1 – C’è una domanda fondamentale alla base del cristianesimo, posta da Gesù stesso, secondo il Vangelo di Matteo:
“Disse loro: ‘Voi chi dite che io sia?’. Rispose Simon Pietro: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’. E Gesù: ‘Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue ti hanno rivelato ciò, ma il Padre mio che sta nei cieli. E per questo io ti dico: Tu sei Pietro e su questa roccia edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non la potranno vincere. A te darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che avrai legato sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra sarà sciolto nei cieli’. Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era Gesù il Cristo”. (Mt 16,15-20)
Lo stesso episodio è sinteticamente riportato in Marco:
“Egli replicò: ‘E voi chi dite che io sia?’. Pietro gli rispose: ‘Tu sei il Cristo’. E intimò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno”. (Mc 8,29-30)
E più complicato in Luca:
“Allora domandò: ‘Ma voi chi dite che io sia?’. Pietro, prendendo la parola, rispose: ‘Il Cristo di Dio’. Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno”. (Lc 9,20-21)
In Matteo questa domanda era preceduta da una ben più facile:
“Gesù, giunto dalle parti di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: ‘Chi dicono gli uomini che io, il Figlio dell’uomo, sia?’. Ed essi dissero: ‘Alcuni, Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia, o uno dei profeti’”. (Mt 16,13-20)
Sappiamo così che Gesù era preoccupato, per così dire, dell’idea che di Lui aveva la gente comune, ma ancor di più di come veniva considerato dai suoi discepoli. E non aveva torto.
Infatti, i cristiani non avevano e non hanno trovato, maggiormente oggi, la giusta risposta.
2 – “Chi sono secondo voi?” Per noi, rispose Pietro, sei Il Messia.
Domanda e risposta chiudono dunque la vicenda di Gesù di Nazareth, nell’ambito dell’ebraismo.
Gli Ebrei aspettavano da tempo un “inviato da Dio” che li liberasse dalla loro schiavitù e li rendesse sottomessi a Dio soltanto, unico Signore dell’universo.
Di questo “atteso” conoscevano più del dovuto. La predicazione del profeta Samuele stabiliva l’unzione del Messia [1] e ne delineava i compiti. L’Unto nelle parole del profeta era così esaltato da diventare anche il “figlio di Dio” [2]. Ma è con Isaia che la funzione messianica giungeva alla sua massima espressione:
“Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra. Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore”. (Isaia 2, 1-5)
Con la fine della dinastia davidica, a cui era stata sempre riferita la discendenza messianica e l’esilio babilonese (587-538), si arrivò necessariamente alla “conclusione” profetica di Ezechiele:
“Perciò, così dice loro il Signore, Dio: Eccomi, io stesso giudicherò fra la pecora grassa e la pecora magra. Siccome voi avete spinto con il fianco e con la spalla e avete cozzato con le corna tutte le pecore deboli finché non le avete disperse e cacciate fuori, io salverò le mie pecore ed esse non saranno più abbandonate alla rapina; giudicherò tra pecora e pecora. Porrò sopra di esse un solo pastore che le pascolerà: il mio servo Davide; egli le pascolerà, egli sarà il loro pastore. Io, il Signore, sarò il loro Dio, e il mio servo Davide sarà principe in mezzo a loro. Io, il Signore, ho parlato. Stabilirò con esse un patto di pace; farò sparire le bestie selvatiche dal paese; le mie pecore abiteranno al sicuro nel deserto e dormiranno nelle foreste. Farò in modo che esse e i luoghi attorno al mio colle saranno una benedizione; farò scendere la pioggia a suo tempo, e saranno piogge di benedizione. L’albero dei campi darà il suo frutto, e la terra darà i suoi prodotti. Esse staranno al sicuro sul loro suolo e conosceranno che io sono il Signore, quando spezzerò le sbarre del loro giogo e le libererò dalla mano di quelli che le tenevano schiave. Non saranno più preda delle nazioni; le bestie dei campi non le divoreranno più, ma se ne staranno al sicuro, senza che nessuno più le spaventi. Farò crescere per loro una vegetazione rinomata; non saranno più consumate dalla fame nel paese e non subiranno più gli oltraggi delle nazioni. Conosceranno che io, il Signore, loro Dio, sono con loro, e che esse, la casa d’Israele, sono il mio popolo, dice il Signore, Dio. Voi, pecore mie, pecore del mio pascolo, siete uomini. Io sono il vostro Dio, dice il Signore, Dio.” (Ezechiele 34, 20-31).
In questa profezia, di fatto, la stirpe di Davide è momentanea e Dio stesso guiderà il popolo d’Israele, che unirà tutti i popoli.
Nel periodo di Gesù, subito dopo la morte di Erode il Grande e sudditi di Augusto e poi di Tiberio, tutte le correnti della religiosità israelitica attendevano “un” Messia [3]. Sottomessi alla potenza romana, rispondevano con continue sommosse, specialmente in Galilea. Infatti, non era raro convenire da parte di molti che il Messia avrebbe avuto un ruolo profondamente politico. In tal modo la pensavano gli Zeloti, una setta terroristiche, di cui alcuni “reduci”, cambiando vita, troveranno accoglienza nella stessa cerchia di Gesù. Ma con meno violenza e con uguale fervore l’aspettavano i Farisei, i guardiani della Legge mentre più tiepidi, ma non meno attenti, si dimostravano i Sadducei, la corrente moderata e collaborazionista, rappresentante la classe più aristocratica della società ebraica [4].
Nella piccola comunità di Gesù, la questione fu abbastanza problematica e dal punto di vista storico per alcuni costituisce “un fatto a sé”, noto come “segreto messianico”, ma essa non inficia la preminenza della risposta pietrina alla domanda di Gesù. Infatti, la vocazione messianica dell’agire del Maestro, anche se progressivamente svelata ai suoi seguaci, non fu mai contestata e fu più volte raccontata. In Lui, non solo a Cesarea, ma fino alla scena finale di Gerusalemme, si svelerà il compimento della scrittura:
“Non temere, figlia di Sion!
Ecco, il tuo re viene,
seduto sopra un puledro d’asina”.
Durante il processo che gli intenteranno i sacerdoti del tempio, dirà apertamente: “Tu hai detto bene!”, in risposta alla precisa domanda del Sommo Sacerdote: “Sei tu il Messia, atteso da Israele?”. E contro la sfida che gli lanceranno sotto la croce, la risposta per gli ebrei sarà “la sua resurrezione” dai morti, preceduti da “miracoli”.
La comunità cristiana di Gerusalemme, convinta di questo, dopo la morte del Messia, vivrà nello spirito del profeta Gioele, che aveva detto:
“Ed avverrà dopo che effonderò il mio Spirito sopra ogni carne ed i vostri figli e le figlie profeteranno; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni”.
3 – Dalle testimonianze evangeliche, dunque, sappiamo che Gesù prese su di sé questo complesso ruolo di Messia. Coloro che credettero in Lui, si dissero non a caso “messianisti” e mantengono fino ad oggi questo appellativo, sebbene conosciuto nella traslitterazione greca di “cristiani”, assunto dall’antichità, quando il termine “messia” fu tradotto in “Cristòs”.
Ma proprio i cristiani resero indefinita questa denominazione. Alcuni decenni dopo la sua morte, Gesù venne detto “verbo di Dio”, poi “figlio di Dio” e infine “Dio incarnato”.
L’equivoco cominciò con Paolo e Luca e arrivò a sostanziarsi nei “Detti di Gesù” (meglio conosciuti come il Vangelo di Tommaso). Le diverse connotazioni vennero fatte proprie da varie comunità e numerosi eruditi cristiani spesero la loro intelligenza a trovare argomenti a dimostrazione dell’una e dell’altra tesi, forti dell’ambiguità o disconoscenza delle fonti.
La questione durò fino al 325, data del Concilio di Nicea.
Tuttavia, lo snaturamento di Gesù, non comportò conseguenze solo alla sua figura e alla sua “dottrina”, ma compromise inevitabilmente sua madre, Maria di Nazareth.
Fin quando Gesù fu ritenuto Messia o anche “verbo di Dio”, questo fatto non costituì per Maria grandi cambiamenti d’immagine. Tutt’al più, per adeguarla al “servo di Isaia” doveva essere presentata come “vergine” all’atto del concepimento o, al limite, del partorire, ma la manomissione storica avrebbe comportato “solo” lo spostamento della sua età e della sua morte oltre che la diversa disposizione delle nascite dei figli avuti da Giuseppe.
Le cose si complicarono necessariamente quando Gesù fu ritenuto “figlio di Dio” o “Dio incarnato”. A questo stadio, dovettero essere cambiati tutti i fatti, che prosaicamente finirono per prodursi una infinità di leggende [5].
4 – Bisogna avere un’idea profondamente blasfema di Dio per credere e professare che possa concepire “un figlio” per mezzo di una donna [6].
Quest’idea è con chiarezza l’effetto della cognizione del “divino” in modo volgare, antropomorfico e magico e, nello stesso tempo, inutilmente “storico”, [7] se deve includere la presunzione che Dio voglia o debba compromettersi a tal punto con le vicende umane [8].
Ciò poteva avvenire nell’antica Grecia, dove le vicende “olimpiche” ricapitolavano i desideri e i vizi degli uomini, ma non è compatibile e immaginabile nella religione ebraica o nel pensiero innovatore e “nuovo” di Gesù di Nazareth.
Ammesso che un ebreo avesse concepito l’idea della “presenza storica” del “figlio di Dio” non come metafora, ma come fatto “fisiologico”, essa sarebbe stata in tutta evidenza di portata eccezionale.
Tutto il Sinedrio e tutto il popolo d’Israele ne avrebbero tratto le conseguenze, poiché inevitabilmente quest’accadimento avrebbe “sospeso” o per lo meno annichilito tutta quanta la Torah.
Il silenzio degli ebrei su Gesù “figlio di Dio” è invece tombale e, dopo averLo fatto condannare come falso Messia, quando questa diceria prenderà corpo nel successivo cristianesimo, il silenzio si trasformerà in un atteggiamento ostile e malevolo.
Per i cristiani basta dire questo. Nessuno degli apostoli né dei discepoli di Gesù fa menzione del concepimento divino, anche perché lo stesso Gesù tace su questo presunto “episodio”, per Lui di estrema “consistenza” e che avrebbe potuto costituire un elemento di prova più che simbolico nello stesso processo a cui verrà sottoposto dalla casta sacerdotale di Gerusalemme.
Non ne parlano Pietro, con tutta la sua autorità, né Giacomo, “fratello di Gesù”, né Giovanni detto Marco, che pure è stato il primo a scrivere una “biografia” del Messia, né il quarto Vangelo, quello che sviluppa più chiaramente i rapporti di Gesù e Dio. Non ne parla Paolo di Tarso, “il convertito”, apostolo per via di Gesù risorto.
Naturalmente ignorano il concepimento divino e il ruolo preminente di Maria tutte le altre fonti storiche contemporanee sia romane che greche.
Dunque, è molti decenni dopo la morte di Gesù che venne creato il mito del “figlio carnale di Dio”, diventato dogma dopo secoli attraverso sofisticate elucubrazioni di menti ormai lontane dall’insegnamento e dalla “visione” di Gesù.
E se anche oggi la mente si attarda a pensare tali cose pur possedendo risolutive conoscenze scientifiche sulla formazione del feto, sulla fecondazione ecc., per lo meno si dovrebbe chiedere per quale ragione Dio dovrebbe preferire un suo figlio, metà uomo e metà Dio, piuttosto che un figlio legittimo di genitori terreni, un “umano”, santificato e “preparato” ai compiti previsti.
La madre di Gesù, per quanto sappiamo da Marco, insieme agli altri suoi figli, si dimostrò almeno inizialmente, molto ostile alla missione del “figlio di Dio” e solo dopo che Egli ebbe una morte terribile sembra averne compreso il sacrificio e con i familiari fece parte, lei galilea, della Chiesa di Gerusalemme. È fuori discussione che in quella prima comunità non le fu riconosciuto alcun ruolo preminente e questo è per lo meno un fatto inopportuno considerando “il suo presunto rapporto” con Dio. A lei doveva essere dato un culto particolare, almeno cronologicamente prima del figlio.
Finché visse, di ciò non c’è traccia [9], né minimamente Maria lo rivendica e lo sollecita.
Quando a Maria fu dato questo ruolo, nel IV sec. d. C., con una sistemazione molto contrastata, è per molti motivi sopraggiunti nella distorta teologia cristiana, che tra l’altro non sapeva più conciliare la formulazione della Trinità in rapporto all’esistenza tutta terrena di Gesù.
I teologi mariani avanzarono la tesi secondo la quale la “divinità” di Gesù dovesse implicare per necessità “quell’intervento” di Dio su Maria, che, ancora per conseguenza, quale donna ebrea, doveva essere pura ossia “vergine”, “senza peccato” [10].
Da questo periodo fu iniziata una manipolazione, mai prima avvenuta con tanta virulenza, dei testi canonici e naturalmente il cristianesimo fu snaturato in mariologia.
5 – La mitizzazione di Maria, madre di Gesù, costituisce il nodo antropologico intorno a cui si elabora la rottura della linearità dell’avvento del Regno di Dio e determina la fine del progetto gesuano e dunque dell’attività propulsiva del cristianesimo primitivo e l’inizio del cristianesimo in quanto religione. Con Maria inizia il fallimento che trionfa del cristianesimo romano.
Alla dialettica rivoluzionaria schematizzabile in Dio-Figlio-Regno veniva opposta quella di Figlio-Madre-Chiesa, sostituendo al percorso gesuano di un cambiamento radicale il più comodo andamento dell’esistente. La tragicità del “caso Gesù”, che nella dialettica del Padre, rappresentava l’umano che tendeva per necessità al divino e Dio che per la prima volta si affacciava all’umano, era mantenuta come puro elemento decorativo.
Certo né Matteo né Luca, gli evangelisti che diedero la stura a questa nefasta novella, presupponevano questi sviluppi, giacché in loro l’elemento mitizzante era sollecitato dall’intento di glorificare il Maestro di Nazareth, di darGli una valenza eroica nel solco della mentalità mosaico-davidica.
A Pilato, che non ebbe contezza del suo ruolo nella storia divina e sorvolò infastidito su una diatriba tra ebrei, premeva la risoluzione di un caso di sovvertimento in una provincia turbolenta dell’impero. Quando al suo posto, in una diversa situazione storica, dovette decidere sulla questione il futuro imperatore Costantino, costui con prontezza intuì nel cristianesimo la potenza espansiva da inglobare nella superiore esigenza dell’Impero. Così al Concilio di Nicea [11], da lui presieduto, apparentemente fu discusso un dogma astruso, mentre in realtà fu stabilito il destino di una “idea epocale”, “il progetto storico” di Gesù.
A favore della dialettica mariana giocava la psicologia individuale dei soggetti ecclesiastici, che assommarono arbitrariamente al “padre”, forza creativa e innovativa, una “madre” da contrappeso, poiché questa in ogni tempo ha rappresentato il compromesso, l’accoglienza, la forza consolatoria e ausiliatrice.
6 – La ragione riconosce una funzione importante al sentimento e all’immaginazione e, facendosi Spirito, li agevola e li potenzia [12]. Ciò non significa che essa non conservi e non difenda il suo primato, dal momento che la verità è sempre una questione “logica” [13]. La verità, comunque e qualunque sia il grado di certezza in essa contenuto, passa sempre attraverso la ragione.
I cristiani dovrebbero capirlo più di chiunque altro, poiché Gesù insegnò in nome della verità, facendosi verità. Egli iniziava e terminava i suoi insegnamenti con la parola “amen” che oggi è puramente un suono, mentre agli orecchi dei contemporanei suonava perentoriamente: “ciò che vi dico e certo e vero”.
Per questo, ridare a Maria la connotazione naturale di donna, sposa e madre non significa affatto una mancanza di riguardo. È il contrario. Il suo ruolo, diventato umano, potenzia non solo la sua figura, ma quella del figlio, il quale la rende partecipe di un grande elevamento spirituale e in tal modo la fa essere veramente “figlia di suo figlio”.
7 – Il processo di consapevolezza “messianica” in Maria e nei suoi figli, fratelli e sorelle di Gesù, è ben documentato.
Marco testimonia, prima delle altre fonti, un tormentato rapporto familiare:
“(Gesù) entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo. Dicevano infatti: È fuori di sé”.
Esso diventa un risentito rapporto missionario:
“Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano. Ma egli rispose loro: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre”. (Marco 3,31-34; Mt12,46-50; Lc8,19-21)
“Gesù disse loro: Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. (Marco 6,3-4; Mt13,55-56)
Dopo, si avverte il sopraggiungere del sereno:
“Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni”. (Gv 2,12)
A cui può essere associato questa variante, alquanto ambigua:
“I suoi fratelli gli dissero: Parti di qui e va’ nella Giudea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai. Nessuno infatti agisce di nascosto, se vuole venire riconosciuto pubblicamente. Se fai tali cose, manifèstati al mondo!
Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui. Gesù allora disse loro: Il mio tempo non è ancora venuto, il vostro invece è sempre pronto. Il mondo non può odiare voi, ma odia me, perché di lui io attesto che le sue opere sono cattive. Andate voi a questa festa; io non ci vado, perché il mio tempo non è ancora compiuto. Dette loro queste cose, restò nella Galilea. Ma andati i suoi fratelli alla festa, allora vi andò anche lui; non apertamente però: di nascosto”. (Gv 7,3-10)
Fino alla fine del Golgota, quando a Maria Maddalena, Gesù disse, con queste parole chiarissime:
“Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli, e di’ loro: Io salgo al Padre mio […] e Padre vostro […], al Dio mio […] e Dio vostro […]”. (Gv 20,17-18)
E in questo gesto, che unifica fratelli carnali e fratelli nella fiducia, così come in quello dell’affidamento della propria madre a Giovanni, si vede tutto l’affetto e la mansuetudine di Gesù verso la propria famiglia e verso i propri discepoli.
E come spesso succede dopo ogni morte, la famiglia gli si legò fortemente e gli rimase fedele.
Si legge in Atti, e poi, ripetuto in Paolo:
“Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui”. (Atti 1,14)
Ma, appeso alla croce, ancora una volta si era sentito lontano dalla terra e aveva capito che ormai “tutto era compiuto” e in questa consapevolezza aveva “dato” ad altri la propria madre e il suo dialogo, così come era iniziato, si concludeva col Padre:
“Presso la croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre, Maria di Cleopa, e Maria Maddalena. Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava, disse a sua madre: «Donna è […], ecco tuo figlio!» Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!» E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua. (Gv 19,25)
E venne la fine:
“Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lama sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mc 15,24 poi in Mt 27,46)
parole del Salmo 21, che sono molto di più del semplice sconforto e del peso indicibile della morte.
8 – Il parossismo mitologico che investe la figura di Maria di Nazareth costituisce, come detto, il momento finale dell’allontanamento di Gesù dal Cristianesimo, che nato da una cattiva interpretazione si è trasformato in incomprensione e in pura invenzione e a partire dai primi decenni non ha più avuto momenti ostativi per trasformarsi in “religione”.
Quando egli chiede nell’Orto degli Ulivi ai suoi discepoli “di vegliare” c’è in Lui l’amarezza che il “tempo non è compiuto”, ma, al contrario, si è allontanato in misura indefinita. Il tempo si è compiuto “solo” per Lui.
La lettura di Matteo, il quale voleva dimostrare che Gesù era la concretizzazione della profezia messianica di Isaia, comportava la formazione del mito della “vergine” partoriente “il salvatore d’Israele”. Gesù non viene più visto nel suo ministero vissuto, nel suo insegnamento nuovo, nel suo rivoluzionario atteggiamento verso la società e dunque verso la religione, ma imbalsamato nell’incomprensione mitica precoce che richiama ulteriori miti.
Il mito nasce, in ogni caso, dalla perdita del Gesù reale, nato a Nazareth e crocefisso a Gerusalemme. Da Matteo, a Paolo ad Ario, le comunità cristiane si consegnarono al potere politico del tempo.
Costantino, l’imperatore assassino e opportunista, che presiedette il primo concilio cristiano, senza nemmeno essere battezzato fu il fondatore del cristianesimo e di ciò si resero conto coloro che perorarono la sua santificazione.
Ma già il fatto della “conciliazione” è indicativo di quanto il cristianesimo si fosse allontanato da Gesù. Non c’è quindi da meravigliarsi se il mito di Maria comportò dei “problemi storici” che possono essere considerati marginali, ma che dimostrano come la manipolazione fu un “modo di essere” del cristianesimo [14].
Perciò prima di trattare questi problemi, non può che ripetere una necessaria considerazione. Si deve avere uno scarso “rispetto” di Dio, proprio da parte di chi affida la sua vita a Lui, per non “fargli dire” e per non “fargli fare” quanto né può dire né può fare. È un atteggiamento “ateo” compiuto da parte di chi dovrebbe testimoniare Dio.
Dio è indicibile, è “potere” abissale e inconcepibile, perciò l’uomo non lo può usare per le sue fantasie. Gesù, in tutte le fonti pervenute, parla di Dio “in senso generalissimo” chiamandolo semplicemente Dio, oppure in senso affettivo, “Padre”, ma non si spinge mai a chiamarLo per “nome”, secondo quanto intima Dio stesso.
9 –
(continua)
Note
[1] ”Samuele prese allora l’ampolla dell’olio e gliela versò sulla testa, poi lo baciò dicendo: “Ecco: il Signore ti ha unto capo sopra Israele suo popolo. Tu avrai potere sul popolo del Signore e tu lo libererai dalle mani dei nemici che gli stanno intorno.” (1 Samuele X,1)
“Lo spirito del Signore investirà anche te e ti metterai a fare il profeta insieme con loro e sarai trasformato in un altro uomo”, (1 Samuele X,6)
[2] ”Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo castigherò con verga d’uomo e con i colpi che danno i figli d’uomo”. (2 Samuele VII,14)
[3] Le correnti di pensiero israelitico distinguevano un Messia di discendenza davidica da un Messia di discendenza abramitica, un Messia della casa di Giuseppe. Per questa distinzione il Sinedrio era di fatto espressione di quest’attesa e considerava il Sommo Sacerdote con una specie di precursore dell’evento.
[4] Si deve a Flavio Giuseppe la conoscenza di queste sette e, rispetto al ruolo del Messia, la setta degli Esseni, “che andava armata” non è sufficientemente caratterizzata.
Il Messia è rappresentato come “agnello”, “nascosto” (Zaddiqim), umile e innocente, uno dei tanti figli di Israele, a cui Dio darà il compito di “risollevare” il popolo eletto. Questa “risollevazione” sarà testimoniata dalla “resurrezione dei morti”. (Vedi le varie interpretazioni dei rabbini e principalmente la Shekhinah e le esoteriche interpretazioni cabalistiche. In quest’ultime il Messia è spesso inteso come un’identità preesistente alla stessa creazione). Egli unificherà le dodici tribù d’Israele.
Nel primo Libro del Pentateuco è scritto che Giacobbe, prima della sua morte, richiamasse il popolo eletto a mantenere in ogni epoca la fiducia dell’avvento del Messia, nel tempo del “terzo tempio”.
Comunque, tutti i testi esoterici riguardanti la Thorà, insisteranno sul “giudizio finale”,quando, con la resurrezione dei morti i corpi si ricreeranno. I giusti riceveranno la beatitudine corrispondente ai propri meriti, mentre i malvagi saranno sottoposti a “vergogna e dannazione (Daniele 12.2)
[5] È noto l’inizio del Vangelo di Luca: “Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto”.
[6] Tralasciamo la considerazione provocatoria di Giacomo Casanova che chiedeva se Dio, nell’atto del coito, avesse provato piacere. Ma è certo che senza coito non c’è concepimento.
[7] Dio “nella storia” è una caratteristica delle religioni più arretrate e primitive ed è dimostrazione della sproporzionata presunzione degli uomini.
[8] Dopo quello che è accaduto nel XX sec appena passato questa idea dovrebbe essere abbandonata da parte di tutti.
[9] Ricordiamo, a fronte di tanti episodi duri tra Gesù e i propri familiari, le espressioni: “Chi è mia madre?” (Mc 3,33 ma anche Mt 12,48), e quella pesantissima in Gv 2,4, “Donna, che cosa abbiamo in comune io e te?”
[10] Per avere un’idea delle aberrazioni a cui giunsero i “teologi mariani”, fatte proprie dalla Chiesa cattolica, si può fare riferimento ai vari studi di Marcello Craveri e Karlheinz Deschner.
[11] La trattazione dei vari e turbolenti Concili che si tennero sul tema della verginità di Maria esulano dai limiti di questo studio e Nicea è solo un’indicazione.
[12] Vedi la mia Antropologia dello Spirito, in www.raffaelesaccomanno.net.
[13] Hegel ha posto una volta per tutte la questione. La dialettica del “reale che è razionale” deve ancor di più essere tenuta presente in sede “religiosa”.
[14] Non è un caso che intorno al medesimo Costantino venne costruita la falsa Donazione.
06-02-2014
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