Antropologia del cristianesimo: Sezione 1_Alle origini del cristianesimo_La religione e Gesù

La critica sistematica alle religioni e l’esegesi dei testi da esse proposti sono una “forma di lettura” di recente acquisizione. Nel passato la filosofia aveva assolto un compito preparatorio, attaccando il “nucleo” su cui si fondano tutte le religioni: un Dio simile agli uomini. In sostituzione aveva dato un’altra “credenza” e un’altra “fede”: quella nella Ragione.

Gesù di Nazareth, il cui pensiero ha radici nella cultura della sua gente, né può essere diversamente, è certamente “un critico della religione” e un “filosofo”. Lo è, nella misura in cui poteva esprimersi attraverso le “categorie” logiche di quella particolare condizione.

La comparazione dei “risultati positivi” e dei concomitanti “atti turpi” con riferimento ad uno stesso accadimento ha una sua logica ed è sostanzialmente accettata da tutti. A tal punto che il giudizio storico è il risultato di quest’azione comparativa.

Quest’atteggiamento non è però accettabile nel caso delle religioni, per la semplice ragione che esse, pretendendo di agire in nome di Dio, non possono né devono compiere o giustificare misfatti e orrori.

Se lo facessero, dimostrerebbero di essere false, antiumane, immorali. Infatti, come potrebbero giustificare quello che nel loro linguaggio è detto “il male” se fatto in nome di Dio, secondo la volontà di Dio?

Questo presupposto è all’origine della “missione” di Gesù.

E su questa via che noi, allo stato dei fatti, non potendo riscontrare una positività apprezzabile in nessuna delle religioni finora esistite, avendole riscontrate tutte intrise di sangue, persecuzioni, calunnie, terrorismo, ecc., abbiamo potuto configurarcele come inutili, blasfeme e orrore per la nostra coscienza e agli occhi di Dio.

Né dobbiamo aspettarci forme diverse di religiosità, giacché il loro errore comune consiste nel fatto di presentarsi proprio come “religioni”, ossia con la pretesa vincolante (religio) di rappresentare la legittima e unica fonte attraverso cui Dio “parla” agli uomini.

Il loro schema è sempre lo stesso: esiste un Dio che “parla ad alcuni di loro” e contemporaneamente si appalesa un gregge che va guidato, educato, costretto a seguire certi presunti comandamenti divini.

A una mente religiosa sfugge costantemente il fatto che un Dio, che non parli a tutti i suoi “figli”, è una contraddizione in termini, un’aberrazione mentale, una volgare e impresentabile figura creata a uso e consumo del potere sugli uomini.

Nella critica ai Farisei e agli scribi l’intreccio di potere e religione è sempre una costante. Così è spiegabile perché “un Dio” abbia combattuto con un potere e nello stesso tempo per il potere avverso; perché in nome di Dio si siano fatte leggi contrarie a una convivenza pacifica e produttiva dei popoli; perché il sapere, quando diventava motivo di contestazione all’ordine costituito, venisse per necessità represso.

È “l’ordine”, infatti, la preoccupazione fondamentale di chi presume contestualmente che nell’ereditarietà stia il mezzo di perpetuazione del comando e non è un caso che all’ereditarietà si rifacciano tanto le gerarchie del potere politico quanto quelle del potere religioso. L’ordito della condanna di Gesù poggia su questa intersecazione.

È anche vero che, al suo manifestarsi, ogni religione contesta il potere e porta nella sua memoria un “periodo profetico”, ma questo inizio drammatico è l’anticamera ineludibile, prevista e scontata della formazione del dominio.

Si comprende bene perché la religione è permanentemente un dato negativo che nasce dalla negatività umana, la rafforza e la perpetua.

La storia della condotta tipica delle religioni è, di fatto, la storia di un tradimento continuo verso tutto ciò che esiste di naturale, che nel pensiero di Gesù equivale perfettamente al divino.

Lo è principalmente verso Dio, se è vero che queste varianti di Dio che sono venerate e pregate sono povera cosa e per giunta indecente. Se gli uomini avessero rispetto di Dio, se ne capissero la totale e abissale presenza, l’inimmaginabile potenza, mai e poi mai avrebbero accettato di essere sottomessi a un Dio che è il compendio di tutti i loro vizi, di tutte le loro nascoste aspirazioni, uno specchio della loro miseria. Gli uomini non vivono intimoriti da Dio, ma da Lui vivificati.

Lo è verso i credenti, verso coloro che aspirano a credere “e non hanno trovato”. Essi, fin dalla tenera età sono fuorviati da miti e favole, finendo dopo per accettarli o sostituirli con altre più articolate e ancora più stupide fantasticherie.

Lo è verso gli ingenui, che si affidano facilmente ai pensieri degli altri e lasciano correre il mondo come va. Per essi, seguire la maggioranza negli usi e nei costumi, è già un cammino.

Lo è per i malati, i quali prostrati nel loro corpo e spesso nel loro spirito, si affidano a una mentalità miracolistica, sostanzialmente pretenziosa, arrogante, volgare.

Lo è per tutti i sofferenti, perché senza alcun riferimento di salvezza, sono lasciati nella loro solitudine.

Per questi presupposti, ritroviamo la “particolarità” di Gesù e la “particolarità” del suo Dio e nostro Dio, che non è più oggetto di alcuna forma di religiosità. Gesù insegna un modo diretto e continuo di rapportarsi a Dio che è immediatamente un modo conseguente di rapportarsi agli uomini. Il Regno di Dio è uno status iniziale che modifica lo status degli uomini e indica loro lo status finale nel quale sarà valutato il loro agire.

Chi, dunque, più di Gesù è un caso antropologico?

L’antropologia è per vocazione una scienza libera che oltre i suoi fini specifici, ha il dovere morale e civico di spingere lo spirito umano a liberarsi da sirene, da catene materiali e mentali.

A noi sembra che attraverso l’insieme dei documenti che “interpretano” Gesù, ricaviamo la costante per cui Gesù è vissuto e morto per dare all’uomo la pienezza delle sue azioni, la responsabilità individuale delle scelte e della centralità inalienabile di ciascuno, di ogni singolo, verso l’Assoluto, proprio in quanto ciascuno lo ascolta secondo le proprie caratteristiche, capacità e bisogni e ne è appagato. Anche se fosse un mito.

 

17-10-2013

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