1 – L’antropologia studia ciò che l’uomo produce; per quanto tempo lo conserva; per quale motivo lo cambia; con che cosa lo sostituisce e attraverso quali atti lo muta.
Indaga, per dirla più correttamente, i fini e i mezzi che sono all’origine e nel superamento di una particolare forma storica.
A tale scopo utilizza varie sollecitazioni culturali, incluse quelle che la scienza della natura, avendo da considerare altri soggetti e altri aspetti dell’essere, è portata a tralasciare.
Secondo questa impostazione, qui è esaminata la dimensione religiosa dell’uomo e specificatamente quella del cristianesimo “primitivo”.
Riguardo ad esso, il criterio d’indagine diventa essenziale, giacché l’elemento “teologico” è assolutamente predominante: infatti, diversamente dai seguaci di Mosè, Buddha e Maometto, i cristiani credono che Gesù di Nazareth non sia uno dei tanti profeti, latore di un messaggio divino, ma il figlio unigenito di Dio o Dio stesso fattosi uomo o la stessa parola di Dio “fattasi carne”.
Per comprendere come questa stupefacente forma di religiosità abbia potuto attecchire e svilupparsi in maniera universale, si sono di seguito analizzate le testimonianze e le azioni degli uomini “più vicini nel tempo” a Gesù, il quale, come Buddha e Socrate, non ha lasciato niente di scritto. Tutti questi personaggi, avendo partecipato agli eventi o avendo raccolto notizie da altri o che perfino conobbero il Maestro, furono fermamente convinti della sua resurrezione e di quest’accadimento incredibile fecero il cardine della loro vita, della loro predicazione e di alcuni resoconti che ci sono fortunosamente pervenuti.
2 – Questo lavoro, diviso in due parti oltre a questa, non costituisce uno dei tanti studi su Gesù, poiché ha una sua impostazione che può essere così sintetizzata:
Si “narra”, nei limiti del possibile, di un Gesù “storico”, uomo tra uomini che, quasi trentenne, percorse le strade della Palestina, seguito da alcune decine di seguaci, predicando per pochi mesi una dottrina “nuova”, compiendo guarigioni che apparvero a molti “straordinarie” per non dire “impossibili”. [1]
Se nei primi cento anni Gesù fu trasformato in una figura mitica, ci si è domandato su quali basi storiche, psicologiche e su quali convincimenti morali la sua “rappresentazione” abbia potuto condizionare e ancora oggi determinare, nonostante l’evidente problematicità, non solo l’immaginario, ma la vita di migliaia e migliaia di persone.
Si è quindi distinto, accanto ad una mitizzazione per così dire “popolare”, un’atra canonica, principalmente ascrivibile a quell’unico testimone, Giovanni detto Marco, il “discepolo prediletto”, che la rielaborò per oltre mezzo secolo.[2]
Alla fine (ma non solo) ci si è domandato se per due millenni si sia creduto a un Gesù che non è mai esistito, un “prodotto” di bisogni della gente d’allora e di oggi, un “dato” determinato dalla coscienza storica della “pochezza” della vita, con le sue millenarie vicissitudini.
Si è valutato ancora, se la natura del “patimento” di Gesù, simboleggiato dalla croce, sia umanamente superiore a quella resurrezione “testimoniata”, che avrebbe dovuto annichilire la croce stessa e dare una connotazione di gioia e serenità a tutti i cristiani piuttosto che di sofferenza e di patimento.
Si è considerato ancora se la credenza cristiana possa essere accettata in parte o completamente rifiutata, per una questione di “scarsa fiducia” verso i cristiani, verso il loro “fare”, durato ormai da duemila anni.
3 – All’interno di questo discorso si è posto in piena luce la tesi che Dio non è appannaggio di nessuno ma, se esiste, dovrebbe essere quale l’ha determinato Gesù: “Padre mio e padre vostro”. Questa fiducia non è derivabile dai fatti straordinari a noi raccontati, ma dal riscontro coerente di “un comportamento”, di “un modo di essere” di Gesù stesso nei confronti di Dio. Implica, naturalmente, una presenza storica che è la questione più dura da affrontare.
Si ritiene, in merito, che il lascito spirituale di Gesù sia l’affermazione (o se vogliamo la testimonianza) che Dio, in quanto Tutto, resti abissalmente lontano dalla nostra comprensione e tuttavia si lasci connotare dall’illusione o dall’esperienza che “il male” non riesce a prevalere definitivamente sul “bene” e di questa lotta “Egli” appaia l’unico possibile protagonista e garante.
La passione e la morte di Gesù che costituiscono il momento cruciale di tale scontro, diventano così il nocciolo privilegiato di tutta l’intera riflessione.
Davanti alla sua angoscia nella notte dell’orto degli ulivi, alla sua sofferenza, alla sua solitudine totale nella vita e sulla croce, ogni presunto miracolo, ogni racconto sensazionale diventano povera cosa. O comunque devono essere interpretati riguardo a una fine ingloriosa e devastante.
Solo dopo aver compreso tutto questo, ci si può interrogare sulle implicazioni soprannaturali o storiche del Regno di Dio, che non può essere considerato, in base alle testimonianze esaminate, un progetto al di là dell’esistenza, ma il compito di uomini di buona volontà in questo nostro mondo.
Nessuno potrà dire su questo niente di significativo se non medita approfonditamente, parola per parola, la seguente dichiarazione di Gesù:
“Se coloro che vi guidano vi dicono: Ecco il regno è nei cieli, allora gli uccelli del cielo vi precederanno. Se vi dicono: Ecco, è nel mare, allora i pesci del mare vi precederanno. Il Regno è invece dentro di voi e fuori di voi. Quando conoscerete voi stessi, allora sarete conosciuti e capirete che siete figli del Padre, il Vivente. Ma se non conoscete voi stessi, vivrete in povertà e sarete povertà” (Tm 5).
4 – Il discorso antropologico dirimente sul cristianesimo naturalmente non finisce qui. La dottrina di Gesù comporta un netto giudizio sulla civiltà.
Se per civiltà dobbiamo intendere una dialettica inevitabile tra repressione e sviluppo, la questione che si pone è appunto il prezzo pagato per ciascuna forma di essa.
Fin dall’inizio le civiltà sumere, babilonese, egizia, greca, romana si sono imposte per mezzo della schiavitù. Dietro le ziqqurat, le piramidi, i templi greci e romani, si stagliano lo sfruttamento e la fatica bestiale di moltitudini di “ultimi”, asserviti e brutalizzati per innalzare innanzi tutto “segni di devozione” a divinità immaginarie o più spesso a padroni troppo umani, e, andando alla loro radice, c’è l’identico atteggiamento di perseguire non scopi di vita reale ma fittizia, almeno per la stragrande maggioranza. E questo atteggiamento, in forma più criminale, dura fino ai nostri giorni.
Gesù comprese la necessità della civilizzazione e ne distinse le diverse forme (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”), ma in linea con i profeti d’Israele, riaffermò l’inutilità dei palazzi governativi, la formalità dei templi e la loro pochezza (“non resterà pietra su pietra”), arrivando a rinnegare ogni forma conosciuta d’incivilimento coatto:
“Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita? E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l’erba dei campi che oggi è e domani è gettata nel fuoco, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non siate dunque in ansia, dicendo: “Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?” Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno”. (Mt 6,25-34)
Allora dobbiamo interrogarci in che consista una “civiltà” cristiana; se essa sia storicamente possibile; come si sia caratterizzata in duemila anni di tentativi e se si sia posta ogni volta dal punto di vista degli ultimi come voleva Gesù.
5 – Ricapitolando, ci si è chiesto quanto è lecito comprendere “oggi” su Gesù.
Nel presunto “mistero messianico”, che, come è narrato da alcune fonti, fu conosciuto da pochi, ma ben presente a quel Giuda Iscariota che lo svelerà al Sinedrio, Gesù individuerà prima in Israele, patria del Dio unico, e poi in tutto il mondo, una generazione nuova di cui Egli stesso vorrà farsi “Signore”.
Essa si svilupperà secondo tre passaggi:
Un “Dio nuovo” si presenta all’uomo: “È Padre mio e Padre vostro”.
Se Dio è Padre, il “ritorno” a Lui, è la fine del “mondo del male”. Più precisamente, il Regno di Dio, “che è imminente” è la “soluzione storica” al male.
In questo Regno si entrerà “cambiando radicalmente la propria vita” e coloro che lo faranno dovranno essere fiduciosi di essere stati “immediatamente” sottratti alla “morte”.
Questa dialettica costituisce la base del messaggio di Gesù, il motivo per rapportarsi oggi alla sua persona per la quale egli ha richiesto e richiede fedeltà “totale”[3].
6 – Su questa storia il dolore, che è la storia di Gesù, occorre fare delle considerazioni.
Sulla terra il dolore è ovunque, spesso malamente negato. Lo contiene in sé la natura, lo contiene in sé la vita, lo contiene in sé l’uomo. È il “male”. Da esso, secondo la visione ebraico-cristiana, dobbiamo essere liberati da “Altri”, perché noi l’abbiamo accolto fin dal nostro essere nel mondo, un’eredità.
Gesù insegnerà che possiamo sottrarci ad esso se Dio ci aiuta con la misericordia e la clemenza che il Padre ha per i “figli prodighi”, quando ritornano a casa, dopo aver sperimentato la povertà, la dissipatezza, l’inconcludenza vissuta altrove.
Ancora, accanto agli occhi che si ammalano e non vedono, accanto alle articolazioni che si storpiano e non reggono il peso del corpo, accanto alla mente che vacilla e non comprende più la realtà del mondo, accanto alla decadenza fisica che annuncia la morte, accanto alla natura che produce catastrofi di acqua, di terra e di fuoco, accanto al male che esiste “fuori” dall’uomo, c’è il dolore insensato, violento, voluttuoso che ha nell’uomo medesimo il suo produttore.
Il dolore diventa così “ingiustizia” agli occhi di Dio, che ci osserva nel nostro operare, oltre che male e peccato per le sue radici sociali e psicologiche.
Il rifiuto degli altri, la lontananza dal loro penare è un fatto fatale.
Nelle epoche di maggiore perversione, e la Palestina del I sec. d.C. fu una di queste, la fiducia si ripone in chi insegna ad andare “oltre”. “Oltre” significa abbandonare non il mondo, ma un mondo esecrabile, per un universo del “bene”, della pace intima con sé e con gli altri.
Giungendo al Regno, come Gesù definisce questo oltre, se la logica è logica, saremo in Dio, saremo Dio:
“Ed egli disse: Chi troverà l’interpretazione di queste parole, non conoscerà la morte”. (Tm 1)
“Chi beve dalla mia bocca diventerà come me, io stesso diventerò come lui e i misteri gli saranno svelati”. (Tm 108)
“Io sono la luce che sovrasta tutte le cose. Io sono il tutto. Da me tutto è venuto e a me tutto giunge. Spaccate un legno ed io sono lì. Sollevate una pietra e lì sotto mi troverete.” (Tm 77)
7 – E al di là di ogni ricerca si situa, in conclusione, il fatto che nel tardo pomeriggio del 14 Nizan, dell’anno 30 d.C., Gesù di Nazareth, il Figlio dell’Uomo, morì sulla croce.
Meno di quaranta ore dopo il suo corpo non fu trovato nel sepolcro.
[1] Vedi Sez. 2
[2] Vedi Sez. 3. Su Giovanni detto Marco saranno fornite tutta una serie di argomentazioni che imposteranno l’ipotesi secondo cui egli è sia l’autore del primo che del quarto vangelo, asserendo tuttavia che la sua opera non sarebbe stata possibile senza il confronto fortemente critico con Paolo di Tarso e più dialettico con Tommaso detto Didimo e quella che si può definire “la tradizione non scritta” sul “figlio di Dio”.
[3] Fiducia e fedeltà sono malamente intesi come fede, che è una parola che dovrebbe essere definitivamente abolita dai seguaci di Gesù.
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