù, conosciuta sotto il nome di Vangelo di Tommaso.

Perciò dobbiamo prestare attenzione a tutto, considerando ogni fonte per cercare di capire perché presentassero differenze sostanziali non solo sulla figura di Gesù, ma sulla sua dottrina.

Ciò vale specialmente per le lettere paoline che sono da considerare la prima espressione scritta di vangelo e che fin dall’inizio furono associate alle fonti orali più certe e attendibili, proprio in quanto, com’è ben noto, Paolo di Tarso non ebbe modo, per sua stessa dichiarazione, di ascoltare una sola parola di Gesù.

 

 

 

 

Note

[1] Si veda la sua opera notissima Historia Ecclesiastica

[2] Per Canone si deve intendere la norma, il criterio giusto e appropriato per stabilire ciò che è sicuro e degno di essere accettato o anche la lista e tabelle relative a ciò a cui si fa riferimento.

Come “regola morale” è indicato in 2Cor, 10,13 e Gal. 6,16.

Col valore di norma, “di raccolta ufficiale e ben delimitata di scritti sacri e ispirati, aventi un’autorità assolutamente vincolante”, si parla a partire da Clemente Alessandrino, Attanasio, Gerolamo ecc. Vedi: Alfred Wikenhauser, Introduzione al Nuovo Testamento, pag. 25 e seg.

[3] Alcuni decenni dopo il 100 a.C

[4] Secondo alcune fonti fu lapidato dai giudei nel 61.

[5] Barn. 4,14

[6] Morto a Sebastopoli il 23 novembre del 100, fu quarto vescovo di Roma e papa della chiesa di Roma dal 92 al 97.

[7] 2 Clem. 2,4

[8] 2 Clem. 14,1

[9] in Apol. 67,3,

[10] Su alcune parole del Signore citate da Giustino, non contenute nei testi evangelici, non è stato ancora detto niente di risolutivo. Lo stesso Giustino non cita mai i passi con la formula “Il Signore dice” come già prima di lui si era soliti fare da parte dei padri apostolici.

[11] (Dial. 103,8)

[12] (Apol. 3,3 e seg.)

[13] Con questo termine è indicata una forma di “armonia evangelica” che compara e rielabora l’insieme dei vangeli, compresi quelli apocrifi.

[14] Ad esempio, Girolamo riferisce di un’armonia composta da Teofilo di Antiochia, prima del 186 d.C.

[15] In esso erano accettati i quattro evangeli, le dieci lettere di Paolo, le lettere pastorali ed era dichiarato inoltre che gli Atti fossero opera di Luca e l’Apocalisse opera di Giovanni, scritti quest’ultimi contro cui Marcione aveva avanzate aperte riserve

[16] Adolf von Harnack, il grande teologo, propende a credere che la raccolta e l’elenco dei quattro vangeli fosse compiuta al tempo di Adriano (117-138) in Asia Minore.

 

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